lunedì 26 ottobre 2020

"Hybris" - "Audacia" - Superbia

Marino Marini, Cavaliere [disarcionato]
(Fonte immagine:
https://museomarinomarini.it )


L'Arroganza, la Superbia (e l'Incoscienza), partirono a cavallo e tornarono a piedi

"Hybris" ("iùbris"): con questa parola i Greci antichi definivano l'Insolenza, l'Arroganza e la Presunzione dell'Essere Umano che sfida Forze ad esso superiori (compresa la Natura) anziché affrontarle con prudenza e rispetto.

"Audacia" e "Audentia": i Romani antichi distinguevano gli "audaces" dagli "audentes". 
Gli "audaces" sono gli arroganti che sfidano la Sorte, ignorando i propri limiti. Gli "audentes" invece sono i coraggiosi, ossia coloro che si trovano in una situazione difficile senza volerlo e "osano", cercando di superare la difficoltà.
Una differenza importante che ci spiega molto bene il prof. Ivano Dionigi in un suo scritto.
E infatti 《Fortuna audentes iuvat》(la Fortuna giova ai coraggiosi), gli "audentes" (coraggiosi) e non gli "audaces" (arroganti). La Fortuna dà una mano ai coraggiosi e non agli sfrontati.

Coraggio e Incoscienza: e arriviamo all'Italiano contemporaneo. 
I Coraggiosi sono coloro che, senza volerlo, si trovano in una situazione difficile (anche davanti a una prevaricazione) e provano ad affrontarla. Gli Incoscienti, invece, sono coloro che, anche se messi in guardia, per ignoranza e/o arroganza (ed esibizionismo) vanno a cercare il pericolo scioccamente e lo sfidano, esponendo al rischio sicuramente se stessi; e a volte anche gli altri.

Non a caso la Superbia è anche tra i sette Peccati Capitali della cultura cristiana.
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E il peggiore tra i Superbi e gli Arroganti è proprio colui che mette a rischio l'incolumità delle persone innocenti.


Mauro

sabato 24 ottobre 2020

A. D. 1415 - Un frate racconta...


L'Aquila, convento dei Frati Minori di San Giuliano; il pozzo nel chiostro minore.


Propongo un breve contributo da me pubblicato il 14 ottobre 2015 sulla pagina Facebook del Convento di San Giuliano.

Era in corso la mostra "I sensi dell'Arte e della Fede", a cura dell'asssociazione AquilArtes, in occasione dei 600 anni dalla fondazione del Convento dei Frati Minori di San Giuliano a L'Aquila.

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Frate Alessandro de' Ritiis, storico aquilano del XV secolo, nella sua opera 《Chronica Civitatis Aquilae》 racconta della testimonianza (forse diretta) di un frate più anziano che riferiva l'anno 1415 come data di fondazione del convento di San Giuliano. Frate Alessandro riferisce anche il contesto in cui ha raccolto il racconto del confratello, ossia durante la guardia al corpo di San Bernardino da Siena (quindi nel 1444):

Nell'Anno del Signore 1415, come mi fu detto da un nostro confratello anziano, fu preso il nostro devoto loco di San Giuliano fuori Aquila. Mentre eravamo nel convento a custodire il corpo di San Bernardino deposto nella cappella di Nunzio da Fonte, sulle grate vi erano lettere di ferro di quando fu realizzata la predetta cappella, lettere grandi quasi (?) quattro palmi e mezzo, che dicevano così: - Anno Domini M. CCCC.X.V. -. E così quel confratello mi disse che allora fu preso il loco di San Giuliano. I padri che lo fondarono venivano dalla Provincia di San Francesco [Umbria, n.d.r.], e tra essi vi era il beato padre frate Giovanni da Stroncone e frate Domenico da Genova, il quale Domenico è morto ed è sepolto nel loco di Sant'Andrea presso la città di Chieti. E così il loco di San Giuliano fu il principio della Provincia di San Bernardino dei frati dell'Osservanza dell'Ordine di San Francesco》[dalla 《Chronica》di frate Alessandro de' Ritiis da Collebrincioni].


Mauro Rosati

domenica 18 ottobre 2020

HISTORIA MAGISTRA VITAE (Cicero'...e a cchi lo 'ici?!)

 



Historia [...] Magistra Vitae》 (la Storia è Maestra di Vita) scriveva Marco Tullio Cicerone.

Gli Alunni però non imparano.

