martedì 8 dicembre 2020

L'8 dicembre del signor Spartaco

(Anno 1935; fonte immagine: M.P. RENZETTI, L. MARRA, F. CAPALDI, Aquila in cartolina, One Group Edizioni, L'Aquila 2010)


In questo breve racconto che segue ho messo insieme frammenti di memorie orali, raccolte negli anni da testimoni diretti e indiretti, su uno degli eventi più tragici della nostra città nel Novecento.

Si tratta di testimonianze raccolte “a memoria” durante delle chiacchierate e quindi mi scuso con i lettori per eventuali passaggi che dovessero apparire più “vaghi”.

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La mattina dell’08 dicembre 2006 mi stavo recando al Convento di San Giuliano per andare al lavoro; ero uno studente universitario e, oltre che per i miei studi, già da molto mi interessava la Storia: mi piaceva leggerla sui libri ma anche sentirla raccontare da chi l’ha vissuta direttamente.

Al tempo delle Scuole Medie la professoressa di Scienze Umane ci aveva indirizzato attivamente alla conoscenza del nostro territorio e alla ricerca storica, sia orale sia documentaria.


Quella mattina dell’08 dicembre 2006, a San Giuliano c’era anche il signor Spartaco - classe 1925 - mio vicino di pianerottolo, persona alla mano, semplice e spiritosa (nell’accezione positiva di questi termini). Lui e sua moglie Lisa erano stati tra le prime persone che conobbi appena trasferitomi a L’Aquila da adolescente con la mia famiglia. Fin dal primo giorno ci accolsero con tanta disponibilità, generosità e ospitalità, da vicini di casa “di una volta” (o “de 'na 'ote”, se preferiamo).

Forse, per questo, con il tempo li considerai un po’ come dei "terzi nonni", sempre nel senso positivo dell'espressione.

 

Torniamo di nuovo all’08 dicembre 2006. Era una mattinata limpida di sole, di quel sole invernale cristallino e gradevole che regala tepore e una luce particolare e suggestiva; le ultime nebbie della nottata si andavano diradando nelle zone più basse della città, in particolare verso il fiume Aterno.

Tra una parola e l’altra, si finì con il ricordare l’anniversario del bombardamento alleato del 1943, nella zona della Stazione ferroviaria. Non ricordo esattamente come si arrivò al discorso, ma ricordo sufficientemente il racconto del signor Spartaco.

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- Era ’na bella jornata, propitu come oggi! - esordì, riferendosi all’08 dicembre 1943.

Il signor Spartaco aveva 18 anni e, insieme ad altri ragazzi, era stato obbligato dai militari nazisti a prestare lavoro quotidiano come una sorta di “garzone-prigioniero”. Eravamo nei mesi dell’occupazione nazista della nostra città e del nostro territorio, ossia quel periodo compreso tra l’08 settembre 1943 e il 13 giugno 1944, il giorno della liberazione dell’Aquila.

In quei mesi il signor Spartaco era stato fermato dai Nazisti insieme ad altri ragazzi, più o meno della sua fascia di età. I giovani e i giovanissimi uomini, infatti, erano particolarmente sospettati di essere “fiancheggiatori” dei partigiani, se non addirittura partigiani essi stessi.

Dopo il “fermo” era stato condotto presso il carcere allestito dagli occupanti nei locali dell’abbazia di Collemaggio, a destra della Basilica. Lì vennero perquisiti, chiusi in celle fredde, e poi rilasciati quando era stata accertata la loro “estraneità”.

Per cui vennero presi come manodopera per i lavori manuali di ordinaria amministrazione.

 

La mattina dell’08 dicembre 1943, il signor Spartaco si trovava presso la Caserma “Edmondo De Amicis” (il complesso, oggi abbandonato, che si vede a destra guardando la facciata della Basilica di San Bernardino).

Mentre era lì, con altra gente che passava lungo la strada antistante, iniziò a sentire il rumore di aerei che arrivavano dal lato nord. Il signor Spartaco ricordava di aver visto gli aerei provenire dalla direzione di San Giuliano, prima una formazione aerea e poi una seconda.

Gli aerei erano distanti e, al luccichìo del sole, lui e gli altri che si erano fermati a guardare, videro delle piccole cose che iniziavano a cadere dagli aerei. Molte persone esclamarono: - i fuglittini! I fuglittini! – (i “fogliettini”, con riferimento ai famosi volantini lanciati di tanto in tanto dagli Alleati per incitare la popolazione civile alla resistenza e alla ribellione contro l’esercito nazista occupante).

