sabato 12 dicembre 2020

Da un "Vaso di Rose" all'Universo della Mente

Vincent van Gogh, Natura morta: vaso con rose, olio su tela (71.0 x 90.0 cm. 
Saint-Rémy, Maggio 1890), National Gallery of Art, Washington.

(Fonte immagine: Pagina Facebook "Libriantichionline")

 


Un dipinto di Vincent van Gogh.


Un "semplice" vaso di rose, tra l’altro semi-appassite. Eppure quanta bellezza in quelle pennellate!

Un soggetto che in Storia dell'Arte si definisce tecnicamente "natura morta", ossia la rappresentazione di oggetti "inanimati": un vaso di fiori, un canestro di frutta, dei libri su un tavolo, e così via.
Eppure quanta vita in quella natura morta del vaso di rose del maestro olandese! Una vita che nasce sicuramente anche da quelle pennellate dinamiche e dalla verità dei colori, che ci fa quasi “toccare” quei fiori con lo sguardo.


Vincent van Gogh, un animo tormentato e sofferente, una personalità complessa. Così ce lo raccontano le sue biografie.

Eppure, anche se in quei suoi dipinti esprimesse degli stati d'animo personali che non possiamo capire, ci ha lasciato molte opere che spesso trasmettono serenità, intimità, "calore": una chiesa, la veduta di un campo, un cielo stellato, una strada di città illuminata dalle luci di un Caffè, degli ulivi, e tanti altri capolavori.

Ovviamente, tra i suoi capolavori ci sono anche opere più “crude”, a carattere più strettamente sociale.

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L'eredità artistica del maestro olandese ci fa riflettere sulla complessità di quel grande Universo che è la mente umana: conoscenze, comportamenti, sentimenti, istinto, razionalità.

Un Universo che pare abbia ancora molto da essere esplorato.


Noi esseri umani, soprattutto contemporanei, abbiamo spesso la tendenza a "etichettare" e “catalogare” qualsiasi cosa, a dividere tutto in cassetti o compartimenti stagni.

 

Questo possiamo farlo forse con gli oggetti di casa o in un ufficio.

 

Ma è difficile poterlo fare con la varietà dei comportamenti umani: come definire, ad esempio, il carattere di una persona in modo esatto; possiamo forse individuare una "linea" di carattere, ma con tante sfumature, un po' proprio come quelle pennellate di van Gogh.

 

Così come è difficile - e personalmente penso sia anche sbagliato - dividere in compartimenti la vastità delle conoscenze umane, delle discipline, delle materie. Lo si può fare nello schema di un orario scolastico o accademico, però semplicemente per praticità organizzativa.

Ma, credo, non possiamo farlo nella vita di tutti i giorni: come stabilire un confine netto tra la Filosofia e la Matematica? Tra la Storia dell'Arte e la Chimica dei materiali (pietre, colori, ecc...)? Tra la Botanica e uno splendido acquerello con soggetto botanico? Tra le Scritture Sacre, la Mitologia e l'Astronomia? Tra la Musica e la Matematica? Un musicista è anche un matematico, come sembrano dimostrare numerose ricerche neuroscientifiche.

 

Quindi come stabilire un confine esatto tra i tanti Saperi dell'essere umano?

 

Personalmente non ne sarei capace!

 

Vedo la conoscenza umana proprio come quel dipinto di Van Gogh da cui siamo partiti: tante tonalità di colore differenti ma allo stesso tempo sfumate, non distinguibili nettamente l'una dall'altra, con i colori "freddi" resi "tiepidi" dalle tonalità più calde - e viceversa -.

E pensiamo che la conoscenza umana è a sua volta "piccola" rispetto a quanto c'è da studiare e da conoscere dell’Universo in generale.


Ecco perché mi dispiace quando ancora si parla di "Scienza" e "Umanesimo" come due mondi separati; quando si parla delle materie umanistiche come qualcosa di "vecchio", da archiviare, da togliere dai programmi scolastici per evitare “inutili perdite di tempo”.

 

Non è così! Almeno per come la vedo io!

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Concentriamoci innanzitutto proprio sulla parola "Scienza": al giorno d'oggi usiamo questo termine per indicare soltanto le Scienze Naturali e quelle affini.

 

Torniamo invece all'etimologia, all'origine latina di "Scienza".  

Dal latino “Scientia”, un sostantivo che indica un mondo molto più vasto: tutta la conoscenza umana, quella naturalistica e quella umanistica, quella teorica e quella pratica; spesso le “Scienze”, le conoscenze, partono proprio dall’osservazione empirica, semplice, quotidiana che poi si cerca di spiegare e diventa teoria per essere contenuta nei libri.

 

Che bellezza in quella metafora che paragona la scrittura all’aratura dei campi e alla semina!

 

Proprio questa è la funzione della Scrittura: seminare qualcosa su un foglio bianco in modo che tutti la possano raccogliere una volta matura, cioè una volta che quel foglio è stato riempito. Il “raccolto” consiste nella lettura critica e nell’apprendimento, che a sua volta stimola nuove idee e nuove riflessioni; e quindi, nuove “semine” in nuovi campi.

