Il "Secolo breve" raccontato da un mappamondo |
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Dalla mia “macchina del tempo”.
Poche
settimane fa, ho “rispolverato” e “rimesso in moto” un mio oggetto d’infanzia, tutt'ora perfettamente funzionante. Oltre che per piacere personale, l’ho
recuperato anche come arredo pratico, vale a dire come lampada da comodino.
Si
tratta di uno di quei “mappamondi” che rappresentano la “geografia fisica”
quando sono spenti e la “geografia politica” quando si illuminano. Un oggetto
che ancora oggi - mi dicono - è molto gettonato tra i bambini, nonostante le tante applicazioni a tema disponibili nel mondo virtuale, e che io stesso
utilizzo.
Probabilmente,
il fascino di questo oggetto deriva da quella sensazione di “avere il mondo tra
le mani” - nel senso positivo dell’espressione - e cioè di maneggiare qualcosa
che nella realtà non potremmo toccare né spostare perché ci siamo sopra noi
stessi (oltre alla differenza di dimensioni ovviamente).
Questo
semplice ma affascinante oggetto è dotato anche di una scala graduata che
indica la latitudine, e di due ghiere - ai due Poli - che riportano una scala ruotabile dei fusi orari, prendendo come “ora zero” quella del meridiano che ci interessa.
Dopo
aver riscoperto questo mappamondo, oltre a guardarlo di nuovo affascinato con
gli "occhi del bambino", ora lo leggo anche come "fotografia" di un’epoca storica relativamente recente e piena di cambiamenti.
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Questo mappamondo mi fu regalato tra il 1988 e il 1989.
Ero molto piccolo, non avevo ancora iniziato le Scuole Elementari (oggi Primarie) e, per divertimento, avevo appena imparato le bandiere e le capitali europee e quelle principali a livello mondiale. Nel giro di pochi anni avrei “dovuto” imparare nuove capitali e nuove bandiere, come vedremo più avanti.
Esisteva già un commercio globale ma molti degli oggetti che si acquistavano in Italia erano ancora “Made in Italy”, esattamente come questo mappamondo e come la lampadina - credo originale - che lo illumina da dentro.
In Italia i Sindaci non venivano eletti direttamente dai cittadini; gli elettori votavano per il Consiglio Comunale che poi eleggeva il Sindaco (un po' quello che accade ancora oggi a livello nazionale: gli elettori votano per le due Camere del Parlamento ma non eleggono direttamente il Presidente del Consiglio dei Ministri, Capo del Governo).
Negli anni 1992-1993, L'Aquila ebbe il suo primo Sindaco donna, eletto appunto dal Consiglio Comunale dell'epoca.
E proprio nel 1993, una legge nazionale ( Legge n. 81/1993 ) introdusse l'elezione diretta del Sindaco che durava in carica quattro anni, e non cinque come adesso.
E così, nel 1994, anche la nostra Città ebbe il primo Sindaco eletto direttamente dai cittadini.
(....ovviamente queste cose le ho imparate diversi anni dopo perché all'epoca, per motivi di età, ero ancora ben lontano dalla "categoria" degli elettori)
Sempre in
Italia, le targhe delle automobili riportavano la sigla delle Province in due
lettere e una sequenza numerica (o alfanumerica) progressiva, in base all'ordine di immatricolazione in una certa provincia (sulle due lettere faceva
eccezione Roma - sigla “RM” - che nelle targhe riportava il nome per intero;
privilegi da Capitale 😊); al centro della targa, tra la sigla e i numeri, era raffigurato l'emblema della Repubblica Italiana contenente le iniziali "R.I.". Pochi anni dopo, quando frequentavo le
Scuole Elementari, entrarono in circolazione le nuove targhe che usiamo adesso,
con la numerazione unica nazionale (ai lati due coppie alfabetiche e al centro una sequenza numerica
di tre cifre). Involontariamente mi era stato tolto uno dei miei “passatempi”
di bambino durante i viaggi lunghi 😊: indovinare le
sigle delle Province - e anche degli Stati - sulle targhe dei mezzi in
sorpasso. Qualche anno dopo però, ai lati delle nuove targhe vennero aggiunte
le sigle delle Province e degli Stati europei di appartenenza. E da allora ho
ripreso a “giocare” (...e lo faccio tutt'ora 😉).