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E allora 《la domanda sorge spontanea》, citando il giornalista Antonio Lubrano. 


Una domanda a risposta multipla:

A - La Maestra non è brava.

B - Gli Alunni "so' de coccio" o, peggio ancora, fanno finta di non capire.


Secondo me è la B (《ovviamente la B》, direbbe la piccola Lisa Simpson).

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La Maestra è così precisa, insegna tante di quelle cose e offre tanti di quegli esempi!


L'Alunno invece, per disattenzione o perché fa comodo, preferisce avere la "memoria corta" o fare "orecchie da mercante".


The show must go on》(lo spettacolo deve proseguire), cantavano i Queen nel 1991. 

E potremmo aggiungere "the business must go on", costi quel che costi! Anche per questo fa comodo ignorare gli insegnamenti e gli esempi della Maestra.


《[...]la Storia insegna ma non ha Scolari》, scriveva Antonio Gramsci nel 1921.

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Quindi come si potrebbe definire chi va a sbattere sempre contro gli stessi pali, o chi inciampa sempre nella stessa buca? La lista di aggettivi sarebbe lunga e censurabile, quindi ognuno potrà farsi un'idea.


Mauro

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P.s.: il passo completo di Cicerone è ancora più illuminante. 

Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis [...]》: "la storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità".

Più chiaro di così!

lunedì 12 ottobre 2020

Il "Secolo breve" raccontato da un mappamondo

Il "Secolo breve" raccontato da un mappamondo


Questo contributo contiene un piccolo "riassunto" di alcuni fatti storici (oggettivi), narrati da un punto di vista soggettivo.

Non faccio distinzioni di età, ma consiglio particolarmente questo articolo a chi ricorda appena quegli anni (1989-1991, e successivi) perché bambino, e a chi non li ricorda o addirittura non era ancora nato.

Buona lettura!

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Dalla mia “macchina del tempo”.

Poche settimane fa, ho “rispolverato” e “rimesso in moto” un mio oggetto d’infanzia, tutt'ora perfettamente funzionante. Oltre che per piacere personale, l’ho recuperato anche come arredo pratico, vale a dire come lampada da comodino.

Si tratta di uno di quei “mappamondi” che rappresentano la “geografia fisica” quando sono spenti e la “geografia politica” quando si illuminano. Un oggetto che ancora oggi - mi dicono - è molto gettonato tra i bambini, nonostante le tante applicazioni a tema disponibili nel mondo virtuale, e che io stesso utilizzo.

Probabilmente, il fascino di questo oggetto deriva da quella sensazione di “avere il mondo tra le mani” - nel senso positivo dell’espressione - e cioè di maneggiare qualcosa che nella realtà non potremmo toccare né spostare perché ci siamo sopra noi stessi (oltre alla differenza di dimensioni ovviamente).

Questo semplice ma affascinante oggetto è dotato anche di una scala graduata che indica la latitudine, e di due ghiere - ai due Poli - che riportano una scala ruotabile dei fusi orari, prendendo come “ora zero” quella del meridiano che ci interessa.

Dopo aver riscoperto questo mappamondo, oltre a guardarlo di nuovo affascinato con gli "occhi del bambino", ora lo leggo anche come "fotografia" di un’epoca storica relativamente recente e piena di cambiamenti.

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Questo mappamondo mi fu regalato tra il 1988 e il 1989.

Ero molto piccolo, non avevo ancora iniziato le Scuole Elementari (oggi Primarie) e, per divertimento, avevo appena imparato le bandiere e le capitali europee e quelle principali a livello mondiale. Nel giro di pochi anni avrei “dovuto” imparare nuove capitali e nuove bandiere, come vedremo più avanti.


Esisteva già un commercio globale ma molti degli oggetti che si acquistavano in Italia erano ancora “Made in Italy”, esattamente come questo mappamondo e come la lampadina - credo originale - che lo illumina da dentro.


In Italia i Sindaci non venivano eletti direttamente dai cittadini; gli elettori votavano per il Consiglio Comunale che poi eleggeva il Sindaco (un po' quello che accade ancora oggi a livello nazionale: gli elettori votano per le due Camere del Parlamento ma non eleggono direttamente il Presidente del Consiglio dei Ministri, Capo del Governo).

Negli anni 1992-1993, L'Aquila ebbe il suo primo Sindaco donna, eletto appunto dal Consiglio Comunale dell'epoca.