Allora mi fa piacere sentire e leggere, da qualche anno, di “Scienze Umane”, “Scienze Matematiche”, “Scienze Naturali”, e così via.

Tutto il sapere umano è “Scienza”, e ogni Scienza ha bisogno dell’altra per completarsi! Sono, cioè, reciprocamente complementari.

 

Se le Scienze Naturali studiano e ci insegnano i meccanismi dell’Universo, le Scienze Umane ci insegnano l’Etica, la capacità di ragionare, arricchiscono il nostro linguaggio e facilitano la nostra “confidenza” con la parola scritta e con la parola “orale”.

La Filosofia (incluse le Scienze Religiose) ci "allena" al ragionamento, alla riflessione.

La Letteratura ci educa alla capacità di espressione scritta e orale, ci educa alla sensibilità, arricchisce il patrimonio del nostro vocabolario personale, a tutto vantaggio del nostro linguaggio. Letteratura italiana, Letteratura dialettale, Letteratura straniera. “Letteratura” nell’accezione più ampia del termine: ci metto anche il Teatro, il Cinema, l’Opera, la Musica, anch’essi espressioni letterarie (e anche matematiche; ad esempio la  Poesia con la sua metrica, e - come abbiamo già visto - la Musica).

E la Storia, “Maestra di Vita” con i suoi esempi e i suoi insegnamenti, fondamentali per comprendere il presente e per non commettere sempre gli stessi errori.

Il Greco e il Latino, anche oggi fondamenti del linguaggio delle Scienze tecnico-sperimentali oltre che di quelle umanistiche. Due lingue antiche che spesso, nella vita di tutti i giorni, ci aiutano per esempio a capire il significato di una parola, anche senza avere un vocabolario a portata di mano (cartaceo o digitale che sia).

E l’Archeologia, che va “a braccetto” sia con le Scienze Umane sia con quelle Tecniche, Naturali e affini. La ricerca archeologica: uno studio “materiale” del passato che ci dà risposte utili per capire il presente e per pianificare le cose con più chiarezza e consapevolezza.

E poi, un altro campo della conoscenza umana che personalmente ritengo degno di essere tutelato pienamente dalla Legge e considerato materia didattica: il Dialetto. Il Dialetto ci tramanda la cultura (materiale e immateriale) e la saggezza dei nostri antenati, quegli uomini di Scienza che magari non sapevano né leggere né scrivere ma che conoscevano molto delle leggi della Natura perché le imparavano dal lavoro di tutti i giorni: nei campi, in mare, tra i boschi, nei pascoli. Anche grazie a loro le Scienze accademiche sono progredite nel corso dei secoli. Donne e Uomini che non sapevano leggere o scrivere, o lo facevano a malapena, ma che erano capaci di prevedere il meteo, sapevano su quali terreni si poteva o non si poteva costruire, sapevano a che profondità interrare un nuovo albero messo a dimora. E tanti altri sarebbero gli esempi possibili. Conoscenze che provenivano dall’esperienza e dall’osservazione diretta delle cose, delle quali si faceva tesoro e diventavano patrimonio da tramandare di generazione in generazione, finché poi qualcuno finalmente non lo metteva per iscritto.



A titolo di esempio, mi vengono in mente due brevi testimonianze personali che ho raccolto negli anni.

 

1 - Un mio zio paterno, tra i molti ricordi di quando era ragazzino, me ne ha raccontato uno particolarmente curioso, anche se normale per chi conosce l’intelligenza animale: nei mesi autunnali e invernali, quando si dovevano riportare i bovini al riparo della stalla (come altri animali), prima che scendesse la notte con il suo gelo, a volte accadeva qualcosa di apparentemente insolito. Questi animali si fermavano all’ingresso della stalla (quasi “si piantavano”) e iniziavano a scuotere la testa con un movimento ripetitivo verso l’alto, come se “annusassero” l’aria; e quasi certamente era proprio così, annusavano l’aria. Qualche ora dopo, puntualmente arrivava la neve.

Ecco, quindi, che nella cultura dell’esperienza, quel fenomeno apparentemente semplice, valeva come una previsione meteorologica.

 

Nota. Non serve elencare i tantissimi proverbi dialettali a tema meteorologico, dalle tante realtà locali italiane: tutti nascevano da una osservazione scientifica ripetuta che, con il tempo, acquisiva il valore della “regola”. Ancora oggi, se prestiamo attenzione, possiamo ad esempio capire se stia per arrivare un temporale estivo quando vediamo le nuvole in una certa direzione, diversa da luogo a luogo; anche noi umani, se annusiamo l’aria possiamo percepire l’“odore della neve”, probabilmente più in ritardo rispetto agli altri animali.