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Curiosità "autobiografica". …Mi raccomando però: non ditelo a nessuno…! 😄
Sempre
quando ero molto piccolo - prima di iniziare le Elementari - le prime volte che
leggevo i cartelli autostradali, pensavo che "L'Aquila est" e
"L'Aquila ovest" fossero due città diverse.
Le
avevo anche "collocate" fisicamente: non riuscendo ancora a
orientarmi bene sul territorio, pensavo che "L'Aquila est" fosse
tutto ciò che vedevo a ovest dell'autostrada (soprattutto Pettino, Coppito e
dintorni), mentre "L'Aquila ovest" era tutto ciò che vedevo a est
dell'autostrada (quindi il centro Città e i quartieri limitrofi); ovviamente il
confine tra "le due città" era proprio l'autostrada su cui viaggiavo,
il mio punto di riferimento primario.
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Torniamo
al contesto generale di quegli anni 1988-1989.
Da
più di trent'anni esisteva già l’Europa Unita ma si chiamava C.E.E. (Comunità
Economica Europea) e non ancora U.E. (Unione Europea). Si parlava già da molti
anni di moneta unica europea ma si chiamava E.C.U. (European Currency Unit = Unità di Conto Europea), una moneta
virtuale che nel giro di circa 10 anni sarebbe diventata l’Euro. Ricordo - sempre da
bambino - un gioco di società in cui negli acquisti e nelle vendite si
utilizzava proprio l’E.C.U.; forse anche per questo, almeno per me, il
passaggio dalla Lira all'Euro - quando ero adolescente - è stato qualcosa di
normale e lineare - direi scontato - e forse sempre per questo sento “mia” la
moneta unica europea. Da giovane adulto, il mio primo stipendio è stato in
Euro. Quindi ricordo cos'era e come si usava la Lira ma la mia abitudine
quotidiana è in Euro.
Appena
entrata in circolazione la moneta unica, poi, ero particolarmente affascinato
dal pensare che era dai tempi della massima espansione dell’Impero Romano che
un’area dell’Europa così vasta non utilizzasse la stessa moneta. Nei secoli successivi
ci sono stati altri Imperi nel sub-continente europeo ma - almeno credo - non
mi pare che a livello monetario abbiano ricoperto la stessa area dell’Impero
Romano. La novità dell’Euro, invece, rispetto al passato, consiste nel fatto
che la moneta non è stata adottata come conseguenza di una occupazione/conquista
militare ma per una spontanea adesione dei governi di singoli Stati sovrani.
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Adesso "guardiamo" di nuovo questo mappamondo. Scrivevo sopra: la "fotografia" di un’epoca.
Da quando mi fu regalato, di lì a pochi mesi la situazione geopolitica rappresentata su quel mappamondo sarebbe passata alla storia e avrebbe aperto una nuova epoca. Iniziava la fine del “Secolo breve”, così come lo ha definito lo storico inglese Eric Hobsbawm, ossia il periodo compreso tra il 1914 - inizio della Prima Guerra Mondiale - e il 1991, inizio di una nuova rivoluzione geopolitica.
Il
09 novembre 1989 cadeva fisicamente il Muro di Berlino che per oltre 28 anni
aveva tagliato in due la capitale tedesca ma, metaforicamente e fisicamente, aveva anche diviso due
diverse concezioni del mondo. Ero molto piccolo, ricordo alcune immagini in
televisione ma non ne comprendevo ancora la portata storica; l'avrei compresa crescendo e studiando. Di quel 09 novembre 1989 ricordo che mi
chiedevo: che ci fanno tutte quelle persone su un muro colorato e scarabocchiato mentre
festeggiano aprendo bottiglie di spumante ed esultando come tifosi allo Stadio?