E proprio nel 1993, una legge nazionale ( Legge n. 81/1993 ) introdusse l'elezione diretta del Sindaco che durava in carica quattro anni, e non cinque come adesso.

E così, nel 1994, anche la nostra Città ebbe il primo Sindaco eletto direttamente dai cittadini.

(....ovviamente queste cose le ho imparate diversi anni dopo perché all'epoca, per motivi di età, ero ancora ben lontano dalla "categoria" degli elettori)


Sempre in Italia, le targhe delle automobili riportavano la sigla delle Province in due lettere e una sequenza numerica (o alfanumerica) progressiva, in base all'ordine di immatricolazione in una certa provincia (sulle due lettere faceva eccezione Roma - sigla “RM” - che nelle targhe riportava il nome per intero; privilegi da Capitale 😊); al centro della targa, tra la sigla e i numeri, era raffigurato l'emblema della Repubblica Italiana contenente le iniziali "R.I.". Pochi anni dopo, quando frequentavo le Scuole Elementari, entrarono in circolazione le nuove targhe che usiamo adesso, con la numerazione unica nazionale (ai lati due coppie alfabetiche e al centro una sequenza numerica di tre cifre). Involontariamente mi era stato tolto uno dei miei “passatempi” di bambino durante i viaggi lunghi 😊: indovinare le sigle delle Province - e anche degli Stati - sulle targhe dei mezzi in sorpasso. Qualche anno dopo però, ai lati delle nuove targhe vennero aggiunte le sigle delle Province e degli Stati europei di appartenenza. E da allora ho ripreso a “giocare” (...e lo faccio tutt'ora 😉).

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Curiosità "autobiografica". …Mi raccomando però: non ditelo a nessuno…! 😄

Sempre quando ero molto piccolo - prima di iniziare le Elementari - le prime volte che leggevo i cartelli autostradali, pensavo che "L'Aquila est" e "L'Aquila ovest" fossero due città diverse.

Le avevo anche "collocate" fisicamente: non riuscendo ancora a orientarmi bene sul territorio, pensavo che "L'Aquila est" fosse tutto ciò che vedevo a ovest dell'autostrada (soprattutto Pettino, Coppito e dintorni), mentre "L'Aquila ovest" era tutto ciò che vedevo a est dell'autostrada (quindi il centro Città e i quartieri limitrofi); ovviamente il confine tra "le due città" era proprio l'autostrada su cui viaggiavo, il mio punto di riferimento primario.

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Torniamo al contesto generale di quegli anni 1988-1989.

Da più di trent'anni esisteva già l’Europa Unita ma si chiamava C.E.E. (Comunità Economica Europea) e non ancora U.E. (Unione Europea). Si parlava già da molti anni di moneta unica europea ma si chiamava E.C.U. (European Currency Unit = Unità di Conto Europea), una moneta virtuale che nel giro di circa 10 anni sarebbe diventata l’Euro. Ricordo - sempre da bambino - un gioco di società in cui negli acquisti e nelle vendite si utilizzava proprio l’E.C.U.; forse anche per questo, almeno per me, il passaggio dalla Lira all'Euro - quando ero adolescente - è stato qualcosa di normale e lineare - direi scontato - e forse sempre per questo sento “mia” la moneta unica europea. Da giovane adulto, il mio primo stipendio è stato in Euro. Quindi ricordo cos'era e come si usava la Lira ma la mia abitudine quotidiana è in Euro.

Appena entrata in circolazione la moneta unica, poi, ero particolarmente affascinato dal pensare che era dai tempi della massima espansione dell’Impero Romano che un’area dell’Europa così vasta non utilizzasse la stessa moneta. Nei secoli successivi ci sono stati altri Imperi nel sub-continente europeo ma - almeno credo - non mi pare che a livello monetario abbiano ricoperto la stessa area dell’Impero Romano. La novità dell’Euro, invece, rispetto al passato, consiste nel fatto che la moneta non è stata adottata come conseguenza di una occupazione/conquista militare ma per una spontanea adesione dei governi di singoli Stati sovrani.

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Adesso "guardiamo" di nuovo questo mappamondo. Scrivevo sopra: la "fotografia" di un’epoca.