 

Neanche il tempo di pronunciare quelle parole - qualche secondo - e si sentirono dei boati prima dalla direzione di Piazza d’Armi (o Piazza d'Arme) e poi sempre più frequenti verso Villa Gioia, la Rivera e, in generale, dalla zona del fiume ai piedi di Monte Luco. A quel punto la gente aveva capito che non era il solito lancio di volantini ma un bombardamento vero e proprio condotto dagli Alleati. Tra gli obiettivi principali c’erano la Stazione ferroviaria e lo stabilimento della Zecca, ma - pare - anche l’area di Piazza d’Armi dove i Nazisti avevano allestito un piccolo “aeroporto” (una pista) per i velivoli leggeri (in ogni caso, Piazza d’Armi – o Piazza d’Arme – doveva essere probabilmente un obiettivo secondario).

Dai racconti della gente che erano iniziati a circolare in città, si veniva a sapere che le prime bombe erano cadute appunto su Piazza d’Armi, poi su Villa Gioia - dove all’epoca c’era la caserma “Vincenzo De Rosa” -, e poi sempre più numerose sulla zona della Stazione e della Zecca (i due principali obiettivi, come già scritto). Vennero coinvolte anche abitazioni civili tra la Rivera e il fiume Aterno, vicine alla zona interessata.

 

Nota. La caserma “Vincenzo De Rosa” (18° Reggimento di Artiglieria) si trovava principalmente nel sito dove oggi sorgono il Palazzo di Giustizia e gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate: come “testimone” di quella caserma è rimasta oggi la facciata di uno dei fabbricati adibito a scuderia, restaurato insieme alle Mura negli anni recenti; si tratta di quella grande facciata - che a prima vista si può scambiare per una chiesa - che vediamo all’altezza dell’incrocio tra Via Rocco Carabba e Viale XXV Aprile (il viale che scende alla Stazione).

Fino al sisma del 2009, esistevano altre due testimonianze della caserma "De Rosa": una gradevole palazzina subito all’inizio di Via Francesco Filomusi Guelfi, dietro il Tribunale, dove adesso c’è uno dei parcheggi per il Palazzo di Giustizia; la palazzina, costruita a uso residenza militare, è stata demolita nei primi anni successivi al terremoto del 2009. Un’altra testimonianza era invece una garitta un po' “neogotica” (tardo-ottocentesca) costruita sulla base di un bastione delle Mura medievali davanti al Tribunale, in prossimità dell’incrocio tra Viale XXV Aprile e Via XX Settembre; era ben distinguibile dal bastione sottostante perché costruita con una tecnica muraria diversa. Questa garitta, che somigliava un po’ alla parte alta (la cella campanaria) del campanile di San Silvestro, è crollata a causa del sisma del 2009 ma non è stata ricostruita durante il restauro delle Mura.

Lo stabilimento della Zecca - invece - si trovava poco più a ovest della stazione, vicino alla confluenza del torrente Vetojo nel fiume Aterno, dove oggi c’è lo stabilimento ex sede dell’azienda Alenia, danneggiato dal sisma del 2009 e attualmente in stato di abbandono.

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Le ultime bombe caddero ai piedi di Monte Luco, sganciate dagli aerei per non riportare il “peso” fino alla base e per risparmiare quindi il carburante.

Dall’altura di San Bernardino, dove era il signor Spartaco, si vedeva bene la nuvola di fumo che saliva dalla zona più bombardata.


Il signor Spartaco, all'epoca, viveva in Via Giorgetto, una delle belle stradine che si trovano tra le gradinate e vicoli caratteristici, che salgono da Via Fontesecco verso il Colle dell'Addolorata ("Via Giorgetto" collega "Via Buccio di Ranallo" con "Vico dell'Ortica").

 

In quegli stessi istanti, altri due testimoni si salvarono casualmente.

La signora Lisa, futura moglie del signor Spartaco, era con altre ragazze a lavare il bucato nella zona delle Novantanove Cannelle; alcune “schegge” delle esplosioni schizzarono fin lì e anche più lontano, come si sa da tante altre testimonianze. La signora Lisa rimase fortunatamente illesa ma, come tanti altri, dovette andare a scavare tra le macerie di alcune abitazioni per cercare parenti, conoscenti, amici.

