sabato 30 gennaio 2021

«Fiori di geranio – Fiori di gennaio»

Fiori di geranio (Foto: Mauro Rosati; 2021)

 


30 gennaio 2021


Giornata di manutenzione straordinaria nel mio giardino domestico. Pulizie botaniche di mezzo Inverno.

E intanto i bocciòli di due settimane fa sono sbocciati: sono i fiori di un geranio “zonale” (pelargonium zonale).


Il mio appartamentino (e balcone quindi) è a 740 metri di altitudine circa; a poche centinaia di metri dalle mura nord della mia Città, il terzo capoluogo di provincia più alto d'Italia.
Lo sguardo spazia dal Castello a Santa Maria Paganica, fino al monastero di San Basilio.

E anche verso una sfilata di monti sullo sfondo, fino al Sirente.


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Il geranio della foto si trova all'aperto, non è in una serra, ma è collocato in una posizione favorevole.

Il mio "giardino verticale" - infatti - si trova in un balcone "a incasso" e con esposizione a Est-Sud-Est; per cui prende il sole - quanto basta - nelle ore mattutine ed è riparato dai venti di Tramontana.

La vicinanza del vaso al muro interno dell'appartamento, poi, aiuta la pianta a beneficiare del tepore emesso dalle pareti.

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Il balcone "a incasso" è ottimo per tanti motivi:

 

- è migliore da un punto di vista antisismico perché fa "corpo unico" con il resto della struttura, e non crea appesantimenti aggiuntivi (me lo hanno spiegato tecnici del settore);


- è aperto solo su un lato, quindi è come avere una stanza in più ma all'aria aperta. In una giornata mite come oggi - anche se siamo a gennaio - ci si può stare gradevolmente seduti con una felpa;


- il balcone "a incasso" può essere utilizzato anche quando piove (se non piove a vento) e senza il rischio che ci voli qualche "zozzura" in testa dai piani alti;


- è migliore da un punto di vista termico perché d'estate i raggi del sole - che nelle ore più calde hanno un'inclinazione più alta - non arrivano a toccare le finestre, che quindi si scaldano più lentamente; nel periodo freddo - invece - il calore interno si disperde più lentamente.


 

Per questo non capisco perché molti costruttori realizzino ancora oggi i balconi "a sbalzo" (quelli sporgenti). Certo, si recupera qualche metro quadrato in più nell'appartamento ma - vi assicuro per esperienza diretta - sono molti di più gli svantaggi.

Un bel balcone “a incasso” è tutta un’altra cosa.



Per quanto mi riguarda, meglio 3-5 m² in meno ma avere un balcone utilizzabile estate e inverno, con sole, pioggia e neve; e per di più sufficientemente spazioso.

 

 

 

Mauro Rosati


giovedì 28 gennaio 2021

«Stoffa nero-verde»

(Foto: Mauro Rosati; 2021)


Era già da qualche anno che ci avevo fatto un pensierino.

E ancor di più da qualche mese.

Adesso - finalmente - eccola qui!




IMMOTA MANET




7000 cm² di stoffa (neanche 1 m²) carichi di significato e di fortissimo valore simbolico.



Il Tricolore "cisalpino" ce l'ho già e lo custodisco con cura e rispetto.

Ma non poteva certo mancare anche la mia bandiera civica, il "bicolore" nero-verde della mia Città.



La custodirò con cura e la esporrò dal mio balcone secondo un calendario di date (commemorazioni e festività) legate alla storia aquilana.


Date di commemorazioni; tradizioni antiche e contemporanee, laiche e religiose; feste di valore religioso e storico.



 

Mauro Rosati

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N.B.: ovviamente il calendario è aggiornabile e implementabile sulla base di nuove conoscenze sulla storia cittadina!




21 gennaio:

Sant'Agnese; la ricorrenza è oggi legata alla festa laica delle Confraternite aquilane delle «malelingue» e a una serie di eventi pubblici collegati.

È un uso che divide l'opinione pubblica cittadina ma può essere considerato pur sempre un evento festivo.



02 febbraio:

commemorazione sisma 02/02/1703.




26-27-28 febbraio:

anniversario dei "Moti aquilani" del 1971.




06 aprile:

commemorazione sisma 06/04/2009.




11 aprile:

"Compleanno" della Città; anniversario della rifondazione angioina.

(Fonte: «Cronica» rimata di Buccio di Ranallo di Coppito di Aquila.)




23 aprile:

San Giorgio; primo patrono della Città - in ordine storico -, Santo "eponimo" del Quarto di San Giorgio, e titolare della Cattedrale dell'Aquila insieme a San Massimo d'Aveja.




19 maggio:

San Celestino V papa; compatrono della Città e patrono del Quarto di San Giorgio.




20 maggio:

San Bernardino da Siena; compatrono della Città e patrono del Quarto di Santa Maria.




02 giugno:

anniversario della "Battaglia dell'Aquila" (o "Battaglia di Bazzano") del 02/06/1424; liberazione di Aquila dall'assedio di Braccio da Montone.




07-08 giugno:

commemorazione eccidio nazista di Filetto, 07-08/06/1944.




10 giugno:

San Massimo d'Aveja; principale patrono della Città, patrono del Quarto di San Giovanni, e titolare della Cattedrale dell'Aquila insieme a San Giorgio.




