(Articolo inviato alle redazioni di stampa locale in data 1° settembre 2020)
Fig. 1. L’Aquila - Chiesa di San Marco; facciata (Fonte immagine: Wikipedia - 2016; Di Pietro - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48624904 ) |
Fig. 2. L’Aquila - Chiesa di San Marco; il campanile in alto a destra (Foto: Giuseppe D’Annunzio - 2017) |
"San
Rocco a L'Aquila": non mi riferisco al nome di una chiesa ma a San Rocco
"in persona".
Nella
figura di San Rocco storia e leggenda si intrecciano fra loro; non
dimentichiamo però che anche la leggenda si basa sempre su una verità di fatti
e quindi va tenuta in dovuta considerazione nella ricerca storica. “Snocciolando”
leggende e racconti popolari si può estrarre il “succo” di indizi storici
importanti.
Se
in questo momento storico leggessimo la biografia (o “agiografia”) di San
Rocco, a distanza di circa sette secoli - cambiando contesto e personaggi -
sembrerebbe quasi di leggere le cronache dell'Italia di oggi, afflitta dalla
piaga della pandemia insieme alla maggior parte del Mondo. All'epoca di San
Rocco il morbo si chiamava "peste", oggi ha un altro nome e un'altra
natura; la sostanza però è simile.
Ecco
perché, quest'anno, la memoria di San Rocco - celebrata il 16 agosto - ha
assunto un significato particolare e diverso rispetto al solito.
Di
San Rocco sappiamo che apparteneva al Terz'Ordine Francescano (T.O.F.) ed era
originario di Montpellier (Occitania; Francia). Sui suoi estremi biografici
(date di nascita e di morte) ci sono due versioni differenti:
-
1295-1327, la prima versione, quella tradizionale;
-
la seconda versione - quella oggi più sostenuta - indica la sua nascita tra il
1345 e il 1350, e la sua morte tra il 1376 e il 1379.
Esistono
versioni diverse anche su dove sia morto (Montpellier, Angera, Voghera); è
sepolto nella chiesa di Venezia a lui intitolata. Per i dettagli sulla vita del
Santo rimando ai numerosi racconti facilmente reperibili, anche in rete.
Di
famiglia benestante, San Rocco rinunciò ai suoi beni e si incamminò in
pellegrinaggio verso Roma. Nel suo viaggio (di andata e di ritorno) attraversò
l'Italia flagellata dalla peste, fermandosi in diverse località (Roma compresa)
ad assistere e a curare i contagiati; ben presto gli vennero attribuite
guarigioni miracolose, tra cui quella di un cardinale a Roma, e già da vivo
acquisì la fama di santità. Tornando da Roma, quando era a Piacenza, anche San
Rocco venne contagiato dalla peste riuscendo poi a guarire.
Per
questi motivi, tra i tanti attributi iconografici (il cappello, il bastone, la
borraccia, il mantello con i simboli del pellegrino, il cane con il pane ai
suoi piedi) ce n'è uno “principale” che compare quasi sempre: San Rocco viene
rappresentato mentre si scopre una gamba per mostrare una piaga della peste.
E
sempre per queste ragioni, nella cultura cristiana popolare San Rocco divenne
presto il Santo da celebrare e da invocare particolarmente per la difesa dalle
malattie infettive.
Il
culto di questo Santo è talmente diffuso e sentito che, ad esempio, dal 1856
San Rocco è uno dei Santi compatroni di Napoli, una delle grandi città di
cultura europee e storica capitale.
C'è
poi una curiosità “meteorologica”. Prima del disastro climatico in corso da
alcuni decenni - ancora fino a 25-30 anni fa - la ricorrenza di San Rocco (16
agosto) rappresentava in genere una "svolta" stagionale, almeno nel
nostro Appennino ma credo anche altrove: passata la "canicola" (o
"solleone") i temporali si facevano più frequenti, le temperature
andavano abbassandosi gradualmente, le giornate erano ancora estive ma
diventavano più gradevoli; questo periodo di transizione conduceva pian piano
verso l'autunno meteorologico, nell'arco di circa un mese, e senza troppi
"sbalzi" di temperatura - né in un senso né nell'altro -.
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Veniamo
adesso ai giorni nostri e avviciniamoci al nostro territorio.