Perché mentre festeggiano buttano giù pezzi interi di quel muro?
Queste
erano alcune delle mie spontanee e semplici domande di bambino piccolo.
Ovviamente
quella data simbolica arrivava alla fine di un decennio di importanti e
graduali cambiamenti politici che non ricordo direttamente ma che ho avuto modo
di imparare dopo. Le prime “crepe” metaforiche di quel Muro, risalivano all'inizio di quel decennio, gli anni Ottanta.
Come
scrivo spesso, la storia non cambia da un giorno all'altro; esistono
“eventi-simbolo” ma i cambiamenti complessivi, prima e dopo, sono sempre
graduali.
Dopo
quel 09 novembre 1989, nel giro di tre anni, si sarebbero rotti equilibri che
duravano dalla fine della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Alcuni Stati
sarebbero scomparsi, altri sarebbero ricomparsi o ne sarebbero nati di nuovi.
La
Germania, che dopo la Seconda Guerra Mondiale era stata divisa
“artificialmente” in due Stati - Germania Est, con capitale Berlino, e Germania
Ovest, con capitale Bonn -, sarebbe tornata unita in un solo Stato.
Mentre
le “due Germanie” si riunificavano, la Cecoslovacchia si divideva pacificamente
in due Repubbliche: la Repubblica Ceca (Cechia), con capitale Praga, e la
Slovacchia, con capitale Bratislava.
L’U.R.S.S.
(Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), nata dopo la “Rivoluzione di
Ottobre” del 1917, si sarebbe sciolta nella C.S.I. (Comunità di Stati
Indipendenti) e poi, al suo posto, sarebbero tornate la Russia (Federazione
Russa, la più grande delle ex Repubbliche Sovietiche) e tante altre
Repubbliche - dal Mar Baltico al Mar Nero, dal Caucaso all'Asia Centrale -.
Cadeva
anche la Jugoslavia - letteralmente “Slavia del Sud” - uno Stato federale nato
nel 1918. Nel 1991, infatti, sarebbero iniziate le guerre di secessione
balcaniche - una serie di guerre civili durata fino al 2001 - dalle quali sarebbero
uscite indipendenti la Slovenia, la Croazia, la Bosnia-Erzegovina, la Macedonia
del Nord, il Kosovo (quest’ultimo non riconosciuto ufficialmente da tutti gli
Stati dell’O.N.U.). Della Jugoslavia rimase la "Repubblica di Serbia e Montenegro" ma poi anche il Montenegro è diventato indipendente (2006), e oggi esiste la Serbia
a rappresentare il nucleo centrale dell’ex Jugoslavia.
L’inizio
delle guerre di secessione balcaniche, nel 1991, rappresentò anche l’inizio della
prima guerra in Europa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, cioè dal
1945.
Mentre
cambiava la geografia politica dell’EurAsia, a volte cambiavano nuovamente anche
i nomi delle città; un esempio proprio in Russia: “Leningrado” (letteralmente
“città di Lenin”) - e già “Pietrogrado” - dopo 77 anni recuperava il nome
originale di “San Pietroburgo”.
Tutto
questo accadeva soltanto, appunto, in EurAsia, forse il continente
politicamente più stravolto dagli eventi di quegli anni.
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Anche
nel resto del Mondo però, molti Stati sono nati, o sono rinati, dopo quel triennio
1989-1991; per esempio: l’Eritrea dopo la secessione dall'Etiopia (1993), Timor
Est (2002) dopo la secessione dall'Indonesia (a seguito di un referendum nel 1999), il Sud Sudan (2011) dopo la
secessione dal Sudan.