11 giugno:

commemorazione eccidio nazista di Onna, 02-11/06/1944.




13 giugno:

anniversario della liberazione dell'Aquila dall’occupazione nazista, 13/06/1944.




24 giugno:

Natività di San Giovanni Battista; Santo "eponimo" del Quarto di San Giovanni.




29 giugno:

San Pietro Apostolo; Santo "eponimo" del Quarto di San Pietro.




24 luglio:

San Vittorino di Amiterno; "quinto patrono" della Città.




05 agosto:

Sant'Emidio vescovo; il suo culto è legato alla protezione dai terremoti.

Nella Cattedrale aquilana gli è intitolato un importante altare civico, e fino alla prima metà del Novecento veniva celebrato anche con una processione (attestata fotograficamente).




11 agosto:

Sant'Equizio abate; compatrono della Città e patrono del Quarto di San Pietro.




15 agosto:

Assunzione; festa di Santa Maria Assunta, "eponima" del Quarto di Santa Maria.




28-29 agosto:

Perdonanza Celestiniana (istituita nel 1294); apertura della Porta Santa della Basilica di Collemaggio.




09 settembre:

commemorazione sisma del 09/09/1349.




23 settembre:

commemorazione eccidio nazista dei Nove Martiri, 23/09/1943.




20 novembre:

festa della Madonna del Popolo Aquilano (Salus Populi Aquilani = Salvezza del Popolo Aquilano).

(Fonte: sito ufficiale dell'Arcidiocesi metropolitana dell'Aquila.)




26-27 novembre:

commemorazione sisma del 26-27/11/1461.




08 dicembre:

commemorazione del bombardamento alleato della Stazione ferroviaria, della Zecca e della Rivera; 08/12/1943.



 

25 dicembre:

Natale - "La Natale"; festività che inaugura il nuovo anno secondo la tradizione del calendario aquilano medievale.

martedì 26 gennaio 2021

«Sessantasei a Settantaquattro»

E così - a quanto pare - si avvia formalmente a conclusione il 66° governo della Repubblica Italiana.

Il conteggio - ufficiale - parte dal governo "De Gasperi II", primo governo repubblicano, insediatosi il 13/07/1946 (Fonte: sito ufficiale del Governo Italiano).


66 governi in 74 anni e ½ .

Durata media: 1 anno e 48 giorni (ossia 1,13 anni circa; arrotondando per eccesso).

Ottimo lavoro! Più o meno siamo sui parametri di governi del Terzo Mondo in Paesi, però, che purtroppo sono destabilizzati da guerre civili e lotte tra fazioni.

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Poi ci lamentiamo se siamo lo “zimbello” di mezzo mondo e se non siamo tenuti in nessun rispetto dai nostri interlocutori mondiali.

 


E la cosa ancora più sconfortante è che molti di noi pensano che basti andare alle elezioni per risolvere il problema:

quando capiremo che la legge elettorale nazionale, così come la precedente, non garantisce nessuna stabilità in un Paese che è già litigioso di suo?

- Abbiamo già dimenticato il 2013?

Elezioni: 24-25 febbraio; insediamento del governo: 28 aprile (62 giorni per trovare «la quadra»).
- Abbiamo già dimenticato il 2018?

Elezioni: 04 marzo; insediamento del governo: 01 giugno (89 giorni per trovare «la quadra»).


Quindi, se vogliamo un
«passatempo», possiamo andare alle elezioni anche ogni sei mesi ma avremmo sempre maggioranze parlamentari instabili; minoranze che rovesciano maggioranze.
E quando le minoranze ricattano e rovesciano le maggioranze non siamo più in una Democrazia.

Non sarebbe forse meglio rivedere prima il sistema elettorale attualmente fallimentare?
Magari un bel maggioritario "assoluto", con "premio di maggioranza" e soglia di sbarramento più alta?
O magari un bel "doppio turno" con soglia di sbarramento sopra il 10% al primo turno e poi ballottaggio; e magari un bel "premio di maggioranza" a chi supera una certa soglia di consensi?
Forse non risolveremmo del tutto l'instabilità atavica della politica italiana, forse avremmo un po' meno rappresentatività parlamentare, ma tanto vale provarci visto che le cose così come stanno adesso certamente non vanno.


Governi che durano in media 1 anno e 48 giorni non possono amministrare correttamente una nazione:
si perde più tempo nei giochini di equilibrio parlamentari che a governare.


Per non parlare del fatto che
«la Costituzione più bella del mondo» non prevede l'elezione diretta del Primo Ministro ma soltanto della maggioranza parlamentare (Camera e Senato).

Quindi inutile che ci «lagniamo» dei governi «non eletti dal popolo».

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E intanto, prepariamoci all'ennesimo
«teatrino» di consultazioni.


Accomodiamoci! Il biglietto è gratis!



 

Mauro



Sullo stesso argomento vedi anche: 

https://pianetalaquila.blogspot.com/2021/01/nave-con-troppi-nocchieri.html

giovedì 21 gennaio 2021

Capitale Italiana della Cultura 2022 - Auguri e ringraziamenti

(Fonte: «Corriere della Sera», 20/01/2021)
Per una migliore lettura, cliccare sull'immagine.