Sappiamo
più o meno tutti che San Rocco è il patrono del borgo di Piànola, appena fuori
le mura della nostra città, sull'altra riva del fiume Aterno. Oltre a San
Franco, San Rocco è celebrato anche nel borgo di Assergi (nella
Delegazione-“Castello” di Camarda) dove si festeggia il 14 agosto. Sempre nel
nostro Contado esistono cappelle intitolate a San Rocco nei borghi di Forcella
di Preturo, Pagliare di Sassa, Pescomaggiore e - più lontano - nel borgo di
Civitaretenga (L’Aquila; Altopiano di “Navelli-Civitaretenga”). Soltanto per
citarne alcune.
Se
poi dalla nostra città ci spostiamo verso sud, allontanandoci di alcuni
chilometri - direzione Tornimparte - arriviamo a Monte San Rocco, confine
naturale e valico autostradale tra il Contado aquilano e l'Alto Cicolano; in
particolare, il nome della montagna è legato al vicino paese di Corvaro, di cui
San Rocco è patrono insieme a San Francesco d'Assisi, e al quale è intitolata
una piccola e storica chiesa-oratorio. Da racconti orali del luogo si apprende che
la stessa galleria autostradale - intitolata a San Rocco - oltre che al nome
della montagna, si legherebbe a una sorta di "ex voto" per cui gli operai e l'impresa che la realizzarono
(1965-1968) vollero onorare San Rocco, poiché lo scavo del traforo non causò
nessuna vittima tra i lavoratori; ne seguì una donazione a favore della
parrocchia di Corvaro.
Ora
torniamo a L'Aquila e "atterriamo" in Piazza del Duomo. C'è un San
Rocco tra le vie della nostra città che ci "guarda" dall'alto, da una
posizione ben visibile, ma di cui non ci accorgiamo quando gli passiamo
davanti.
Raggiungiamolo
con il percorso più semplice. Da Piazza del Duomo entriamo in Via
dell'Indipendenza - la strada che inizia tra il Palazzo della Banca d'Italia e
il bel palazzetto Nardis "neomedievale-toscaneggiante" (XX secolo) -.
Alla
fine della via si apre uno spazio: siamo in Piazza San Marco; giriamo lo
sguardo verso destra e abbiamo davanti a noi la facciata della chiesa di San
Marco Evangelista, tra le chiese più antiche e più importanti della città (Fig.
1).
La
facciata, così come la vediamo oggi, si presenta come una "fusione"
architettonica fra la tradizione aquilana più antica e un elemento “di
importazione”, ossia le due "torrette-campanile" che formano
nell'insieme una "facciata-campanile".
Sulla
torretta in alto a destra si legge «A.JUB. 175[0]» (non sembra visibile lo
zero), ossia l'anno del completamento della ristrutturazione della facciata,
coincidente con il Giubileo.
I
campanili sono stati applicati ai due estremi della facciata, quindi era lì che
forse si era concentrato l'intervento principale di ricostruzione; il terremoto
del 1703 - è un’ipotesi - aveva probabilmente provocato "le orecchie"
agli angoli della facciata che si erano piegati e poi, forse, crollati. Un po'
quello che abbiamo visto anche dopo il sisma del 2009.
L'impostazione
tradizionale aquilana è riconoscibile dalla lavorazione delle pietre e dalle
fasce in pietra rossa che caratterizzano anche altre facciate aquilane delle
origini (in particolare del Duecento e del Trecento); i campanili si innestano
sulla facciata mediante uno “zoccolo” ciascuno e con delle fasce (lesene) che
li legano architettonicamente e visivamente alla parte originale, come se
"germogliassero" dalla muratura più antica. Nella parte più originale
fa eccezione il finestrone centrale settecentesco, al posto del rosone tradizionale
che molto probabilmente esisteva in origine. Sui fianchi della chiesa -
soprattutto quello destro - è ben visibile una muratura medievale più antica “a
cubetti”, realizzata in “apparecchio aquilano” duecentesco-trecentesco (“opus aquilanum”) mentre in facciata
vediamo una lastra - apparentemente altomedievale (prima del 1000) -
riutilizzata e murata nel rivestimento (cortina) della muratura.
Al
centro della facciata di San Marco, in alto sopra il finestrone, c’era anche
un’immagine in pietra della Madonna con il Bambino, datata alla seconda metà
del XV secolo e coronata da un “baldacchino” in pietra. Questa immagine è
caduta dalla facciata durante il terremoto del 2009 ed è stata recuperata dai
Vigili del Fuoco che l’hanno trovata quasi intatta, con alcune piccole rotture
riparabili.
[Proposta].