Nota. Il referendum indipendentista di Timor Est nel 1999 fu seguito da gravi scontri militari che determinarono l'intervento di un contingente militare O.N.U. al quale prese parte anche l'Italia; la stampa sottolineò come quello fosse stato il primo intervento militare italiano a sud dell'Equatore. A voler essere dettagliati, nella storia dell'Italia unita c'erano stati gli interventi in Somalia, prima coloniali - tra Ottocento e Novecento - e poi con l'O.N.U. - negli anni Novanta -; e una piccola porzione della Somalia si trova a sud dell'Equatore. È chiaro però che Timor Est si trova interamente a sud dell'Equatore e quindi questa curiosità storica, evidenziata dalla stampa, era effettivamente una novità per le missioni militari italiane.
Riprendiamo il filo principale del "riassunto".
Il 1° luglio 1997 Hong Kong tornava dal Regno Unito alla Cina (ricordo in TV la cerimonia del "passaggio di consegne"); nel dicembre del 1999 Macao seguiva la stessa strada, ceduta dal Portogallo.
Al contrario, le due Coree rimangono ancora divise. Così come, di fatto, rimane ancora divisa in due l'isola di Cipro, nel Mediterraneo orientale - la terza isola più grande del Mediterraneo, dopo Sicilia e Sardegna -.
E - come in Europa - anche nel resto del mondo diversi nomi sono cambiati; per
esempio: nel 1997 lo Zaire (ex "Congo belga") è diventato Repubblica Democratica del Congo; dal 1989 la
Birmania si chiama Myanmar; dal 1996 Bombay, in India, si chiama Mumbai.
A
livello mondiale, l’unico continente che ricordi più “stabile”, almeno per i
confini degli Stati, pareva quello americano; più correttamente “le Americhe”.
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Domanda
a parte. Cosa accadeva invece in Italia in quegli anni, a livello di geografia
politica?
Fortunatamente
nulla di traumatico almeno per quanto riguardava la geografia politica: intendo
dire, nessun cambiamento che riguardasse i confini nazionali; nella prima metà
degli anni Novanta i problemi gravi dell’Italia erano di altra natura - conti
pubblici, instabilità politica e ordine pubblico (non che non ce ne siano anche adesso, ma i primi anni Novanta furono particolarmente "travagliati") -. Non bisogna poi dimenticare che, sempre negli anni Novanta, l’Italia ha avuto quasi costantemente la guerra “alle
porte di casa”, cioè le guerre di secessione balcaniche che abbiamo visto più
sopra. Oltre al Mar Jonio (molto a sud), l’Italia e la penisola balcanica
condividono prevalentemente un altro mare, stretto e lungo: il Mare Adriatico;
le “due rive” dell’Adriatico, quella italiana e quella balcanica, corrono
parallele da sud - dove il Salento tocca quasi le coste dell’Albania (Canale di
Otranto) - a nord, dove le due sponde “si incontrano” amministrativamente al
confine fra Trieste e la Slovenia.
Al
suo interno, invece, l’Italia ha visto cambiamenti di confine soltanto a
livello regionale; cambiamenti che però non hanno nulla a che fare con la “rivoluzione
mondiale” iniziata negli anni 1988-1991.
E ha visto anche un importante passo in avanti culturale: il riconoscimento legittimo di molte minoranze linguistiche storiche ( Legge n. 482/1999 ).
Nota. Il mio augurio è che questa legittimazione venga estesa ufficialmente a tutti i dialetti italiani - a prescindere dal numero dei "parlanti" - e che possano quindi diventare materia di studio e/o approfondimento nelle scuole; patrimonio immateriale vivo da coltivare nel presente e nel futuro.
Ad esempio i "dialetti aquilani", al pari di tutti gli altri dialetti dell'Italia centrale (i "Mediani"), vengono "tecnicamente" considerati soltanto come "varianti della lingua italiana" ma penso che ciò sia riduttivo e rischi di "appiattirne" le loro specificità e stratificazioni storiche (pensiamo ai forestierismi assimilati nei secoli dai nostri dialetti/lingue italiani). Ecco perché si rendono necessarie una Legge e un'Accademia che riconoscano ai dialetti la giusta dignità (...a meno che non esistano già e mi sfuggano).
Per non parlare delle vere e proprie lingue come il Napoletano, il Siciliano, il Lombardo e altre, a loro volta suddivise in dialetti (ossia varianti locali).