Da quando mi fu regalato, di lì a pochi mesi la situazione geopolitica rappresentata su quel mappamondo sarebbe passata alla storia e avrebbe aperto una nuova epoca. Iniziava la fine del “Secolo breve”, così come lo ha definito lo storico inglese Eric Hobsbawm, ossia il periodo compreso tra il 1914 - inizio della Prima Guerra Mondiale - e il 1991, inizio di una nuova rivoluzione geopolitica.


Il 09 novembre 1989 cadeva fisicamente il Muro di Berlino che per oltre 28 anni aveva tagliato in due la capitale tedesca ma, metaforicamente e fisicamente, aveva anche diviso due diverse concezioni del mondo. Ero molto piccolo, ricordo alcune immagini in televisione ma non ne comprendevo ancora la portata storica; l'avrei compresa crescendo e studiando. Di quel 09 novembre 1989 ricordo che mi chiedevo: che ci fanno tutte quelle persone su un muro colorato e scarabocchiato mentre festeggiano aprendo bottiglie di spumante ed esultando come tifosi allo Stadio? Perché mentre festeggiano buttano giù pezzi interi di quel muro?

Queste erano alcune delle mie spontanee e semplici domande di bambino piccolo.

Ovviamente quella data simbolica arrivava alla fine di un decennio di importanti e graduali cambiamenti politici che non ricordo direttamente ma che ho avuto modo di imparare dopo. Le prime “crepe” metaforiche di quel Muro, risalivano all'inizio di quel decennio, gli anni Ottanta.

Come scrivo spesso, la storia non cambia da un giorno all'altro; esistono “eventi-simbolo” ma i cambiamenti complessivi, prima e dopo, sono sempre graduali.

Dopo quel 09 novembre 1989, nel giro di tre anni, si sarebbero rotti equilibri che duravano dalla fine della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Alcuni Stati sarebbero scomparsi, altri sarebbero ricomparsi o ne sarebbero nati di nuovi.


La Germania, che dopo la Seconda Guerra Mondiale era stata divisa “artificialmente” in due Stati - Germania Est, con capitale Berlino, e Germania Ovest, con capitale Bonn -, sarebbe tornata unita in un solo Stato.

Mentre le “due Germanie” si riunificavano, la Cecoslovacchia si divideva pacificamente in due Repubbliche: la Repubblica Ceca (Cechia), con capitale Praga, e la Slovacchia, con capitale Bratislava.

L’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), nata dopo la “Rivoluzione di Ottobre” del 1917, si sarebbe sciolta nella C.S.I. (Comunità di Stati Indipendenti) e poi, al suo posto, sarebbero tornate la Russia (Federazione Russa, la più grande delle ex Repubbliche Sovietiche) e tante altre Repubbliche - dal Mar Baltico al Mar Nero, dal Caucaso all'Asia Centrale -.

Cadeva anche la Jugoslavia - letteralmente “Slavia del Sud” - uno Stato federale nato nel 1918. Nel 1991, infatti, sarebbero iniziate le guerre di secessione balcaniche - una serie di guerre civili durata fino al 2001 - dalle quali sarebbero uscite indipendenti la Slovenia, la Croazia, la Bosnia-Erzegovina, la Macedonia del Nord, il Kosovo (quest’ultimo non riconosciuto ufficialmente da tutti gli Stati dell’O.N.U.). Della Jugoslavia rimase la "Repubblica di Serbia e Montenegro" ma poi anche il Montenegro è diventato indipendente (2006), e oggi esiste la Serbia a rappresentare il nucleo centrale dell’ex Jugoslavia.

L’inizio delle guerre di secessione balcaniche, nel 1991, rappresentò anche l’inizio della prima guerra in Europa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, cioè dal 1945.


Mentre cambiava la geografia politica dell’EurAsia, a volte cambiavano nuovamente anche i nomi delle città; un esempio proprio in Russia: “Leningrado” (letteralmente “città di Lenin”) - e già “Pietrogrado” - dopo 77 anni recuperava il nome originale di “San Pietroburgo”.


Tutto questo accadeva soltanto, appunto, in EurAsia, forse il continente politicamente più stravolto dagli eventi di quegli anni.

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Anche nel resto del Mondo però, molti Stati sono nati, o sono rinati, dopo quel triennio 1989-1991; per esempio: l’Eritrea dopo la secessione dall'Etiopia (1993), Timor Est (2002) dopo la secessione dall'Indonesia (a seguito di un referendum nel 1999), il Sud Sudan (2011) dopo la secessione dal Sudan.