Nel caso fosse andato distrutto, sarebbe importante ricostruire il piccolo
baldacchino “a corona” (documentato da foto in rete) che era posizionato sopra
l’immagine della Madonna con il Bambino, un dettaglio che la valorizzava.
[Riflessione].
Tornando alla facciata di San Marco in generale, esprimo un parere personale:
dal mio punto di vista, la "fusione" complessiva sulla facciata è
abbastanza ben riuscita; i campanili e lo zoccolo sinistro sono distinguibili
per alcune differenze nella qualità della pietra (più “spugnosa”) - e in parte
nel taglio - ma allo stesso tempo sono "rispettosi" della parte più
antica, poiché utilizzano una tipologia di pietra differente ma che non
"stacca" in maniera brusca dal punto di vista del colore. Una
"fusione" quindi, un "innesto" distinguibile ma dialogante,
e non quell'"appiccico" (o
"copia e incolla" se preferite) che si crea quando si applica un
elemento nuovo - “di importazione” - senza un raccordo e senza un
"dialogo" con quello che già esiste.
Torniamo
al racconto. Se guardiamo bene i campanili della facciata - magari con l'aiuto
di un binocolo - ci accorgiamo che ci sono quattro statue di santi, due per
ciascun campanile; ogni statua è “appoggiata” su una mensola ed è coperta da un
"baldacchino".
Da
sinistra a destra: San Marco Evangelista, titolare della chiesa; San Tussio
eremita; San Raniero, vescovo di Forcona; e un Santo senza nome e con la parte
della testa mancante. Questo santo senza nome sembra essere proprio San Rocco,
riconoscibile dalla postura con cui mostra la gamba destra e dal cane ai suoi
piedi con il pane (Fig. 2).
[Proposta].
Sarebbe bello se nel restauro della facciata venisse ricostruita la parte
mancante della statua di San Rocco, ovviamente in maniera riconoscibile secondo
i principi contemporanei del restauro.
A
questo punto ci chiediamo: perché San Rocco? Che c'entra con la chiesa di San
Marco?
Torniamo
alla fondazione della nostra città, e rimaniamo sempre nella zona di San Marco.
Siamo nel Quarto di San Giorgio, nel grande locale assegnato agli abitanti del
comprensorio di Bagno, cui appartiene anche Piànola.
[Nota].
Storicamente, infatti, il borgo di Piànola fa parte del territorio del “Castello”
di Bagno; per "castello" si intende "comprensorio", poiché
Bagno è un “nome collettivo” che include tanti borghi. Ecco perché i
"bagnesi" e i "pianolesi" condividono in città lo stesso
locale, e oggi la chiesa di San Marco riunisce idealmente - in un unico luogo -
tutti i borghi di questo “castello”.
[Riflessione].
A proposito di “castelli”, c'è una curiosità che potrebbe interessarci:
nell'ordinamento
attuale della Repubblica di San Marino esistono i "Castelli", che corrispondono
in sostanza ai “Comuni” della Repubblica Italiana.
Bisogna
precisare che l'origine e la strutturazione dei Castelli di San Marino hanno
una dinamica diversa dal rapporto Castelli-Città del nostro territorio. Tuttavia
- se riflettiamo sulla questione in generale - le Delegazioni del nostro Comune
sono "comprensori" che raggruppano più castelli di fondazione: a mio
parere, sarebbe storicamente legittimo se le Delegazioni del nostro Comune
venissero ufficialmente definite "Castelli"; la cosa avrebbe
fondamento storico e valorizzerebbe questi distretti che formano il Comune
dell'Aquila, nell'ottica della struttura "Città-Territorio" che
caratterizza fin dalle origini la nostra città. Non dimentichiamo, tra le altre
cose, che il nostro territorio comunale è molto più esteso della Repubblica di
San Marino.
Penso
che sarebbe anacronistico ripristinare i Comuni annessi nel 1927 mentre, invece,
si potrebbe riconoscere e legittimare la loro specificità storica proprio elevando
le Delegazioni alla denominazione di "Castelli".
Riprendiamo
il racconto e, per un attimo, lasciamo la parola a una “Relazione” sulle chiese collegiate dell’Aquila (1824): « Per effetto del Diploma di FEDERICO
II. S. Marco e S. Maria di Bagno traslocaron le loro sedi nell' Aquila, la
prima dal Villaggio di Pianola, e l’altra dalla Terra di Bagno, e sue Ville. […].»