Come cittadino aquilano voglio innanzitutto esprimere le mie congratulazioni alla comunità dell'isola di Procida per la vittoria nella "gara" per «Capitale Italiana della Cultura 2022», che vedeva anche noi aquilani in corsa tra i finalisti.

Lo faccio ancor più sentitamente dopo aver letto questo editoriale del giornalista Antonio Polito - "napoletano" di Castellammare di Stabia - che, con obiettività e "sportività", ha pensato alla nostra Città-Territorio e ha riconosciuto il nostro impegno collettivo (cittadini, associazioni, imprese, istituzioni) e i nostri risultati "conquistati" nel percorso di ricostruzione di questi 11 anni e mezzo. 

Per cui: auguri alla comunità di Procida per il risultato raggiunto e un ringraziamento ad Antonio Polito che, in modo obiettivo e riconoscente, ha espresso questo gradito pensiero per noi Aquilani. Un ringraziamento anche per aver ricordato le tante comunità, a noi vicine, che hanno anch'esse subito il dramma del terremoto in anni più recenti.

 


Mauro Rosati


domenica 17 gennaio 2021

Gli Abruzzi e le 12 Province del Regno

«I nomi delle 12 Province del Regno di Napoli» (1723)

 

Premessa

Il post che segue ha uno scopo prevalentemente divulgativo, pertanto l’argomento è volutamente trattato in maniera più sintetica e più semplice possibile, nei limiti della complessità della materia.

Mi scuso quindi in anticipo con i colleghi studiosi – storici e storici dell’Arte in particolare – se dovessero ravvisare qualche “eccessiva” semplificazione nella “narrazione”.

Ricordo ai lettori che, se vogliono, possono interagire con i pulsanti attivi per accedere ai dettagli richiamati.

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Prendo spunto da un’immagine (1723) in cui mi sono imbattuto qualche anno fa navigando in rete: appartiene al nono tomo della pubblicazione Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae «uscito a Lione per i tipi di Vander Aa nel 1723, a cura di Giovanni Giorgio Grevio e Pietro Burmanno» ( vedi: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/30/il-delfino-stizzoso-dellantico-stemma-di-terra-dotranto/ ; indirizzo consultato in data 01/02/2021).


La tavola nella foto si intitola «Nomina XII provinciarum Regni Neapolitani», ossia «I nomi delle dodici province del Regno di Napoli». Oltre ai nomi sono riportati anche gli emblemi araldici di queste province.

Nel corso dei suoi settecento anni, il Regno di Napoli ha cambiato la sua denominazione, fino a “Regno delle Due Sicilie”, il nome con il quale è stato annesso al Regno di Sardegna nel 1860; confluito poi nel Regno d’Italia proclamato nel 1861.

Quindi, in sequenza: Regno di SiciliaRegno di NapoliRegno delle Due Sicilie.

Da qui in avanti, però, utilizzerò sempre l’espressione “Regno di Napoli” o semplicemente “Regno” con riferimento alla parte continentale, esclusa quindi la Sicilia che ha una sua storia ricca e complessa di indipendenza e di autonomia ricorrenti.

L’immagine che vediamo sopra è una “fotografia” delle Province del Regno così come si presentavano nel 1723, come già scritto.

 

Ma da dove veniva questa divisione amministrativa? E come si è arrivati alle Province attuali?

 

Lo vediamo per grandi linee, proprio seguendo gli emblemi rappresentati nell’immagine. Seguiamo lo stesso ordine numerico, e partiamo dalla seconda metà del Medioevo, quando i Normanni – un popolo derivato da un’“evoluzione culturale” dei Vichinghi – arrivarono in Italia.

 

Tra i secoli XI e XII, i Normanni iniziarono la conquista dell’Italia meridionale, provenendo per mare da ovest e spingendosi pian piano verso est e verso nord. Solo nel corso del XII secolo raggiunsero anche una parte dell’Italia centrale acquisendo il controllo degli Abruzzi in due momenti differenti: prima l’Abruzzo meridionale e costiero, poi, alcuni decenni dopo, anche l’Abruzzo interno.

Per i Normanni, tuttavia, gli Abruzzi servivano principalmente come “regione cuscinetto” dove realizzarono una serie di “castelli” (torri, rocche, recinti fortificati) che divennero gli “scudi di frontiera” – riprendo la definizione del prof. Alfonso Forgione (Università dell’Aquila) – per la difesa delle frontiere a nord dei loro domini.

Sono quelle tante torri, rocche e recinti fortificati che tutt’oggi costellano molte aree della nostra Regione.

Sempre il prof. Forgione sottolinea come non vi fosse un interesse diretto al controllo degli Abruzzi ma solo un “incastellamento” a garanzia difensiva delle regioni del Sud; infatti, le signorie locali abruzzesi, principalmente di origine franca, rimasero al loro posto e non furono “sostituite”.