Nota. Il referendum indipendentista di Timor Est nel 1999 fu seguito da gravi scontri militari che determinarono l'intervento di un contingente militare O.N.U. al quale prese parte anche l'Italia; la stampa sottolineò come quello fosse stato il primo intervento militare italiano a sud dell'Equatore. A voler essere dettagliati, nella storia dell'Italia unita c'erano stati gli interventi in Somalia, prima coloniali - tra Ottocento e Novecento - e poi con l'O.N.U. - negli anni Novanta -; e una piccola porzione della Somalia si trova a sud dell'Equatore. È chiaro però che Timor Est si trova interamente a sud dell'Equatore e quindi questa curiosità storica, evidenziata dalla stampa, era effettivamente una novità per le missioni militari italiane.


Riprendiamo il filo principale del "riassunto".

Il 1° luglio 1997 Hong Kong tornava dal Regno Unito alla Cina (ricordo in TV la cerimonia del "passaggio di consegne"); nel dicembre del 1999 Macao seguiva la stessa strada, ceduta dal Portogallo.

Al contrario, le due Coree rimangono ancora divise. Così come, di fatto, rimane ancora divisa in due l'isola di Cipro, nel Mediterraneo orientale - la terza isola più grande del Mediterraneo, dopo Sicilia e Sardegna -.

E - come in Europa - anche nel resto del mondo diversi nomi sono cambiati; per esempio: nel 1997 lo Zaire (ex "Congo belga") è diventato Repubblica Democratica del Congo; dal 1989 la Birmania si chiama Myanmar; dal 1996 Bombay, in India, si chiama Mumbai.


A livello mondiale, l’unico continente che ricordi più “stabile”, almeno per i confini degli Stati, pareva quello americano; più correttamente “le Americhe”.

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Domanda a parte. Cosa accadeva invece in Italia in quegli anni, a livello di geografia politica?

Fortunatamente nulla di traumatico almeno per quanto riguardava la geografia politica: intendo dire, nessun cambiamento che riguardasse i confini nazionali; nella prima metà degli anni Novanta i problemi gravi dell’Italia erano di altra natura - conti pubblici, instabilità politica e ordine pubblico (non che non ce ne siano anche adesso, ma i primi anni Novanta furono particolarmente "travagliati") -. Non bisogna poi dimenticare che, sempre negli anni Novanta, l’Italia ha avuto quasi costantemente la guerra “alle porte di casa”, cioè le guerre di secessione balcaniche che abbiamo visto più sopra. Oltre al Mar Jonio (molto a sud), l’Italia e la penisola balcanica condividono prevalentemente un altro mare, stretto e lungo: il Mare Adriatico; le “due rive” dell’Adriatico, quella italiana e quella balcanica, corrono parallele da sud - dove il Salento tocca quasi le coste dell’Albania (Canale di Otranto) - a nord, dove le due sponde “si incontrano” amministrativamente al confine fra Trieste e la Slovenia.


Al suo interno, invece, l’Italia ha visto cambiamenti di confine soltanto a livello regionale; cambiamenti che però non hanno nulla a che fare con la “rivoluzione mondiale” iniziata negli anni 1988-1991.

E ha visto anche un importante passo in avanti culturale: il riconoscimento legittimo di molte minoranze linguistiche storiche ( Legge n. 482/1999 ).

Nota. Il mio augurio è che questa legittimazione venga estesa ufficialmente a tutti i dialetti italiani - a prescindere dal numero dei "parlanti" - e che possano quindi diventare materia di studio e/o approfondimento nelle scuole; patrimonio immateriale vivo da coltivare nel presente e nel futuro.

Ad esempio i "dialetti aquilani", al pari di tutti gli altri dialetti dell'Italia centrale (i "Mediani"), vengono "tecnicamente" considerati soltanto come "varianti della lingua italiana" ma penso che ciò sia riduttivo e rischi di "appiattirne" le loro specificità e stratificazioni storiche (pensiamo ai forestierismi assimilati nei secoli dai nostri dialetti/lingue italiani). Ecco perché si rendono necessarie una Legge e un'Accademia che riconoscano ai dialetti la giusta dignità (...a meno che non esistano già e mi sfuggano).

Per non parlare delle vere e proprie lingue come il Napoletano, il Siciliano, il Lombardo e altre, a loro volta suddivise in dialetti (ossia varianti locali).