Anche la signora Maria, sorella della signora Lisa, si salvò per pochi minuti. Era in casa poco prima del bombardamento e le chiesero di andare a prendere l’acqua alla fonte con un recipiente di vetro, come si faceva ancora in tutte le case senza acqua corrente; e a svolgere queste mansioni si mandavano ovviamente bambini e ragazzini, i più giovani, i più agili - e sempre con la raccomandazione severa di fare attenzione a non rompere il preziosissimo vetro (tanti anziani narrano questo ricordo della paura di rompere il vetro; anziani di oggi, bambini di allora) -. Mentre la signora Maria, allora giovanissima, era a prendere l’acqua, caddero le bombe proprio vicino a dove abitava anche lei.

 

Inutile descrivere le scene successive.

 

La signora Maria mi raccontò questo frammento di storia personale poche settimane dopo il terremoto del 2009: alla fine del racconto esclamò - e so’ due! -; intendeva dire che si era salvata due volte, prima dal bombardamento e poi dal terremoto.

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Tante furono le vittime di quel bombardamento, civili e militari, in particolare molte lavoratrici e diversi lavoratori presso lo stabilimento della Zecca, abitanti della zona della Rivera, ferrovieri, militari nazisti ma anche militari anglo-americani prigionieri, che erano chiusi nei vagoni fermi alla Stazione ferroviaria: uno dei paradossi delle guerre; bombardieri alleati che avevano ucciso i loro stessi soldati a terra.

La cronaca storica di quell’08 dicembre 1943 è ricca di articoli e di bibliografia (libri, ricerche) oltre a tante altre testimonianze dirette. Per cui non mi dilungo ulteriormente e mi avvio a concludere questo ricordo, riportando altri due frammenti di memoria orale.

 

L’08 dicembre 1943, il signor Giacinto - oggi quasi novantenne - era poco più di un bambino. Pochi anni fa raccontava che nei giorni immediatamente successivi al bombardamento, passò per il Viale che scendeva alla Stazione (l’odierno Viale XXV Aprile) insieme a una donna adulta sua familiare (non ricordo se una zia). A distanza di tanti decenni, ricordava in modo indelebile che un po’ ovunque si vedeva ancora del fumo, e soprattutto ricorda un odore di carne bruciata; inutile scendere nel dettaglio e ipotizzare da dove probabilmente provenisse quell’odore.

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Lo “strascico” di quel bombardamento rimase non solo nella memoria di chi l’aveva vissuto, ma per diversi anni anche alla vista di tutti i giorni.

Il signor Paolo, classe 1947, ricorda che nella sua prima infanzia, quando con una sua familiare adulta si recava a piedi da Via XX Settembre alla Rivera, percorreva una strada a curve in discesa; dovrebbe trattarsi dell’odierna Via di Poggio Santa Maria, che tutt’oggi conduce fino a Borgo Rivera.

Il signor Paolo ricorda chiaramente, al lato di questa strada, una croce collocata a terra: quella croce segnalava alla gente la posizione di una bomba aerea inesplosa non ancora “bonificata”; eravamo più o meno nel periodo tra la fine degli Anni ’40 e l’inizio degli Anni ’50 del Novecento.


Diverse furono le "bonifiche" successive alla Guerra.

 

È cronaca più “recente”, la grande operazione di “bonifica” dei binari della Stazione effettuata negli Anni ’80 e di cui esistono molte attestazioni storiche, sia grafiche sia fotografiche.

Ancora alla fine del Novecento, ogni tanto spuntava qualche bomba inesplosa, soprattutto durante gli scavi per la costruzione di palazzine nei dintorni della zona bombardata.

 

Nota. L’immagine storica (1935) che avete visto in alto è una veduta, da est verso ovest, dell’area della Stazione ferroviaria e dello stabilimento della Zecca, prima del bombardamento del 1943.

Non ho inserito la didascalia all’inizio per non “anticipare” visivamente il racconto, anche se molti di voi avranno sicuramente riconosciuto subito la veduta.

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E così, cercando di legare fra loro questi spezzoni di memorie, ho pensato che fosse importante riportarli per iscritto - nella forma di un unico breve racconto -.

Sia nel ricordo di quella mattina di dicembre del 1943, sia nella volontà di “agganciare” questi racconti - raccolti in momenti diversi - a tante altre testimonianze dell’epoca.

 

Oggi il Piazzale della Stazione – così lo chiamiamo comunemente – è intitolato proprio alla memoria di quei Caduti: “Piazzale Caduti 8 dicembre 1943.

 

 

 

Mauro Rosati

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Sulla cronaca storica di quel bombardamento, suggerisco la lettura di questo articolo (2013) del prof. Walter Cavalieri: 

https://www.ilcentro.it/l-aquila/settanta-anni-fa-le-bombe-sulla-stazione-1.1263689