Una delle principali signorie franche che governavano l’Abruzzo interno era quella dei Conti di Celano, dalla quale derivarono – per ramificazione dinastica – i signori di Collimento (Lucoli) e da questi, a loro volta, i signori di Barili (o Barile); la signoria di Barili resse l’omonimo castello, il cui territorio si estendeva tra l’Altopiano delle Rocche e una parte della Media Valle dell’Aterno, dal XII al XV secolo. Per dettagli ulteriori segnalo che la signoria di Barili è stata oggetto di una mia ricerca («Le terre dei Barile») confluita in un breve saggio pubblicato nel 2016, su commissione dell’associazione aquilana di archeologi “L’ArQueologia A.P.S.”.

 

Proprio i Normanni ci offrono una panoramica delle varie signorie del loro regno, Abruzzi compresi, nel famoso Catalogus Baronum (Catalogo dei Baroni).

E sempre loro impostano l’assetto del Regno che rimarrà più o meno invariato fino alla caduta del Regno delle Due Sicilie, nel 1860.

 

Ai Normanni subentrarono gli Svevi, per conquista e per successione dinastica: Costanza d’Altavilla, normanna, sposò Enrico VI di Svevia della dinastia degli Hohenstaufen; da loro nacque Federico II che si insediò sul trono del Regno di Sicilia e quindi, all’epoca, anche della parte continentale.

Poi, dopo la battaglia di Tagliacozzo del 1268 (battaglia dei Campi Palentini), il francese Carlo I d’Angiò sottrasse il trono agli Svevi e subentrò nel governo del Regno.

 

Riflessione. Spesso, in maniera troppo semplicistica, gli Abruzzi vengono considerati una regione dell’Italia meridionale; in realtà è il contrario: è il “Regno meridionale” che si spinse molto a nord fino ad arrivare ai territori che oggi appartengono agli Abruzzi e a una parte delle Province di Rieti (lato est del reatino) e di Ascoli Piceno (a sud del Tronto, confine nord del Regno di Napoli). Per questo trovo personalmente più appropriato parlare di “Regno di Napoli” anziché di “Regno meridionale”: stiamo parlando infatti di uno Stato unitario che con settecento anni di anticipo aveva già unificato quasi la metà dell’Italia.

C’è stato addirittura un momento (1408-1414), sotto il regno di Ladislao d’Angiò-Durazzo, in cui il Regno di Napoli si è spinto fino al controllo di Roma, del Lazio e dell’Umbria, compresa la città di Perugia che fu governata dal giovane giurista Giovanni da Capestrano, come ci narrano le biografie del Santo e, indirettamente, gli affreschi nel chiostro maggiore del Convento di San Giuliano a L’Aquila.

Quindi gli Abruzzi sono una regione dell’Italia centrale che per sette secoli circa è stata parte integrante del Regno di Napoli. È una regione “cerniera” (o “di transizione”) tra il Nord e il Sud dell’Italia e per questo ha caratteri propri e molto diversificati tra una provincia e l’altra, per cui trovo più corretta la declinazione Abruzzi (al plurale), perché meglio esprime le diversità - e quindi la ricchezza - dialettali, artistiche, paesaggistiche della nostra Regione “multipla”.

Prima dei Normanni, gli Abruzzi erano governati in parte dai Longobardi del Ducato di Spoleto (almeno fino al fiume Pescara) e in parte dal Ducato di Benevento, con confini “variabili” nel corso del tempo. Questi due grandi e potenti ducati, formavano la Longobardia meridionale o “Langobardia minor” che era separata dal Regno dei Longobardi con capitale a Pavia: separata sia da una fascia centrale controllata in parte dai Papi e in parte dai Bizantini, sia per la quasi completa indipendenza che avevano acquisito i Duchi di Spoleto e di Benevento. Il futuro territorio aquilano era sotto l’amministrazione del Ducato di Spoleto mediante gastaldi (ad esempio, gastaldati di Rieti e di Forcona).

Questi due grandi Ducati vennero aggregati al Regno longobardo soltanto nell’VIII secolo; poi, dopo alcuni decenni i Franchi invasero l’Italia (774) e presero il controllo del Regno d’Italia longobardo, compreso il Ducato di Spoleto e quindi buona parte del futuro Abruzzo aquilano e dell’Abruzzo teramano.

 

Nota. Per rimanere in tema nord-sud, ricordo di aver letto dei versi della scrittrice aquilana Laudomia Bonanni che ben descriveva il carattere storico - ricco e complesso - della nostra Città dell’Aquila; non ricordo i versi esatti ma la sostanza era questa: L’Aquila è una città dove Nord e Sud si incontrano e diventano una cosa sola.

Appunto una città che nei secoli si è arricchita grazie ai diversi apporti culturali e tecnici delle comunità d’Italia e d’Europa che qui venivano per commercio e per lavoro in generale, o per contatti indiretti (Napoli, Firenze e Toscana, Albania, Germania, Francia, Venezia, Roma, Milano e Lombardia, Capitanata - per via della transumanza -, Umbria; tanto per fare alcuni esempi).

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Adesso torniamo all’immagine e vediamo queste Province del Regno di Napoli.


Per l’esattezza, in passato era più corretto parlare di “Giustizierato”, territorio governato da un “giustiziere” del Re; il termine “Provincia”, anche se già in uso dall’epoca aragonese, venne introdotto ufficialmente con la riforma amministrativa di Giuseppe Bonaparte (1806) che soppresse i giustizierati antichi e introdusse la figura dell’“Intendente di Provincia” (oggi Presidente di Provincia).