( https://patrimonilinguistici.it/dialetti-italiano/ )

Curiosità. Intanto, circa 5-6 anni fa ho avuto una bella soddisfazione. Durante una lezione in qualità di ospite (o visitor se preferite) in una Scuola Secondaria di II grado, ho visto per la prima volta il nostro Buccio di Ranallo da Poppleto citato in un'antologia nazionale come esempio trecentesco di letteratura volgare locale, in "compagnia" dei più noti Alighieri, Boccaccio e Petrarca. E con tanto di cartina con "localizzazione" geografica del poeta e cronista aquilano. 

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Chiusa questa doverosa parentesi, riprendiamo il discorso delle variazioni amministrative in Italia dagli anni Novanta ad oggi.

A partire dal 1992, e per diversi anni a seguire, sono nate molte nuove Province che si sono separate da altre già esistenti. 

Curiosità. In questi tre decenni trascorsi, tra le Regioni più "attive" a livello di variazioni provinciali, c'è stata la Regione Autonoma di Sardegna: prima, le Province erano quattro (Cagliari, Nùoro, Oristano, Sassari); poi sono diventate otto (Cagliari, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias, Nùoro, Ogliastra, Oristano, Sassari, Olbia-Tempio); oggi abbiamo quattro Province (Sud Sardegna, Nùoro, Oristano, Sassari) e una Città Metropolitana (Cagliari).


Il cambiamento più importante però, è stata la modifica del confine tra due Regioni: le Marche e l’Emilia-Romagna. Il 15 agosto 2009, sette Comuni dell’Alta Valmarecchia sono passati ufficialmente dalla Provincia di Pesaro-Urbino alla Provincia di Rimini ( Legge n.117/2009 ), a seguito di un referendum del 2006; le Marche hanno reagito con un ricorso alla Corte Costituzionale che lo ha respinto, confermando di fatto la modifica dei confini regionali (2010; da Il Resto del Carlino” del 10/07/2010 ).

Questo cambio di Regione ha modificato in piccola parte i “contorni” dell’Emilia-Romagna ma soprattutto delle Marche, che ora sono un po’ più “corte” perché non hanno più quella “punta” in alto a sinistra - a sud-ovest della Repubblica di San Marino -.
Una modifica che ho seguito con attenzione perché ha interessato territori che conosco direttamente fin da bambino.

Nota. I sette Comuni interessati dal cambio di Regione erano di fatto già romagnoli per cultura; il cambio di Provincia li ha riunificati con la "bassa Valmarecchia". La valle prende il nome dal fiume Marecchia, che nasce in territorio toscano e a pochi chilometri dalle sorgenti del Tevere, che nasce invece in Romagna. Dopo aver attraversato la valle omonima, fino agli anni Venti del Novecento il Marecchia entrava nel cuore più antico di Rimini - dove scorreva sotto il famoso ponte di Tiberio - e sfociava nell'Adriatico all'altezza dell'odierna Marina di Rimini dopo aver costeggiato Borgo San Giuliano, caratteristico quartiere marinaro del capoluogo romagnolo. Dopo la deviazione novecentesca del suo alveo, "spostato" poco più a nord - all'esterno del centro cittadino - per contrastare le inondazioni, oggi il Marecchia sfocia tra la frazione di Rivabella e Borgo San Giuliano. Il ramo rimanente del percorso originale, invece, corre tutt'ora sotto il ponte romano fino al porto canale della Marina riminese e quindi al Mare Adriatico. Per i Romani antichi il "Marecchia" era l'Ariminus flumen dal quale prese il nome il porto alla sua foce (vi ricorda qualcosa? 😉) . Il fiume Marecchia rappresenta anche un confine fisico convenzionale tra la Pianura Padana, sulla riva sinistra, e la penisola italiana, sulla riva destra.

Curiosità. Tra i Comuni "marecchiesi" passati dalle Marche alla Romagna, voglio citare San Leo, piccolo borgo del Montefeltro riminese che conosco fin dall'infanzia, insieme ad altri borghi della Valmarecchia. Nonostante le piccole dimensioni, San Leo - a pochi chilometri dalla più nota Repubblica di San Marino - è un concentrato di storia, arte e architettura; per chi capitasse da quelle parti (anche per una gita in giornata) vorrei ricordare e "consigliare": la famosa "rocca" (il forte di San Leo), nota per essere stata la prigione del "Conte di Cagliostro", celebre nobile siciliano; il Duomo di San Leo (o "San Leone") e la Pieve di Santa Maria Assunta, due splendidi esempi di architettura romanica; la torre campanaria dell'ex cittadella vescovile; il Museo d'Arte Sacra. 