( https://patrimonilinguistici.it/dialetti-italiano/ )
Curiosità. Intanto, circa 5-6 anni fa ho avuto una bella soddisfazione. Durante una lezione in qualità di ospite (o visitor se preferite) in una Scuola Secondaria di II grado, ho visto per la prima volta il nostro Buccio di Ranallo da Poppleto citato in un'antologia nazionale come esempio trecentesco di letteratura volgare locale, in "compagnia" dei più noti Alighieri, Boccaccio e Petrarca. E con tanto di cartina con "localizzazione" geografica del poeta e cronista aquilano.
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Chiusa questa doverosa parentesi, riprendiamo il discorso delle variazioni amministrative in Italia dagli anni Novanta ad oggi.
A partire dal 1992, e per diversi anni a seguire, sono nate molte nuove Province che si sono separate da altre già esistenti.
Curiosità. In questi tre decenni trascorsi, tra le Regioni più "attive" a livello di variazioni provinciali, c'è stata la Regione Autonoma di Sardegna: prima, le Province erano quattro (Cagliari, Nùoro, Oristano, Sassari); poi sono diventate otto (Cagliari, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias, Nùoro, Ogliastra, Oristano, Sassari, Olbia-Tempio); oggi abbiamo quattro Province (Sud Sardegna, Nùoro, Oristano, Sassari) e una Città Metropolitana (Cagliari).
Il cambiamento più importante però, è stata la modifica del confine tra due Regioni: le Marche e l’Emilia-Romagna. Il 15 agosto 2009, sette Comuni dell’Alta Valmarecchia sono passati ufficialmente dalla Provincia di Pesaro-Urbino alla Provincia di Rimini ( Legge n.117/2009 ), a seguito di un referendum del 2006; le Marche hanno reagito con un ricorso alla Corte Costituzionale che lo ha respinto, confermando di fatto la modifica dei confini regionali (2010; da “Il Resto del Carlino” del 10/07/2010 ).
Questo
cambio di Regione ha modificato in piccola parte i “contorni”
dell’Emilia-Romagna ma soprattutto delle Marche, che ora sono un po’ più
“corte” perché non hanno più quella “punta” in alto a sinistra - a sud-ovest
della Repubblica di San Marino -.
Una modifica che ho seguito con attenzione perché ha interessato territori che conosco direttamente fin da bambino.
Nota. I sette Comuni interessati dal cambio di Regione erano di fatto già romagnoli per cultura; il cambio di Provincia li ha riunificati con la "bassa Valmarecchia". La valle prende il nome dal fiume Marecchia, che nasce in territorio toscano e a pochi chilometri dalle sorgenti del Tevere, che nasce invece in Romagna. Dopo aver attraversato la valle omonima, fino agli anni Venti del Novecento il Marecchia entrava nel cuore più antico di Rimini - dove scorreva sotto il famoso ponte di Tiberio - e sfociava nell'Adriatico all'altezza dell'odierna Marina di Rimini dopo aver costeggiato Borgo San Giuliano, caratteristico quartiere marinaro del capoluogo romagnolo. Dopo la deviazione novecentesca del suo alveo, "spostato" poco più a nord - all'esterno del centro cittadino - per contrastare le inondazioni, oggi il Marecchia sfocia tra la frazione di Rivabella e Borgo San Giuliano. Il ramo rimanente del percorso originale, invece, corre tutt'ora sotto il ponte romano fino al porto canale della Marina riminese e quindi al Mare Adriatico. Per i Romani antichi il "Marecchia" era l'Ariminus flumen dal quale prese il nome il porto alla sua foce (vi ricorda qualcosa? 😉) . Il fiume Marecchia rappresenta anche un confine fisico convenzionale tra la Pianura Padana, sulla riva sinistra, e la penisola italiana, sulla riva destra.