A seguito di questa riforma furono però abolite anche magistrature storiche che governavano le città, sostituite e omologate con l’introduzione della carica di “Sindaco”.

 

Nota. Ad Aquila, l’Intendenza di Provincia aveva sede nell’ex convento di Sant’Agostino, sottratto ai Padri Agostiniani a seguito delle “soppressioni napoleoniche”; successivamente, dopo l’Unità d’Italia, l’ex convento divenne sede della Regia Prefettura e poi della Prefettura repubblicana (dopo il 1946) – il Palazzo del Governo – che vi è rimasta fino al terremoto del 2009 per poi spostarsi nella sede attuale, a poca distanza.

Per questo, l’ex complesso della Prefettura, in Piazza della Repubblica, è a tutt’oggi proprietà della Provincia dell’Aquila.

 


L’assetto delle Province che vediamo in questa tavola storica è, in sostanza, quello impostato dai Normanni, poi ulteriormente perfezionato da Federico II di Svevia e quindi da Carlo I d’Angiò, con il Diploma di Alife del 5 ottobre 1273 e con qualche ulteriore “aggiustamento” sempre da parte dei primi Re angioini.

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1 (I). TERRA DI LAVORO (o Laboria)


Il nome deriverebbe dai Leborini, antica popolazione che abitava quei territori. Già chiamata Laboriae o Campi Leborini da Plinio il Vecchio.


Questa provincia corrispondeva in gran parte all’odierna provincia di Caserta, ma era più grande: comprendeva infatti anche una parte del basso Lazio (tra cui Cassino), delle province di Isernia e di Benevento, e l’odierna Città metropolitana di Napoli.

 

Sotto Federico II, la “Terra di Lavoro” formava un unico giustizierato insieme al “Contado di Molise”.

 

Poi, durante il regno degli Aragonesi, i due territori vennero separati, e il Molise associato alla Capitanata.

 

Nel 1806, la riforma amministrativa di Giuseppe Bonaparte creò la “Provincia di Napoli” (oggi Città metropolitana di Napoli) separandola dalla Provincia di Terra di Lavoro.

 

La provincia di “Terra di Lavoro” continuò ad esistere fino al 1927 quando venne ridotta rispetto al territorio storico e divenne “Provincia di Caserta”.

 

L’emblema araldico di questa provincia storica è rimasto uguale e compare nel gonfalone dell’odierna Provincia di Caserta.

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2 (II). PRINCIPATUS CITRA  (o Principato Citeriore)


3. (III) PRINCIPATUS ULTRA  (o Principato Ulteriore)

 

Al tempo di Federico II queste due province formavano un unico giustizierato chiamato “Principato e Terra Beneventana”, che comprendeva le odierne province di Salerno e di Avellino, e parte della provincia di Benevento.

 

Con il nome di “Principato” si indicava il “Principato di Salerno”, erede di una parte del Ducato longobardo di Benevento; il “Principato” di Salerno era poi diventato “Ducato di Puglia e Calabria” nel periodo della sua massima estensione territoriale, fino alla conquista dei Normanni (seconda metà dell’XI secolo).

 

La “Terra Beneventana” era invece l’eredità del Ducato di Benevento (longobardo), poi “Principato di Benevento”, il cui territorio si estendeva a nord fino a parte degli Abruzzi durante il Regno longobardo, e si ridusse gradualmente durante le epoche normanna e poi sveva.

 

Fu Carlo I d’Angiò a dividere il giustizierato in due parti: “Principatus Ultra serras Montorii” (Principato oltre le montagne di Montoro) e “Principatus Citra serras Montorii” (Principato al di qua delle montagne di Montoro).

Con il tempo divennero semplicemente “Principato Ultra” corrispondente alla provincia di Avellino e a una parte della provincia di Benevento, e “Principato Citra” corrispondente alla provincia di Salerno.

 

Le due Province di “Principato” vennero soppresse con l’Unità d’Italia e sostituite appunto dalle province di Avellino e di Salerno.


L'emblema araldico del "Principato Citra" lo ritroviamo oggi nel gonfalone civico della Città di Amalfi, antica repubblica marinara.

 

L’emblema araldico del “Principato Ultra” è stato ereditato e oggi compare nel gonfalone della Provincia di Avellino.


Nota. A titolo di esempio, in provincia di Avellino c’è oggi un Comune che si chiama Prata di Principato Ultra.

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4 (IV). BASILICATA


Qui il collegamento tra il passato e il presente è più diretto, perché il territorio di questo giustizierato corrispondeva quasi completamente all’odierna Regione Basilicata, tranne il territorio di Matera che invece apparteneva alla Terra di Otranto (quindi alle Puglie).

 

Anche in questo caso, come per gli Abruzzi, l’impostazione amministrativa risale all’epoca dei Normanni in Italia. La Basilicata era stata una “porzione” del precedente “Ducato di Puglia e Calabria”, dominio salernitano fino all’arrivo dei Normanni.

 

Successivamente, Federico II di Svevia istituì il “Giustizierato di Basilicata”, poi “Provincia di Basilicata” alla quale – nel 1663 - venne aggiunta anche Matera.