E non dimentichiamo che siamo in Romagna...quindi anche a San Leo ci può "scappare" una bella "piada" 😉.

La rocca di San Leo sorge a monte del borgo e vi si può arrivare anche a piedi attraverso un bel sentiero da "trekking", impegnativo per la salita ma tranquillamente percorribile anche per chi non pratica l'escursionismo. Il forte di San Leo domina un "ardito" sperone roccioso a strapiombo che "sfida" le leggi di gravità, e che personalmente mi ricorda nella posizione l'altrettanto "ardito" castello di Roccascalegna (Chieti) nei nostri Abruzzi. Proprio per questa "arditezza" del sito, lo sperone della rocca di San Leo è stato oggetto di interventi di consolidamento artificiale (ricordo personalmente una grande impalcatura sotto lo sperone di San Leo in una delle mie visite al borgo, nel 2006; mi pare che si stessero effettuando delle "iniezioni" di rinforzo all'interno delle rocce); interventi necessari anche perché il Montefeltro, di tanto in tanto, è "terra ballerina" (come gran parte dell'Italia, d'altro canto).

Tanto è inerpicata la rocca di San Leo che Dante Alighieri, nella sua "Commedia", la cita insieme ad altre ripide "alture" come termine di paragone per descrivere la faticosa salita al "primo balzo" dell'Antipurgatorio: "Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, / montasi su in Bismantova e ’n Cacume / con esso i piè; ma qui convien ch’om voli; [...]" (Purgatorio, canto IV, terzina 25-27). Come dire: l'arrampicata che sto facendo (al Purgatorio) è ancora più difficile di San Leo (...quindi figuriamoci!), tanto che quasi non bastano i piedi e converrebbe piuttosto volare.

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Spostiamoci di nuovo sull'Italia in generale.

Oltre a queste variazioni di Province e Regioni, ci sono state e continuano ad esserci anche molte "fusioni" fra Comuni, in una tendenza allo "snellimento" amministrativo; e anche "Unioni di Comuni", ossia Comuni che mantengono la loro autonomia ma che condividono la gestione di molti servizi (due esempi: l'Unione di Comuni Valmarecchia, in Romagna - appunto - e l'Unione di Comuni della Val Vibrata, negli Abruzzi).

Nota. Riguardo alle fusioni di Comuni - sempre più frequenti - si può dire - senza banalizzare - che la “Grande Aquila”, nata nel 1927 dall'incorporamento nel Comune di Aquila di alcuni Comuni confinanti, sia stata una scelta che forse inconsapevolmente anticipava la tendenza odierna (Regio Decreto n. 1564/1927); anche se all'epoca i motivi principali dell’incorporamento erano stati altri. Oggi in parte si contesta ancora quella scelta ma - dal mio personale punto di vista - penso che invece abbia un valore attualissimo, considerando che la tendenza di questi anni - sempre più diffusa in Italia - è proprio verso le fusioni fra Comuni, appunto per un maggiore “snellimento” amministrativo. Per lo stesso motivo - come ho già espresso in un altro articolo - penso che sarebbe anacronistico ripristinare i Comuni soppressi all'epoca (1927); sarebbe invece più efficace riconoscerne le specificità storiche elevandoli nel titolo, promuovendoli da “Delegazioni” a “Castelli” o a “Castellanìe” (sarebbe ancora più stringente il titolo di “Università” - intesa come “collettività”, “comprensorio” - ma per ovvi motivi si potrebbe creare confusione con l’"Università" intesa come istituzione accademica; per questo trovo che i titoli di “Castelli”, o “Castellanìe”, sarebbero più efficaci).

Allo stesso tempo, poi, dovremmo guardare ancora oltre, verso una maggiore coesione e collaborazione anche con i Comuni limitrofi: un legame Città-Territorio più sistematico e ufficiale da un punto di vista amministrativo.

Mi chiedo quindi: perché non pensare a una "Unione dei Comuni Aquilani", magari iniziando con quelli della "prima cintura aquilana" (ossia quelli direttamente confinanti con L'Aquila)?

Insomma, per sintetizzare: «L’unione fa la forza»!