Ai
tempi della fondazione di Aquila, gli abitanti di Piànola costruiscono in città
la loro chiesa intitolata a San Marco Evangelista - detta anche San Marco di
Piànola (o San Marco di Pianola di Bagno) -; a poca distanza, i
"bagnesi" costruiscono la chiesa di San Tussio di Bagno dove
trasferiscono le spoglie del Santo eremita che era sepolto nella zona di Bagno,
in una chiesa di San Tussio “fuori le mura”.
[Nota].
Le origini di San Tussio, eremita e confessore, sono una questione dibattuta:
una versione lo lega a Bagno fin dalla nascita, un'altra invece lo indica come
nativo dell'area tra Tussio e Bominaco.
Secondo
quest’ultima versione, San Tussio sarebbe nato nella località della “Masseria dei
Monaci” (“Masseria di Tussio”), un centro abitato sorto nei pressi di una
masseria dei monaci benedettini di Bominaco, e probabile nucleo di origine
dell’odierno borgo di Tussio (L’Aquila; Altopiano di “Navelli-Civitaretenga”).
A
seconda delle versioni, il nome di San Tussio si legherebbe “a doppio filo” con
quello del paese: una versione racconta che il borgo avrebbe preso il nome da
San Tussio, un’altra indicherebbe il contrario. Tenendo conto di alcuni dati,
storici e toponomastici, sembrerebbe più probabile la seconda versione: San
Tussio potrebbe forse essere un “nome parlante” - in particolare un “nome
toponomastico” -, poiché deriverebbe dal luogo di nascita del Santo.
Chiusa
questa parentesi, proseguiamo con la storia della fondazione delle chiese di
Bagno dentro le mura. Poco più distante da San Marco e da San Tussio, nasce la
chiesa di Santa Maria di Bagno (oggi scomparsa) che sorgeva nella piazza
omonima, tra Via San Francesco di Paola e Via al Campo di Fossa; molti aquilani
- soprattutto chi ha almeno 50 anni - conoscono questa piazzetta come
l'autostazione degli autobus "Pacilli" (confinante appunto con la
piazza), azienda privata di trasporti pubblici "scomparsa" con
l'istituzione delle autolinee pubbliche regionali, poco più di 40 anni fa.
Per
completezza storica ricordiamo - a parte - che, ancora più distante - nelle
vicinanze delle Mura - sorse invece il monastero (anch'esso scomparso) di
Sant'Andrea di Bagno (o Sant’Andrea delle mura) con il suo orto murato che
arrivava fino alle mura civiche: oggi ce lo ricordano Via Sant'Andrea e Piazza
Sant'Andrea (quest’ultima però, al momento non è elencata ufficialmente nei
viari, come segnalato da alcuni residenti). Aggiungiamo anche che Via Vincenzo
De Bartholomaeis in passato si chiamava “Vico (o Via) di Sant'Andrea” perché
conduceva al sito del monastero (è la via che oggi collega Piazzale Pasquale
Paoli con Via Sant’Andrea). Il tracciato di Vico Sant’Andrea (oggi Via De
Bartholomaeis) è visibile anche nella pianta di Aquila del 1753 dove - come
oggi - incrocia Via Campo di Fossa, che all’epoca però non proseguiva ancora
fino alle mura.
Il
monastero di Sant’Andrea venne fondato a partire dal 1368, dopo una donazione
di alcuni aquilani di Bagno; fu destinato ad ospitare le Monache Agostiniane
che erano sotto la guida dei vicini Padri Agostiniani, quindi potremmo dire che
era una “versione femminile” del convento di Sant’Agostino. Sant’Andrea si
trovava sempre nel locale di Bagno dentro la città e a poca distanza da Porta
di Bagno.
Torniamo
in Piazza San Marco. La chiesa di San Tussio ebbe una breve durata poiché
intorno al 1282 arrivarono i Padri Agostiniani che successivamente acquisirono
la chiesa (1295), inglobandola nel complesso del convento di Sant'Agostino; la
parrocchia fu poi soppressa (1331) e le spoglie di San Tussio passarono quindi
dentro la vicina chiesa di San Marco, dove venne realizzata un'apposita
custodia (una nuova sistemazione delle spoglie di San Tussio fu effettuata per
volontà di Girolamo Manieri, vescovo di Aquila dal 1818 al 1844, sempre
all’interno di San Marco).
Nel
1703, il terremoto distrusse la chiesa di Santa Maria di Bagno; i suoi parrocchiani
unirono la loro parrocchia alla chiesa di San Marco che venne invece
ricostruita e ristrutturata.