 

Nota. Tuttavia, come si può osservare sia dalla fisionomia del territorio sia dal dialetto, Matera rimane tutt’oggi una città culturalmente “pugliese”. Osserviamo per esempio le somiglianze territoriali e architettoniche tra Matera e la vicina Gravina di Puglia (Città metropolitana di Bari); appartengono entrambe alla regione geografica delle Murge, una regione omogenea che però è suddivisa tra distretti amministrativi diversi: Province di Matera, Taranto, Brindisi (Salento), Città metropolitana di Bari e Provincia di Barletta-Andria-Trani (Puglia barese)

 

Con l’Unità d’Italia la “Provincia di Basilicata” diventò “Provincia di Potenza”, una provincia unica che copriva l’intera Basilicata odierna, appunto.

 

Nel 1927 fu istituita anche la “Provincia di Matera” per distacco del Circondario di Matera dalla Provincia di Potenza (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927).

 

L’emblema araldico della “Provincia di Basilicata” è stato ereditato, e oggi si trova nel gonfalone della Provincia di Potenza.

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5 (V). CALABRIA CITRA  (“Calabria latina”)

 

Corrisponde principalmente all’odierna “Provincia di Cosenza”.

 

Anche questa provincia derivava da una porzione del grande “Ducato di Puglia e Calabria”, dominio salernitano fino all’arrivo dei Normanni.

 

Federico II istituì il “Giustizierato di Valle del Crati e Terra Giordana”.

I confini subirono alcune variazioni nel corso dei secoli.

 

Nel Cinquecento, il distretto cambiò nome e divenne “Giustizierato di Calabria Citeriore” (Calabria Citra flumen Nethum = Calabria al di qua del fiume Neto; “al di qua” con riferimento alla capitale Napoli, quindi la parte di Calabria più vicina a Napoli).

 

A seguito della riforma amministrativa napoleonica del 1806, il giustizierato divenne “Provincia di Calabria Citeriore”.

 

Con l’Unità d’Italia, il distretto è diventato “Provincia di Cosenza”.

 

L’emblema araldico della “Provincia di Calabria Citra” è stato ereditato e oggi appartiene al gonfalone della Provincia di Cosenza.

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6 (VI). CALABRIA ULTRA  (“Calabria greca”)

 

Corrisponde in gran parte alle odierne Province di Crotone, Catanzaro, Vibo Valentia e alla Città metropolitana di Reggio di Calabria.

 

Prima dell’arrivo dei Normanni, apparteneva anch’essa al “Ducato di Puglia e Calabria”.

 

Federico II istituì il “Giustizierato di Calabria”.

 

Nel corso del Cinquecento, il distretto prese il nome di “Giustizierato di Calabria Ulteriore” (Calabria Ultra flumen Nethum = Calabria oltre il fiume Neto; ossia la più lontana rispetto alla capitale Napoli).

 

Con la riforma amministrativa di Giuseppe Bonaparte (1806), il giustizierato divenne “Provincia di Calabria Ulteriore”.

 

Nel 1816, dopo la caduta dell’Impero francese napoleonico e la Restaurazione, la Calabria Ulteriore venne divisa in due province: “Calabria Ulteriore I” (più a sud) e “Calabria Ulteriore II” (più a nord).


E qui il percorso si divide.


Calabria Ulteriore I

Nel 1860 la “Calabria Ulteriore I” divenne “Provincia di Reggio di Calabria”.

Nel 2017 la Provincia di Reggio Calabria è diventata “Città metropolitana di Reggio Calabria”.

 

Calabria Ulteriore II

Nel 1860 la “Calabria Ulteriore II” è diventata “Provincia di Catanzaro”.

Nel 1992 sono nate anche le Province di Crotone e di Vibo Valentia, per distacco dalla Provincia di Catanzaro.

 

L’emblema araldico della “Provincia di Calabria Ultra” è stato ereditato e oggi si trova nel gonfalone della Provincia di Catanzaro, e – in forma differente, ma con gli stessi elementi – anche nel gonfalone della Città metropolitana di Reggio Calabria.


Nota. L’esistenza storica di più Calabrie giustifica la declinazione al plurale di Calabrie, appunto (così come per Marche, Abruzzi, Puglie).

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7 (VII). TERRA D’OTRANTO

 

È la più meridionale delle “Puglie”, corrispondente sostanzialmente al Salento, compreso il territorio materano (Province di Lecce, Brindisi, Taranto e Matera). Matera ne fu distaccata nel 1663 per aggregazione alla “Provincia di Basilicata” di cui divenne capoluogo fino al 1806.

 

Precedentemente appartenuta al “Ducato di Puglia e Calabria”, con l’arrivo dei Normanni divenne “Giustizierato di Terra d’Otranto” e, in seguito “Provincia di Terra d’Otranto” dall’epoca degli aragonesi (subentrati agli angioini sul trono del Regno di Napoli, nel corso del XV secolo).

 

Nota. Detta anche “Terrae Ydronti”, nel suo emblema araldico compare quella che si potrebbe considerare un’idra – mostro acquatico nella mitologia ma anche serpente acquatico in zoologia – a volte con la testa rivolta verso il basso, altre volte con la testa verso l’alto. «Ydronti» dovrebbe derivare proprio da «Hydruntum», il nome latino della Città di Otranto.

