(Articolo inviato alle redazioni di stampa locale in data 21 luglio 2020)
Fig. 1. Il dipinto raffigurante la dea Atena. |
Prima parte – La dea Atena
È un’affermazione forse scontata ma
giova sempre ripeterlo: la Storia, dalla Religione alle Arti e alla Cultura in
generale, non è una sequenza di “compartimenti stagni”, non è una serie di
fatti scollegati fra loro. Esistono date ed eventi particolari che vengono
indicati come riferimenti, “spartiacque” tra un “prima” e un “dopo”, a volte
semplicemente per una necessità di classificare le cose, di chiudere un
capitolo di un libro e aprirne un altro; ma anche un “prima” e un “dopo”
conservano sempre un filo che continua a legarli, e il “dopo” non è mai di
fatto un cambiamento istantaneo; è una svolta, un cambio di direzione, ma
sempre basato sulla provenienza da un “prima” che ha innescato quel movimento.
Così come non si passa istantaneamente dal giorno alla notte o dalla notte al
giorno, ma attraverso delle fasi - il crepuscolo e l’alba – durante le quali
giorno e notte convivono e sfumano fra loro, nonostante il tramontare o il
sorgere del sole siano riferimenti “netti”.
Per semplificare, potremmo pensare
alla Storia (in tutti i suoi aspetti) anche come a un reticolo di strade: tante
strade che a volte si diramano in due o più direzioni diverse, altre volte si
incrociano e si uniscono per poi magari separarsi di nuovo (e viceversa), altre
volte ancora corrono parallele senza toccarsi oppure si sfiorano e si
sovrappongono leggermente; ad ogni incrocio o sfioramento però, queste strade
si scambiano o condividono qualcosa. Se si preferisce, possiamo pensare alla
storia anche come a un sistema di corsi d’acqua, con diverse dimensioni e
direzioni.
E così, ecco che la Storia ci fornisce
spunti di confronto e riflessione; e anche una breve contemplazione di un’opera
d’arte può innescare un flusso di pensieri che possono spaziare in tanti campi
diversi.
In
questo caso, il flusso che descriverò - strettamente personale - parte
dall’ammirazione di un dipinto, qualche mese fa.
Tra
le tante bellezze che la ricostruzione della nostra città-territorio sta
rivelando o rivalutando, c’è un luminoso dipinto che campeggia sulla volta di
una stanza, in un palazzo che affaccia su Via Garibaldi; una via che potremmo
anche considerare come il “terzo Corso” dell’Aquila, “terzo” in ordine gerarchico
dopo il “primo Corso” (Vittorio Emanuele + Federico II, “longitudinale”) e il
“secondo Corso” (Corso Principe Umberto, il corso “trasversale”).
Il
dipinto in questione (Fig. 1) ne ricorda altri che arricchiscono le stanze di
molti palazzi aquilani. A prima vista sembrerebbe risalire a un periodo
compreso fra l’Ottocento e il Novecento, non sembra un affresco ma più
probabilmente (considerata anche l’epoca) un dipinto realizzato con tecnica “a
secco”, forse a tempera sull’intonaco già asciutto del soffitto. Il tema è
mitologico.
Dentro
un grande “disco” centrale - incorniciato da una composizione di rombi,
triangoli e rettangoli finemente decorati - riconosciamo una figura femminile,
robusta, sospesa su una nuvola fuori dallo spazio e dal tempo, con il volto di
profilo e lo sguardo che mira lontano. È la dea Atena (associata a Minerva dai
Romani antichi), riconoscibile da alcuni dei suoi attributi più classici: la
lancia nella mano destra, lo scudo con la testa di Medusa (“gorgone”) nella
mano sinistra, la civetta dallo sguardo vispo accanto a lei, un elmo piumato
sulla testa. Concentriamoci su alcuni dettagli:
-
la lancia e lo scudo. Tra gli
attributi di Atena vi è quello della dea guerriera, una guerriera che non
combatte però con la furia irrazionale e con la forza delle armi convenzionali
ma con le armi della mente, l’intelligenza e quindi anche l’astuzia, la
strategia. Non a caso, come ci insegnano i grandi poemi omerici - l’Iliade e
l’Odissea - Atena è la dea protettrice di Ulisse, la sua guida (un tutor si direbbe oggi), una sorta di
angelo custode che gli si manifesta sotto varie forme e gli illumina la mente
nei momenti decisivi. Non a caso Ulisse, nonostante si faccia valere anche con
le armi, risolve la guerra di Troia con l’uso dell’astuzia, dopo dieci anni di
stragi e una situazione di stallo che sembrava non vedere soluzione a favore di
nessuna delle due parti in guerra. Un “semplice” cavallo di legno risolve
quello che le armi convenzionali e la furia non avevano risolto per lungo
tempo; Troia viene espugnata e distrutta. Sempre l’astuzia e l’aiuto di Atena,
che si “assenta” apparentemente solo per una parte del racconto, permetteranno
a Ulisse di sopravvivere alle disavventure e alle trappole in cui si imbatterà
nel viaggio di ritorno a Itaca, che sarebbe durato altri dieci anni con varie
“soste” lungo il percorso.