Come sicuramente molti tra voi lettori, anch’io, fin dall’infanzia ho imparato spontaneamente a riconoscere l’“odore della neve” in arrivo, portato dai venti di Tramontana, di Aquilone, di Bora (quest'ultima collegata al Buran della pianura sarmatica; ma anche il vento di Borea citato ad esempio nel libro V dell’Odissea, durante il naufragio della zattera di Ulisse che si conclude con l’arrivo sulle coste dell’isola dei Feaci:

«Ma Atena […] Destò solo il rapido Borea, e l’onde gli ruppe davanti, / sicché tra i Feaci amanti del remo arrivasse / il divino Odisseo, sfuggendo la morte e le Chere.»).

 

2 - Poi mi viene in mente un racconto personale del signor Giuseppe “Peppino”, aquilano: ricorda quando da bambino vedeva suo nonno piantare un nuovo albero da frutto, aiutato dai suoi figli (il padre e gli zii del signor Peppino). Il nonno non aveva manuali che gli indicassero la profondità “giusta” della buca o la qualità del terreno più adatto; “semplicemente” si sedeva al bordo della buca e con i piedi nudi sul fondo dello scavo “assaggiava” il terreno finché non diceva «adesso va bene!», ossia quando sentiva che il terreno aveva la giusta umidità. Quel concetto di “giusto” gli derivava dall’esperienza di una vita, e magari gli era stato a sua volta tramandato.

Un po’ come il “quanto basta” (q.b.) nell’arte del cucinare.

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E così, tornando al discorso più generale, ci potremmo chiedere:

- si può essere veramente buoni Storici dell’Arte se non si conoscono almeno un po’ la natura dei materiali, il contesto storico di un’opera, la Filosofia e le Scritture Sacre?

- Si può essere veramente buoni Architetti e buoni Ingegneri se non si conoscono almeno un po’ la cultura di un territorio, il concetto di “paesaggio”, il concetto di “contesto”? Il Paesaggio, semplificando, non è altro che la “somma” di un Territorio con la Cultura di chi lo abita; ossia il Territorio più uno "Sguardo" (inteso come il modo di vedere un certo Territorio da parte di una certa Cultura). E chi, se non la Storia (Storia dell’Arte compresa), le Scienze Demo-Etno-Antropologiche - e affini - possono aiutare a comprendere un “contesto paesaggistico”?

-  Si può essere veramente buoni Medici se non si hanno anche princìpi etici ed empatìa?

E chi, meglio della Filosofia (nel senso più ampio), può aiutare a formare un’etica professionale?

 

Mi fermo qui con gli esempi che potrebbero essere davvero tanti.

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Per concludere, allora: rifiutiamo la conoscenza concepita come “compartimenti isolati”, dove ogni disciplina sta per conto suo, come in un mobile di casa con tanti cassetti separati!

Certo, ognuno di noi avrà la sua predilezione e la sua specializzazione; non si può essere “tuttologi” (“omniscienti”, se preferite un sinonimo più raffinato).

Nessuno, però, ci può impedire di allargare la nostra mente verso altre “Scienze”, che molto spesso si sfiorano o si intrecciano l’una con l’altra. Nessuno ci impedisce di essere curiosi di conoscenza e di far viaggiare la nostra mente verso tanti campi del Sapere umano, di confrontarci con chi ha “specializzazioni” diverse dalle nostre per poi accorgerci di quante cose abbiamo in comune, di fare collegamenti.

Non dobbiamo porre limiti alla “coltivazione” della nostra Mente, del nostro Pensiero; è una “coltivazione” che deve proseguire sempre, possibilmente senza limiti di età.

 

D’altra parte, che cos’è la Cultura? Se prendiamo il termine alla lettera, è proprio “coltivazione”; dal latino “colere” (= coltivare). Poi, appunto, ognuno di noi avrà le sue coltivazioni predilette; chi coltiverà una cosa, chi un’altra. Ma non mettiamo recinti al nostro “campo” da coltivare e, se ci va, proviamo anche nuove coltivazioni, e magari allarghiamo il nostro “podere” intellettivo.

La Mente è un terreno di proprietà nostra - idealmente senza recinto - per cui coltiviamola come meglio crediamo ma sempre in direzione del “più” e non del “meno”. Proprio come farebbe un buon contadino, finché la coltiviamo manteniamo lontane le “erbacce” infestanti dell’Ignoranza; e l’Ignoranza con la “I” maiuscola non dipende dal titolo di studio ma da una mente poco coltivata, dove può attecchire l’erbaccia dell’ottusità.

Si può essere anche analfabeti ma si può avere tanto da insegnare oltre che da imparare - e viceversa -.

Si può essere anche analfabeti ma avere una mente aperta e predisposta a nuove coltivazioni - e viceversa -.

L’analfabetismo in senso classico non è una scelta e quindi nulla toglie al potenziale intellettivo di una persona.

 

Insomma, non mettiamo limiti all’Universo complesso della mente umana e non dimentichiamo che anche gli altri animali possono avere menti complesse e aperte, magari molto più di quanto potremmo immaginare!



 

Mauro Rosati