In altre versioni dello stemma, compreso quello odierno (Provincia di Lecce), l’animale acquatico appare diversamente e viene identificato come un delfino .


Con l’Unità d’Italia, il distretto prese il nome di “Provincia di Lecce” che comprendeva anch’essa tutto il Salento.

 

Nel 1923 iniziò lo smembramento della Provincia con la costituzione della “Provincia dello Jonio” per distacco del Circondario di Taranto (Regio Decreto n. 1911 del 02/09/1923). Dal 1951 la “Provincia dello Jonio” ha preso il nome del suo capoluogo e oggi la conosciamo come “Provincia di Taranto”.

 

Nel 1927 la Provincia di Lecce (già “Terra d’Otranto”) subì un ulteriore smembramento con l’istituzione della “Provincia di Brindisi”, per distacco del Circondario di Brindisi e di due Comuni della Provincia barese (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927).

 

L’emblema araldico della “Provincia di Terra d’Otranto” è stato ereditato e oggi si trova nel gonfalone della Provincia di Lecce.

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8 (VIII). TERRA DI BARI

 

Corrisponde ai territori odierni della Citta metropolitana di Bari e in parte della Provincia di Barletta-Andria-Trani.

 

Probabilmente il nome doveva essere già in uso quando Federico II istituì il “Giustizierato di Terra di Bari” che con gli aragonesi (subentrati agli angioini nel XV secolo), divenne “Provincia di Terra di Bari”.

 

Con l’Unità d’Italia, questo distretto prese il nome di “Provincia di Bari”.

 

Nel 2004 fu istituita la Provincia di Barletta-Andria-Trani mediante lo scorporo di Comuni dell’allora Provincia di Bari e della Provincia di Foggia. La nuova provincia è diventata effettivamente operativa con le elezioni del 2009.

 

Dal 2015 la Provincia di Bari è diventata “Città metropolitana di Bari” (Legge n. 56 del 07/04/2014).

 

L’emblema araldico della “Provincia di Terra di Bari”, che si caratterizza per la presenza di un bastone (pastorale) vescovile al centro, è stato ereditato e oggi si trova nel gonfalone della Città metropolitana di Bari.

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9 (IX). ABRUZZO CITRA (o Abruzzo Citeriore)

 

Corrisponde principalmente all’odierna Provincia di Chieti, e in parte alla Provincia di Pescara.

 

Dopo la conquista normanna, l’Abruzzo era stato costituito come un’unica entità amministrativa, dopo il periodo dei Longobardi e dei Franchi di cui abbiamo “parlato” all’inizio.

 

Federico II conservò questa struttura unitaria istituendo il “Giustizierato d’Abruzzo presso Sulmona”, con “sede amministrativa” a Sulmona.

 

Successivamente, Carlo I d’Angiò divise il giustizierato in due parti (Diploma di Alife, 1273) per una migliore amministrabilità: nacquero quindi il “Giustizierato di Abruzzo Ulteriore” e il “Giustizierato di Abruzzo Citeriore” (Aprutium Citra flumen Piscariae = Abruzzo al di qua del fiume Pescara; ossia l’Abruzzo più vicino alla capitale Napoli).

 

Nota. Abbiamo testimonianza onomastica di questa denominazione anche oggi, ad esempio, nel comune di San Valentino in Abruzzo Citeriore.

 

Il giustizierato divenne poi “Provincia di Abruzzo Citeriore”, fino al 1860.

 

Con l’Unità d’Italia il distretto cambiò denominazione e struttura diventando “Provincia di Chieti”.

 

Nel 1927 questa provincia fu in parte smembrata con la costituzione della “Provincia di Pescara” (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927), istituita mediante lo scorporo di Comuni principalmente dalle Province di Chieti e di Teramo, e in parte da quella di Aquila. (Sull’argomento vedi anche: «Aternia» - Gioco di ucronia).

 

L’emblema araldico della “Provincia di Abruzzo Citeriore”, contenente una testa di cinghiale – con riferimento all’animale-totem dei Marrucini – è stato ereditato e oggi forma il gonfalone della Provincia di Chieti.

Un cinghiale intero, inoltre, si trova nella metà destra del gonfalone della Provincia di Pescara, con probabile riferimento alla parte marrucina (e “citeriore”) di questa provincia.

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10 (X). ABRUZZO ULTRA (o Abruzzo Ulteriore)

 

Corrisponde principalmente alle odierne Province di L’Aquila e di Teramo, in parte alla Provincia di Rieti - alla quale furono aggregati i Comuni abruzzesi del Circondario di Cittaducale per costituire la nuova provincia nel 1927 (Cicolano, Alta Valle del Velino, Alta Valle del Tronto) - e in piccola parte anche alla Provincia di Pescara, costituita anch’essa nel 1927, alla quale furono aggregati i Comuni aquilani di Bussi sul Tirino e di Popoli, e diversi Comuni teramani a nord del fiume Pescara.

 

Dopo la conquista normanna, l’Abruzzo era stato costituito come un’unica entità amministrativa, dopo il periodo dei Longobardi e dei Franchi di cui abbiamo “parlato” all’inizio.

 

Federico II conservò questa struttura unitaria istituendo il “Giustizierato d’Abruzzo presso Sulmona”, con “sede amministrativa” a Sulmona.