“Astuzia”,
certo si potrebbe definire anche “inganno” o, come si direbbe oggi, “furbizia”,
termine dalle sfumature ambigue; ad esempio, Dante Alighieri, nella sua Commedia,
ritiene che Ulisse sia colpevole di inganno e per questo lo “condanna”
all’Inferno nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, cioè degli “imbroglioni e
truffatori”. Proprio lo stesso personaggio che nei poemi omerici era lodato per
la sua costanza e per la sua prontezza di pensiero? Sì! Sulla materia ognuno ha
i suoi punti di vista!
L’elmo
con la testa di Medusa (più genericamente la “gorgone”) ci ricorda un'altra
battaglia vinta con l’astuzia e grazie all’aiuto della dea Atena. Secondo la
mitologia classica, Medusa era un personaggio mostruoso con i serpenti al posto
dei capelli e chiunque la guardasse negli occhi rimaneva pietrificato. Quando Perseo
fu inviato ad ucciderla doveva vederla ma allo stesso tempo non guardarla
direttamente. Soluzione! Perseo uccise Medusa guardando la sua immagine
riflessa nello scudo, quindi senza fissarla direttamente.
-
La civetta. Atena era anche la dea
della saggezza, come in parte abbiamo già visto, della sapienza (nell’accezione
più ampia del termine, una sapienza “a tutto tondo” fatta di conoscenza e di
esperienza), e quindi anche delle arti. Nella cultura greca antica la civetta
simboleggiava proprio la saggezza, intesa come capacità di guardare le cose in
profondità oltre lo sguardo superficiale della maggior parte. La civetta,
infatti, come altri animali notturni, è dotata di occhi capaci di vedere in
condizioni di scarsissima luminosità, praticamente al buio; se per “buio”
intendiamo la metafora di “ignoranza” e “superficialità” ecco che si spiega
facilmente questa associazione della civetta con la saggezza e quindi con la
dea Atena.
La
civetta, inoltre, non a caso, compare fin dall’antichità come simbolo della
città di Atene, il cui nome è associato proprio alla dea Atena; la civetta di
Atena veniva raffigurata sulle antiche monete ateniesi. Ai nostri tempi
ritroviamo la civetta della Grecia antica sulla moneta da 1 euro coniata nella
Grecia contemporanea; un filo che si riallaccia al passato.
È
soltanto nei secoli successivi all’età greca e poi romana, che la civetta
diventa, per varie ragioni, un animale associato a caratteristiche negative:
come molti altri animali che si muovono di notte, come il gatto e il gufo,
viene considerata una creatura demoniaca e portatrice di sventure. Questa
associazione è arrivata fino ai nostri giorni anche attraverso la letteratura e
poi il cinema; si usa spesso l’espressione “gufare”, spesso in tono scherzoso,
riferita a qualcuno che augura cattiva sorte anche per un semplice evento
sportivo. Però dobbiamo anche dire che da un po’ di anni la civetta (e i suoi
simili) sta conoscendo una rivalutazione dopo secoli di diffidenza! Già il
“gufo Anacleto”, personaggio di un famoso film animato (1963-1964), saggio e
istruito, richiamava in qualche modo la tradizione antica che vedeva questo
animale sotto un’ottica positiva.
La
nascita di Atena avviene in modo particolare: in sostanza viene “partorita”
direttamente dalla testa di Zeus e nasce già adulta.
Atena
è identificata con molti appellativi che le sono stati attribuiti nel tempo e
per ragioni differenti, che a volte hanno origine nella mitologia più antica
anche con spiegazioni diverse.
Senza
dilungarci in troppi dettagli, ricordiamo alcuni di questi appellativi: Atena è
Vergine (Parthenos; da cui il nome
del Partenone di Atene a lei dedicato), Atena è protettrice delle città (Polias).
