sabato 19 settembre 2020

I dialetti? Lingue vive (fortunatamente) - L'Italiano? Un po' meno (in questo momento)

Mappa delle lingue d'Italia
(Fonte immagine: Wikipedia; Di Mikima - File:Linguistic_map_of_Italy.png, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47107644 )

 

La mia riflessione, più generale, prende spunto dal seguente articolo:
(Personalmente aggiungerei all'elenco anche "struppiare / struppiat'"; rovinare / rovinato, dallo spagnolo castigliano "estropear / estropeado").
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I dialetti - le nostre lingue locali - erano, e in gran parte lo sono ancora, delle lingue vive che nel tempo hanno saputo assimilare termini nuovi da lingue forestiere e sono riuscite a farli propri; un'evoluzione continua, tanto che ancora oggi la maggior parte di essi riesce ad elaborare anche termini nuovi (neologismi), in maniera seria o scherzosa, ma comunque in modo attivo. Per questo, cerchiamo tutti di continuare a coltivare queste nostre lingue locali, le nostre ricchezze immateriali; ci sono tanti modi: facciamolo con il cinema, con la musica, con il teatro, con la poesia e anche, semplicemente, con una chiacchierata in famiglia o tra amici! Non vergogniamocene, facciamone il nostro vanto, imparando a utilizzare regolarmente i dialetti accanto alla nostra lingua ufficiale nazionale!

E, perché no? Divertiamoci a imparare qualcosa anche dai dialetti diversi dal nostro!

L'italiano, invece, la nostra lingua ufficiale nazionale, da qualche decennio sta diventando di fatto una "lingua morta". Una lingua che ormai acquisisce passivamente termini stranieri ma non li assimila, non riesce a farli propri: un po' come se un organismo ingoiasse pezzi di cibo senza masticarli e senza riuscire a digerirli, senza quindi assimilarne gli elementi energetici e nutritivi.
Questo è diventata oggi la lingua italiana: una lingua che ingoia "pezzi" di lingue straniere ma senza farli propri. Inutile fare l'elenco soltanto di questi ultimi anni, sarebbe lungo.
Peggio ancora, la lingua italiana oltre che una "lingua morta" è anche in regressione: ha iniziato a utilizzare vocaboli stranieri anche dove prima utilizzava termini propri (provate, per esempio, a seguire una telecronaca calcistica); la lingua italiana di oggi usa forestierismi in modo improprio, spesso con significato diverso rispetto alla lingua di origine (tipo l'"italiese").
E quel che è ancora più grave, a cominciare dalla Pubblica Amministrazione, è che spesso l'uso di questi termini di importazione viene fatto per un semplice (e vanitoso) sfoggio "intellettuale" fine a se stesso, oppure per confondere volutamente le idee di chi legge o ascolta (a questo punto preferirei il "latinorum" del don Abbondio manzoniano, almeno si tratterebbe pur sempre della lingua-base da cui deriva la nostra nazionale).
In realtà questo sfoggio di forestierismi non ha niente a che fare con la cultura e con l'intelletto. Allora perché lo facciamo? Per provincialismo? Per complessi di inferiorità nazionali? Per scarso senso critico? Per pigrizia? O per semplice abitudine?
Non saprei con certezza.
Una cosa però è sicura: basta che il nuovo vocabolo venga lanciato da un qualsiasi canale di comunicazione (influente ovviamente), e quasi tutti, a prescindere dal titolo di studio, iniziamo a utilizzarlo senza il minimo spirito critico, senza neanche provare ad assimilarlo o a cercare un possibile corrispettivo nella lingua italiana.

Una lingua viva, invece, si arricchisce con parole straniere ma assimilandole, adattandole, facendole proprie; così faceva la lingua italiana fino a qualche decennio fa e così, fortunatamente, accade ancora oggi per la maggior parte delle nostre lingue locali.



Mauro Rosati


P.s.: per chi fosse curioso, dal 2015, nell'ambito dell'Accademia della Crusca è nato il gruppo di lavoro "Incipit" che, con comunicati stampa periodici, denuncia l'abuso di neologismi stranieri e suggerisce le possibili alternative in lingua italiana ( https://accademiadellacrusca.it/…/la-nascita-del-grupp…/6347 ).