Nel
frattempo - da qualche secolo - "era arrivato" anche San Rocco, che
all'epoca della fondazione della città non era ancora nato.
Quindi,
nell’anno 1750, la chiesa di San Marco "riuniva" idealmente i Santi
legati al territorio di Bagno con Pianola: per questo i quattro Santi
raffigurati sui campanili sarebbero la "fotografia" di una situazione
storica che sostanzialmente è anche quella di oggi. San Marco come titolare
principale della chiesa fondata dai "pianolesi", San Tussio e San
Raniero legati a Bagno in generale, e San Rocco, divenuto patrono di Piànola.
Manca
San Massimo, probabilmente per un motivo molto semplice: da un punto di vista
ecclesiastico (e non solo), Civita di Bagno - anche se rientra geograficamente
nel territorio di Bagno - rappresenta un centro “autonomo” (detto anche “Civita
di San Massimo”) perché la sede della sua Diocesi fu trasferita (traslata) ad
Aquila nel 1256, portando il nome di San Massimo alla Cattedrale aquilana;
sempre la “Relazione” sulle chiese collegiate
aquilane (1824) ci ricorda: « […] Filiani
di questa Chiesa [San Marco; n.d.R.]
sono tutti Naturali di Bagno, e Pianola,
tranne quei di Civita di Bagno, i quali sono soggetti alla Cattedrale […]».
Al
titolo di San Massimo è stato poi unito quello della chiesa di San Giorgio, per
cui il nostro Duomo ha acquisito il titolo di San Massimo e San Giorgio. Quindi
- al giorno d’oggi - San Massimo e San Giorgio meriterebbero di essere rappresentati
nelle nicchie ai lati del portale della Cattedrale aquilana.
Anche
l'onomastica stradale ha tenuto appropriatamente e saggiamente in conto il
valore storico della chiesa di San Marco: oltre a “Piazza San Marco” che arriva
fin davanti a Sant'Agostino, abbiamo “Via Forcona” (antico nome di Civita di
Bagno) che corre sul lato sinistro della chiesa, e “Via dei Neri” (lato destro)
che dovrebbe richiamare la Confraternita dei Neri ("Li Negri") con sede nella chiesa di San Marco dal 1582 (per
completezza va detto che sul nome "Via dei Neri" esistono anche altre
ipotesi; personalmente ho riportato quella che mi sembra più stringente). Il
nome di questa Confraternita dovrebbe richiamare l'abito nero che la
contraddistingueva: la versione arcaica “Li
Negri” - infatti - richiama alla mente l’aggettivo latino maschile “niger” (“nigri”, al plurale) che significa appunto “nero”.
Claudio
Crispomonti nella sua Historia (1630
circa) riporta un elenco delle Confraternite aquilane dei suoi tempi, tra cui:
«La Pietà, Veste negre, con Cappuccio
tondo, a San Marco»; nell’elenco del Crispomonti è l’unica confraternita
con veste nera che ha sede in San Marco.
Quindi
“La Pietà” di San Marco doveva corrispondere alla Confraternita dei Neri e
assolveva diversi compiti, dei quali ci parla sempre Claudio Crispomonti: «La Compagnia della Pietà marita ogni anno
tre Zitelle, et veste tredeci Orfanelli, et have cura di assistere, e seppellir
quei, che moiono p[er] mano della giustitia».
Per
concludere questa nostra passeggiata nel tempo e nello spazio, è doveroso
ricordare che la chiesa di San Marco normalmente ospita un quadro molto caro
alla maggior parte degli aquilani: la Madonna del Popolo Aquilano "Salus Populi Aquilani" (Salvezza
del Popolo Aquilano). L'immagine è oggi esposta nella vicina chiesa di Santa
Maria del Suffragio (le "Anime Sante"), all'interno della Cappella
della Memoria dedicata alle Vittime del sisma del 2009.
Lì,
la Madonna del Popolo Aquilano attende di tornare nella sua casa, a San Marco,
chiesa dal grande valore storico e architettonico, il cui titolo completo è
oggi "San Marco - Santuario della Madonna del Popolo Aquilano".
Per
questo, chiudiamo “facendo il tifo" per la rinascita di San Marco così come
per Santa Maria Paganica (chiesa Capoquarto) e per la nostra Cattedrale (chiesa-madre
di tutta la Diocesi); e, naturalmente, per molte altre chiese.
Mauro Rosati