Curiosità. Tra i Comuni "marecchiesi" passati dalle Marche alla Romagna, voglio citare San Leo, piccolo borgo del Montefeltro riminese che conosco fin dall'infanzia, insieme ad altri borghi della Valmarecchia. Nonostante le piccole dimensioni, San Leo - a pochi chilometri dalla più nota Repubblica di San Marino - è un concentrato di storia, arte e architettura; per chi capitasse da quelle parti (anche per una gita in giornata) vorrei ricordare e "consigliare": la famosa "rocca" (il forte di San Leo), nota per essere stata la prigione del "Conte di Cagliostro", celebre nobile siciliano; il Duomo di San Leo (o "San Leone") e la Pieve di Santa Maria Assunta, due splendidi esempi di architettura romanica; la torre campanaria dell'ex cittadella vescovile; il Museo d'Arte Sacra.
E non dimentichiamo che siamo in Romagna...quindi anche a San Leo ci può "scappare" una bella "piada" 😉.
La rocca di San Leo sorge a monte del borgo e vi si può arrivare anche a piedi attraverso un bel sentiero da "trekking", impegnativo per la salita ma tranquillamente percorribile anche per chi non pratica l'escursionismo. Il forte di San Leo domina un "ardito" sperone roccioso a strapiombo che "sfida" le leggi di gravità, e che personalmente mi ricorda nella posizione l'altrettanto "ardito" castello di Roccascalegna (Chieti) nei nostri Abruzzi. Proprio per questa "arditezza" del sito, lo sperone della rocca di San Leo è stato oggetto di interventi di consolidamento artificiale (ricordo personalmente una grande impalcatura sotto lo sperone di San Leo in una delle mie visite al borgo, nel 2006; mi pare che si stessero effettuando delle "iniezioni" di rinforzo all'interno delle rocce); interventi necessari anche perché il Montefeltro, di tanto in tanto, è "terra ballerina" (come gran parte dell'Italia, d'altro canto).
Tanto è inerpicata la rocca di San Leo che Dante Alighieri, nella sua "Commedia", la cita insieme ad altre ripide "alture" come termine di paragone per descrivere la faticosa salita al "primo balzo" dell'Antipurgatorio: "Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, / montasi su in Bismantova e ’n Cacume / con esso i piè; ma qui convien ch’om voli; [...]" (Purgatorio, canto IV, terzina 25-27). Come dire: l'arrampicata che sto facendo (al Purgatorio) è ancora più difficile di San Leo (...quindi figuriamoci!), tanto che quasi non bastano i piedi e converrebbe piuttosto volare.
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Spostiamoci di nuovo sull'Italia in generale.
Oltre a queste variazioni di Province e Regioni, ci sono state e continuano ad esserci anche molte "fusioni" fra Comuni, in una tendenza allo "snellimento" amministrativo; e anche "Unioni di Comuni", ossia Comuni che mantengono la loro autonomia ma che condividono la gestione di molti servizi (due esempi: l'Unione di Comuni Valmarecchia, in Romagna - appunto - e l'Unione di Comuni della Val Vibrata, negli Abruzzi).
Nota. Riguardo alle fusioni di Comuni - sempre più frequenti - si può dire - senza banalizzare - che la “Grande Aquila”, nata nel 1927 dall'incorporamento nel Comune di Aquila di alcuni Comuni confinanti, sia stata una scelta che forse inconsapevolmente anticipava la tendenza odierna (Regio Decreto n. 1564/1927); anche se all'epoca i motivi principali dell’incorporamento erano stati altri. Oggi in parte si contesta ancora quella scelta ma - dal mio personale punto di vista - penso che invece abbia un valore attualissimo, considerando che la tendenza di questi anni - sempre più diffusa in Italia - è proprio verso le fusioni fra Comuni, appunto per un maggiore “snellimento” amministrativo. Per lo stesso motivo - come ho già espresso in un altro articolo - penso che sarebbe anacronistico ripristinare i Comuni soppressi all'epoca (1927); sarebbe invece più efficace riconoscerne le specificità storiche elevandoli nel titolo, promuovendoli da “Delegazioni” a “Castelli” o a “Castellanìe” (sarebbe ancora più stringente il titolo di “Università” - intesa come “collettività”, “comprensorio” - ma per ovvi motivi si potrebbe creare confusione con l’"Università" intesa come istituzione accademica; per questo trovo che i titoli di “Castelli”, o “Castellanìe”, sarebbero più efficaci).