Ad
Atena come protettrice delle città è legato il mito del Palladio, una statua
(di legno in origine) che ritraeva la dea Atena corazzata ed armata, e alla
quale veniva attribuito il potere di difendere una città; una difesa dalle
aggressioni militari ma anche, probabilmente, una difesa da eventi naturali
avversi. L’importanza del Palladio nella cultura greca antica, si comprende già
dai racconti omerici: la città di Troia ospitava il Palladio in un tempio
dedicato; quando Troia fu espugnata, durante il saccheggio, Aiace di Oileo - uno
dei principali guerrieri achei - abusò della sacerdotessa Cassandra, figlia di
Priamo, proprio nel tempio sacro ad Atena. Per la gravità di questa
profanazione, Atena - nonostante fosse “schierata” a favore degli Achei - punì
il sacrilegio commesso da Aiace di Oileo facendo in modo che le sue navi
naufragassero durante il viaggio di ritorno, come ci racconta l’Odissea.
Nell’antichità
greca e romana abbiamo notizie della presenza di un Palladio in diverse città
dalle origini antiche: Atene, Roma, Napoli, Firenze; anche se va precisato che
il Palladio non coincise sempre con la figura di Atena ma per estensione indicò
anche altre rappresentazioni di valore sacro, alle quali si attribuiva il
potere di proteggere la città (come ad esempio nei casi di Napoli e Firenze).
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Seconda parte – La Vergine Maria
Adesso
facciamo un salto in avanti lungo i secoli e arriviamo alla cultura cristiana,
più precisamente alla figura della Vergine Maria.
Non
intendo effettuare paragoni troppo semplicistici né addentrarmi in complessi
argomenti teologici che non si possono certo approfondire nello spazio di un
articolo.
Limitiamoci
soltanto ad osservare alcuni elementi, e uno in particolare, che ritroviamo sia
nella figura della Madonna sia in quella di Atena: l’appellativo di Vergine; la
Madonna come Sedes Sapientiae (Sede
della Sapienza) e il ruolo di protezione delle città (città intese come
comunità, a prescindere dalle dimensioni).
Per
quanto riguarda il discorso della Sedes
Sapientiae, nel caso di Maria dobbiamo intenderla come colei che porta in
grembo la Somma Sapienza (ricordiamo Dante Alighieri), ossia la Sapienza di
Dio; la Madonna è infatti Madre di Gesù, figlio di Dio, e quindi porta in
grembo e poi genera il Figlio di Dio. Il Figlio di Dio, però, è una delle tre forme
in cui si manifesta Dio stesso (la Trinità) e quindi Maria Vergine è figlia e
madre di Dio allo stesso tempo, e quindi della Sapienza per eccellenza; Gesù,
il Figlio di Dio è la manifestazione di questa Sapienza in carne ed ossa, è la
Parola che prende forma. Più in generale, poi - secondo alcuni pareri - non si
tratta di una sapienza esclusivamente intellettuale ma di una sapienza “a tutto
tondo” (come avevamo già osservato a proposito di Atena) che comprende anche
una conoscenza (un’intelligenza) della vita e del mondo, oltre appunto alla
Sapienza Divina.
Ora,
però, concentriamoci sul ruolo di protettrice delle città. Nella cultura
cristiana alla Vergine Maria viene affidata la protezione dell’intera comunità,
e non è un caso se molte “chiese madri” (o “chiese matrici”), dalle Cattedrali
alle sedi delle Parrocchie, sono state intitolate a Maria con titoli diversi, e
nonostante la presenza di altri Santi patroni. La Vergine Maria non è una dea,
poiché la religione cristiana riconosce un solo Dio; Maria è una donna, un
essere umano, prescelta però per dare alla luce la manifestazione di Dio nella
figura del Figlio. Inoltre, Maria, pur essendo un essere umano, lascia questo
mondo con anima e corpo che ascendono al Cielo dopo la Dormizione, per essere
quindi Assunta in Cielo e Incoronata dal suo stesso Figlio. In questo senso la
Madonna ci appare come una figura “semidivina”, che diventa Avvocata,
Mediatrice, degli uomini presso Dio mediante suo Figlio (“Santa Maria
Mediatrice” è un altro dei titoli che troviamo di frequente nelle chiese) e,
non dimentichiamo, Madre dell’Umanità. Lo vediamo in tante rappresentazioni
artistiche. Quindi, in un certo senso, Maria ha un “canale di comunicazione”
più diretto verso Dio rispetto alle altre figure di Santi e quindi diventa “tramite”
e “garante” tra i Santi Patroni e il Padre Eterno.