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Torniamo adesso sulla “scena mondiale” - I cambiamenti fisici e climatici

Tra tutti i cambiamenti di cui abbiamo “parlato”, il più impressionante è stato però un cambiamento di geografia fisica: la quasi completa scomparsa di un grande lago salato, chiamato Mar d’Aral.

Il Mar d’Aral si trovava al confine tra il Kazakhstan e l’Uzbekistan, altre due repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Dalla metà del Novecento in poi, il lago ha iniziato a ridursi per cause umane dirette e indirette; fino ad arrivare ad oggi, con il lago originario quasi del tutto scomparso.

Del grande lago rimangono due “porzioni”: il “Piccolo Aral” a nord - nel territorio del Kazakhstan - e il “Grande Aral” a sud-ovest - principalmente nel territorio dell’Uzbekistan -; poi c’è una porzione centrale che ad oggi è in una situazione variabile, essendosi riaccumulata una certa quantità d’acqua.

Al posto della maggior parte del lago è rimasto un territorio desertico dal terreno molto salato e quindi arido.

Nel giro di alcuni decenni quel lago ha subito cambiamenti che normalmente avvengono in tempi geologici, e quindi molto più lunghi di quelli storici.

Per avere un’idea del disastro, basti pensare che il Mar d’Aral, prima del suo ritiro, aveva una superficie che era circa la metà del Mare Adriatico; immaginate quindi le dimensioni e anche i cambiamenti apportati al clima di quella zona.

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Ci sarebbero tante altre riflessioni e curiosità ma ognuno di voi potrà poi approfondire in base ai propri interessi culturali.

Quello che si può dire, ragionando su questo mappamondo luminoso, è che a distanza di 31 anni da quel 1989 e a 29 anni dalla fine del “Secolo breve”, la situazione mondiale è ancora molto “fluida” e quindi in evoluzione. Molte sono ancora le “situazioni aperte”, anche in Europa: guerre civili, aspirazioni all'indipendenza, guerre di confine, territori contesi.

Il “Secolo breve” si è concluso con la caduta dei suoi equilibri, ma oggi il Mondo non ha ancora raggiunto equilibri nuovi; è come se la fine del “Secolo breve” fosse ancora in atto.

Il mondo “bipolare” del Novecento è diventato “multipolare”; e se la nostra Europa (subcontinente dell’EurAsia) vuole avere una sua posizione, dovrà necessariamente rafforzare la sua unità, rivedendo quello che non funziona ma cercando di viaggiare verso una maggiore compattezza.

Dal mio personale punto di vista, non bisogna rimettere in discussione l’Europa unita - una grande e “sudata” conquista del secondo dopoguerra - ma bisogna piuttosto correggere i meccanismi che si sono "inceppati" e riprendere il cammino in direzione dell’unità; ovviamente continuando contemporaneamente a coltivare le nostre numerose e differenti culture locali, ricchezze e fondamenti dell’Europa unita.


 

"Detto" questo, spengo il mio mappamondo sul comodino e vi do la buonanotte 😊.



Mauro Rosati

lunedì 5 ottobre 2020

«Aquila», di Emanuel Mandell

 

Veduta dell'Aquila dal lato sud


30 gennaio 2018


«Aquila solitaria sull'altura,

cinta dai venti rudi, incoronata

dall’alte nubi e dalle grigie mura,

come un rapace sul suo picco guata.


Fiera città dall’ombre vigilata,

chiusa nel manto di tua gloria pura,

che suggerisci all'anima malata

un ascetico sogno di clausura,


se potessi fuggire il turbinoso

vivere nostro, splendido e dannato,

in devota umiltà di pellegrino


a te verrei, cercando il mio riposo,

per levare lo spirito placato

al cielo che qui sembra più vicino.


(Aquila, di Emanuel Mandell; da: Aquila in cartolina, L’Aquila 2010)»

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30 gennaio 2018

Dopo una breve e improvvisata escursione di gruppo dal Santuario della Madonna di Rojo (Poggio di Rojo), la passeggiata è stata ampiamente ripagata da questa splendida veduta dell’Aquila.

E ogni volta che mi trovo davanti a queste vedute, dall'alto o dal basso, mi viene sempre in mente questo bellissimo sonetto. La mia città descritta come un luogo di ascetismo e di clausura; “clausura” non nel senso di “prigione” ma - al contrario - come luogo di serenità, dove effettivamente ritrovo nuova energia, leggerezza e pace dell’animo.

Anche questo e la mia città.


Mauro Rosati