(Articolo inviato alle redazioni di stampa locale in data 21 dicembre 2020;
integrato con ulteriori brevi apporti in data 25 dicembre 2020)
Vi propongo di seguito un breve articolo inviato
alle redazioni di stampa locale il 21 dicembre 2020 e pubblicato nei giorni
successivi.
Ad esempio su "Il Capoluogo":
e condiviso anche dal sito
dell'"Associazione Abruzzese di Roma":
L'articolo è stato poi arricchito da alcuni brevi
apporti tra i quali due riscontri di nostre concittadine che lo hanno letto
nella giornata di Natale!
Colgo l'occasione per rinnovare a tutti voi lettori i
miei Auguri di Serene Festività!
----------------------------------------------------------------------------------
Buona Natale!
No! Non mi sono sbagliato! 😊
È proprio così che si pronuncia nella tradizione
dialettale aquilana.
Come ci fa osservare il prof. Carlo De Matteis -
nei suoi commenti alla Cronica del nostro Buccio di Ranallo -
"Natale" ad Aquila si declina al femminile perché deriverebbe dal
francese "la Noël"; da qui, l'uso aquilano "la
Natale".
Non mancano anche altre ipotesi su questa
declinazione al femminile.
Ad esempio, la studiosa aquilana Beatrice
Sabatini ipotizza che la versione femminile dialettale potrebbe essere derivata
direttamente dall'espressione latina "dies Natalis"
successivamente declinata al femminile nel processo di volgarizzazione del
latino classico, ossia nella trasformazione del latino classico nell'uso
parlato popolare.
E poi il "Capodanno"!
"La Natale" era il nostro Capodanno
aquilano.
Anche questo ce lo ricorda Buccio di Ranallo in
vari passaggi della sua opera; ad esempio quando parla dell'inizio del Giubileo
del 1350, dopo la descrizione del grave terremoto del 1349:
«Poi venne la Natale 'ntrò l'anno Jebelleo»
(Venne la Natale e iniziò l'anno del Giubileo).
Perché Capodanno a Natale?
Nel Medioevo si erano diffusi diversi "stili"
di calendario: si usava il calendario giuliano ma, a seconda delle zone
d'Italia e d'Europa, il Capodanno cadeva in un giorno diverso dell'anno in base
allo "stile" adottato in una certa zona; lo "stile"
era ovviamente legato sempre a un giorno simbolico della liturgia cristiana.
Nel calendario gregoriano in uso attualmente dal
1582, si usa lo "Stile della circoncisione", che colloca il Capodanno
al 1° gennaio, nell'ottavo giorno del Natale (il conteggio comprende infatti
anche il 25 dicembre stesso).
Ad Aquila si usava lo "stile della
Natività", per cui il nuovo anno iniziava il 25 dicembre.
Ecco perché al giorno d'oggi, il 25 dicembre
potremmo dirci anche «Buona Natale e Buon Anno!»; un modo simpatico per
conservare e tramandare le nostre tradizioni più antiche.
-----------------------------------------------------------------------------------
Ora facciamo un "salto" in avanti di 12
giorni e arriviamo alla «Pasqua Bbifania che tutte le feste le manna via».
Ho sentito spesso persone anziane che nel giorno
dell'Epifania dicevano «Bbona Pasquetta».
Perché?
Perché il 6 gennaio si festeggia la «Pasqua
Epifania», ossia la "prima" Pasqua dell’anno, che precede quella
primaverile, centro dell'anno liturgico.
L'Epifania ("manifestazione") - infatti
- è il giorno in cui "ufficialmente" per la prima volta Gesù si
mostra al mondo, quando i Magi lo raggiungono per consegnare i loro doni;
quindi, Dio che si manifesta nella persona di suo Figlio (Epifania di Nostro
Signore Gesù Cristo).
Nella liturgia, il giorno dell'Epifania si recita
solennemente l’«Annuncio del giorno della Pasqua» con la sua data e con
quelle di tutte le festività liturgiche che da essa derivano - prima e dopo -
(le “feste mobili”).
Quindi "Pasquetta" indica la prima
Pasqua dell'anno che precede la Pasqua “più conosciuta”, ossia quella che cade
la prima domenica dopo la prima luna piena di Primavera.
[1-Curiosità]. In Campania, ad esempio, è
tradizione consumare la prima pastiera nel giorno dell'Epifania; e non per
caso.
La pastiera, infatti, è un noto dolce pasquale
della tradizione napoletana e campana.
[2-Curiosità]. La Pasquarella!
Tra i lettori dell'articolo pubblicato sulla stampa nei giorni scorsi, c'è la nostra concittadina Gabriella Liberatore che ha riferito questo interessante ricordo:
«Mio padre raccontava che passato Natale, i giovani andavano in giro per le case a cantare la pasquarella. Si ammazzava il maiale e la canzone era: - se me ha' la sarsicciella ji te canto la pasquarella, ma se non me la vo da’ te se pozza fracica' -.»
(Se
mi dai la salsiccella io ti canto la Pasquarella, ma se non me la vuoi dare ti
si possa fradiciare; nel senso di "andare a male",
"irrancidire". Insomma, una specie di "dolcetto o scherzetto?" 😊)
E per concludere, anche qui ci viene "in
aiuto" Buccio di Ranallo che in una quartina della sua Cronica rimata
cita la «Pasqua de jennaro» (la Pasqua di gennaio).
Ce ne parla quando racconta l'elezione del
Governo delle Arti ad Aquila, nel 1354:
«Poi che questo fo facto, lu consillio
adunaro, /
e•llu sequente jornno, poi Pasqua de
jennaro, /
fra li altri dieci elessero como illi
conselliaro, /
lu capetano co•lloro, in cinque lo frenaro»
(Dopo che ciò fu fatto, riunirono l'assemblea / e
il giorno seguente, dopo la Pasqua di gennaio, / ne elessero dieci fra tutti,
come essi avevano consigliato, / il capitano con loro e in cinque lo
controllavano).
Mauro Rosati