Rende
forse bene l’idea di queste “gerarchie” un’opera d’arte molto nota al popolo
aquilano: il gonfalone della Città di Aquila dipinto da Giovanni Paolo Cardone
(1579). Nel gonfalone vediamo i quattro Santi patroni (Massimo, Celestino V,
Bernardino, Equizio) che sorreggono la città rivolgendo lo sguardo verso
l’alto, in direzione della figura di Cristo, in alto al centro; a sinistra si
vede la Vergine Maria che guardando suo Figlio Gesù, rivolge la mano destra
verso il basso, in direzione della città e dei suoi Santi patroni, in un
atteggiamento premuroso e, appunto, mediatore.
Facciamo
adesso qualche esempio di intitolazioni alla Madonna, iniziando da tre grandi e
famose cattedrali europee:
-
il Duomo di Milano attuale,
costruito a partire dal Trecento, è intitolato a Santa Maria Nascente e sulla sua guglia più alta ospita la famosa
statua settecentesca della “Madonnina”, uno dei principali simboli di Milano;
il primo patrono di Milano è Sant’Ambrogio di Treviri.
-
Il Duomo di Napoli è intitolato a Santa Maria Assunta; il primo patrono
di Napoli è San Gennaro, la cui cappella è proprio all’interno della Cattedrale
partenopea (Real Cappella del Tesoro di San Gennaro).
-
La Cattedrale di Parigi è intitolata
a Notre-Dame (Nostra Signora) cioè la Madonna (da Mea Domina, appunto “Mia Signora”), per
l’esattezza Notre-Dame de Paris
poiché nel mondo abbiamo molte Notre-Dame
e molte Nuestra Señora; la prima
patrona di Parigi è Sainte Geneviève
(Santa Genoveffa).
Ci
fermiamo qui con i grandi esempi ma, come abbiamo ricordato, anche nei paesi è
frequente l’intitolazione della “chiesa madre” (o “chiesa matrice”) alla
Madonna con appellativi diversi; tra i più frequenti, come per le Cattedrali,
troviamo il titolo di Santa Maria Assunta. Ci bastano pochi esempi molto
vicini, proprio nel contado della nostra città:
-
la chiesa madre di Paganica è
intitolata a Santa Maria Assunta,
anche se oggi unisce i titoli di “Santa Maria Assunta e Santa Croce” dal nome
di una chiesa vicina scomparsa nel XX secolo; per non parlare della chiesa
madre di Santa Maria Assunta nel
vicino borgo di Assergi che aveva in
città la sua chiesa omonima, poi ridenominata Santa Maria del Carmine, come la
conosciamo oggi.
-
A Gignano abbiamo la chiesa
parrocchiale intitolata a Santa Maria
Assunta. Oggi tendiamo a concepire Gignano soltanto come un quartiere
residenziale della città, ma questo è riduttivo: Gignano, infatti, è
innanzitutto un borgo con una sua origine autonoma e un suo stemma storico, e
fa parte dei castelli del Contado che contribuirono alla fondazione
dell’Aquila; per questo possiamo considerarlo come un centro abitato autonomo,
che fino a pochi decenni fa aveva la caratteristica tipica di una comunità
rurale, con le case raccolte intorno alla sua chiesa parrocchiale. Purtroppo la
parrocchiale che compare nelle foto d’epoca non è più esistente a seguito del
sisma del 2009; la chiesa era rimasta in piedi dopo il terremoto ma è stata
demolita completamente a poche settimane dal sisma e poi sostituita dalla nuova
chiesa negli anni recenti. Si trattava di un bell’edificio rustico con i tratti
della chiesa di campagna ma anche con una grande spazialità all’interno, abbastanza
sviluppata in altezza, e con un altare edicola - come si vede da diverse foto
-; inoltre, sopra il portale di questa chiesa demolita era dipinta un’immagine
della Madonna, dal forte valore popolare, che ricordava l’intitolazione della
parrocchiale.
Nota.
Le origini agricole di Gignano sono ricordate anche dalla specificazione del
nome di alcune strade: la prima che viene in mente è la Strada Vicinale dei
Cappuccini, un nome da conservare come tutte le altre “strade vicinali” che
troviamo nel nostro territorio comunale; la specificazione di “Strada Vicinale”
infatti, ci ricorda che quella strada era nata in un contesto agricolo come via
di servizio, generalmente privata, per l’accesso a terreni e ad abitazioni
specifiche - e poi - con il passare del tempo è divenuta una strada di utilità
pubblica. È ancora più importante conservare questi nomi caratteristici in quei
contesti - come Gignano ma non solo - che hanno conosciuto un certo sviluppo
residenziale. Significa mantenere la memoria del passato agro-pastorale dei
nostri territori.