Allo
stesso tempo, poi, dovremmo guardare ancora oltre, verso una maggiore coesione
e collaborazione anche con i Comuni limitrofi: un legame Città-Territorio più
sistematico e ufficiale da un punto di vista amministrativo.
Mi chiedo quindi: perché non pensare a una "Unione dei Comuni Aquilani", magari iniziando con quelli della "prima cintura aquilana" (ossia quelli direttamente confinanti con L'Aquila)?
Insomma,
per sintetizzare: «L’unione fa la forza»!
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Torniamo
adesso sulla “scena mondiale” - I cambiamenti fisici e climatici
Tra
tutti i cambiamenti di cui abbiamo “parlato”, il più impressionante è stato
però un cambiamento di geografia fisica: la quasi completa scomparsa di un
grande lago salato, chiamato Mar d’Aral.
Il
Mar d’Aral si trovava al confine tra il Kazakhstan e l’Uzbekistan, altre due
repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Dalla metà del Novecento in poi, il lago
ha iniziato a ridursi per cause umane dirette e indirette; fino ad arrivare ad
oggi, con il lago originario quasi del tutto scomparso.
Del
grande lago rimangono due “porzioni”: il “Piccolo Aral” a nord - nel territorio
del Kazakhstan - e il “Grande Aral” a sud-ovest - principalmente nel territorio
dell’Uzbekistan -; poi c’è una porzione centrale che ad oggi è in una situazione
variabile, essendosi riaccumulata una certa quantità d’acqua.
Al
posto della maggior parte del lago è rimasto un territorio desertico dal
terreno molto salato e quindi arido.
Nel
giro di alcuni decenni quel lago ha subito cambiamenti che normalmente
avvengono in tempi geologici, e quindi molto più lunghi di quelli storici.
Per
avere un’idea del disastro, basti pensare che il Mar d’Aral, prima del suo
ritiro, aveva una superficie che era circa la metà del Mare Adriatico;
immaginate quindi le dimensioni e anche i cambiamenti apportati al clima di
quella zona.
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Ci
sarebbero tante altre riflessioni e curiosità ma ognuno di voi potrà poi approfondire
in base ai propri interessi culturali.
Quello
che si può dire, ragionando su questo mappamondo luminoso, è che a distanza di
31 anni da quel 1989 e a 29 anni dalla fine del “Secolo breve”, la situazione
mondiale è ancora molto “fluida” e quindi in evoluzione. Molte sono ancora le
“situazioni aperte”, anche in Europa: guerre civili, aspirazioni all'indipendenza,
guerre di confine, territori contesi.
Il
“Secolo breve” si è concluso con la caduta dei suoi equilibri, ma oggi il Mondo
non ha ancora raggiunto equilibri nuovi; è come se la fine del “Secolo breve”
fosse ancora in atto.
Il
mondo “bipolare” del Novecento è diventato “multipolare”; e se la nostra Europa
(subcontinente dell’EurAsia) vuole avere una sua posizione, dovrà necessariamente
rafforzare la sua unità, rivedendo quello che non funziona ma cercando di
viaggiare verso una maggiore compattezza.
Dal
mio personale punto di vista, non bisogna rimettere in discussione l’Europa
unita - una grande e “sudata” conquista del secondo dopoguerra - ma bisogna
piuttosto correggere i meccanismi che si sono "inceppati" e riprendere il cammino
in direzione dell’unità; ovviamente continuando contemporaneamente a coltivare
le nostre numerose e differenti culture locali, ricchezze e fondamenti
dell’Europa unita.
"Detto" questo, spengo il mio mappamondo sul comodino e vi do la buonanotte 😊.
Mauro Rosati