A
questi esempi aggiungiamo, a titolo di ulteriore curiosità, che Santa Maria Assunta è patrona del borgo
di Bagno Piccolo dove sorge la
chiesa omonima.
In
generale, il culto dell’Assunta è molto antico anche se è stato proclamato come
dogma soltanto nel 1950 da papa Pio XII, e le intitolazioni a Maria Assunta
sono molto frequenti.
Tornando
alle Cattedrali, ovviamente ci sono anche città in cui il Duomo è intitolato al
Santo patrono. Ne abbiamo un esempio proprio a L’Aquila: la nostra Cattedrale,
infatti, è intitolata a San Massimo e San Giorgio. Anche da noi però, se
andiamo a cercare, troviamo una chiesa molto importante della città nella quale
è presente una dedica specifica alla Madonna ma che generalmente ci sfugge. Non
mi riferisco a Santa Maria Paganica, grande e importante chiesa Capoquarto,
costruita dagli abitanti di Paganica in città riportando - dentro le mura - la
stessa intitolazione della chiesa madre di Paganica, di cui abbiamo già parlato.
Non mi riferisco neanche alla grande Basilica di Santa Maria Assunta in
Collemaggio la cui intitolazione si lega al racconto della Madonna che appare
in sogno a Pietro Angelerio (o Angeleri; futuro papa Celestino V) mentre
riposava in quel luogo. E non mi riferisco ad altre chiese che riportano il
titolo di Santa Maria per ragioni diverse e con appellativi diversi (ad esempio
Santa Maria del Suffragio, intitolata alla Madonna che intercede per le anime
del Purgatorio).
La
chiesa a cui mi riferisco è invece la Basilica
di San Bernardino, fondata proprio per ospitare degnamente il sepolcro del
famoso Santo dell’Osservanza francescana. Fermiamoci davanti alla facciata
della Basilica e guardiamola attentamente: una grande iscrizione in alto ci
ricorda che la chiesa è intitolata al patrono San Bernardino, il più “giovane”
dei quattro Patroni dell’Aquila (lo precedono - in ordine cronologico - San
Massimo d’Aveja, Sant’Equizio, San Celestino V).
Ora,
avviciniamoci ancora fino ad arrivare davanti al portale centrale, realizzato
diversi anni dopo il completamento della facciata; un’iscrizione nella lunetta
del portale - in un latino non del tutto “classico” - ci dice che la chiesa è
consacrata alla Vergine Madre del Dio Vivente e a San Bernardino (il Dio
Vivente è Gesù, ossia Dio che si è fatto uomo e quindi vivente). Le figure
scolpite a rilievo nella lunetta ci chiariscono ulteriormente i dubbi: al
centro della composizione vediamo la Madonna seduta con il Bambino Gesù; a
sinistra, San Francesco d’Assisi ci ricorda che entriamo in una chiesa
francescana, mentre a destra è ritratto San Bernardino da Siena (lo
riconosciamo perché indica il famoso trigramma del “Nome di Gesù”) che poggia
la mano sulla spalla di un uomo in genuflessione. Sotto la figura di quest’uomo
leggiamo un nome: “Hieronimus de Nurcia”,
Geronimo (o Gerolamo) da Norcia, procuratore della fabbrica della Basilica tra
il 1558 e il 1562.
La
nostra camminata si conclude qui: siamo partiti da un dipinto della dea Atena
sulla volta di una stanza in Via Garibaldi, abbiamo percorso un breve tragitto
di alcune centinaia di metri tra le vie della nostra città, e siamo arrivati
davanti al portale centrale della Basilica di San Bernardino. Durante questa
passeggiata, però, un flusso di pensieri ci ha portato a conoscere un po’
meglio la dea Atena, accennando anche ad Ulisse e a Perseo; poi ci siamo
spostati nei secoli e siamo arrivati alla cultura cristiana e quindi alla figura
della Vergine Maria. Nel discorso ci siamo spostati a Milano, Napoli e Parigi,
per poi avvicinarci al nostro Contado citando Paganica, Assergi, Gignano e
Bagno Piccolo. Quindi siamo rientrati a L’Aquila e, davanti all’ingresso della Basilica
di San Bernardino, il nostro pensiero si è riunito al nostro tragitto.
L’articolo
ha voluto fornire alcuni spunti di approfondimento su argomenti molto dibattuti
e complessi.
Ringrazio
la dott.ssa Maura Iannucci, il prof. Giulio Pacifico e il sig. Fernando Rossi per
gli utili suggerimenti e informazioni necessari alla stesura di questo
articolo.
Mauro
Rosati