 

Successivamente, Carlo I d’Angiò divise il giustizierato in due parti (Diploma di Alife, 1273) per una migliore amministrabilità: nacquero quindi il “Giustizierato di Abruzzo Citeriore” e il “Giustizierato di Abruzzo Ulteriore” (Aprutium Ultra flumen Piscariae = Abruzzo oltre il fiume Pescara; ossia l’Abruzzo più distante dalla capitale Napoli).

 

La riforma amministrativa napoleonica del 1806, divise l’Abruzzo Ulteriore in due parti:

“Abruzzo Ulteriore I”, corrispondente all’odierna Provincia di Teramo (compresi i territori poi sottratti nel 1927), e “Abruzzo Ulteriore II”, corrispondente all’Abruzzo interno (ossia la Provincia di Aquila, compresi i territori poi sottratti nel 1927).

Con questo “sdoppiamento” dell’Abruzzo Ulteriore, i “Due Abruzzi” diventano i “Tre Abruzzi”.

 

La storia dell’Abruzzo Ulteriore si divide, a questo punto, in due rami.

 

Abruzzo Ulteriore I

Con l’Unità d’Italia, questo distretto amministrativo diventa “Provincia di Teramo”.

Nel 1927 la Provincia viene smembrata con lo scorporo di diversi Comuni che vanno a costituire la nuova Provincia di Pescara (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927).

 

Abruzzo Ulteriore II

Con l’Unità d’Italia, questo distretto amministrativo diventa “Provincia di Aquila degli Abruzzi”.

Tra il 1926 e il 1927 la Provincia viene smembrata con lo scorporo di diversi Comuni che vanno a costituire la nuova Provincia di Rieti (ad ovest) e due Comuni (come abbiamo già visto) che vanno a costituire la nuova Provincia di Pescara (ad est) (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927).

I Comuni abruzzesi di Borgocollefegato (oggi Borgorose) e di Pescorocchiano – nell’Alto Cicolano – rimasero inizialmente in Provincia di Aquila, aggregati al Circondario di Avezzano (Regio Decreto n. 1890 del 21/10/1926). Soltanto nel 1927 anch’essi vennero sottratti alla provincia aquilana per la costituzione della provincia reatina.

Nel 1939, Aquila degli Abruzzi acquisisce ufficialmente il nome di L’Aquila, per cui la Provincia di Aquila degli Abruzzi diventa “Provincia dell’Aquila”.

 

L’emblema araldico dell’Abruzzo Ulteriore - un’aquila coronata su dei monti - è stato ereditato e oggi costituisce il gonfalone della Provincia dell’Aquila.

 

Nota. L’esistenza storica di più Abruzzi giustifica la declinazione al plurale in Abruzzi, appunto (così come per Marche, Puglie, Calabrie).

 

Riflessione. Negli anni recenti, molte entità pubbliche istituzionali degli Abruzzi vedono sempre più spesso l’accorpamento sugli “assi” L’Aquila-Teramo (da un lato) e Chieti-Pescara (dall’altro). Sembrerebbe quasi come se gli Abruzzi stessero riacquisendo la configurazione storica in due entità (anziché le quattro attuali), ossia l’Abruzzo Ulteriore (L’Aquila-Teramo) e l’Abruzzo Citeriore (Chieti-Pescara).

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11 (XI). COMITATUS DI MOLISI (Contado di Molise)

 

Corrisponde in gran parte al Molise odierno ma anche, in parte, alla porzione meridionale degli Abruzzi e a quella settentrionale della Campania.

 

Deriva da un territorio originariamente governato dal Ducato longobardo di Benevento, e soltanto all’epoca dei Normanni inizia a delinearsi con una sua definizione territoriale.

 

Federico II istituì il “Giustizierato di Molise e Terra di Lavoro”, per cui il Contado di Molise era sotto la giurisdizione della Terra di Lavoro.

Successivamente – nel Cinquecento – passò sotto la giurisdizione della “Capitanata”.

 

La riforma amministrativa di Giuseppe Bonaparte (1806), istituì la “Provincia di Molise”.

 

Con l’Unità d’Italia, questa unità amministrativa diventò “Provincia di Campobasso”.

 

Nel 1970 la provincia venne smembrata a seguito di scorporo di alcuni Comuni per l’istituzione della nuova “Provincia di Isernia”.

 

L’emblema araldico del “Contado di Molise” è stato ereditato e oggi fa parte del gonfalone della Provincia di Campobasso.

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12 (XII). CAPITANATA


Corrisponde principalmente all’odierna provincia di Foggia, in parte a quella di Barletta-Andria-Trani e ad alcune porzioni dell’odierno Molise.

 

Nota. La pianura della Capitanata è stata per secoli la destinazione della transumanza “orizzontale” che dall’Abruzzo interno conduceva i capi di bestiame ovini verso questa pianura, durante i mesi invernali. Da questa consuetudine anche il detto «che stai a pensa’ alle pecore in Puglia?», come richiamo serio o scherzoso a una persona còlta in un momento di distrazione o di sovrappensiero.

Proprio per l’importanza di questo tragitto annuale, a L’Aquila, appena fuori Porta Napoli c’è un cippo stradale (prima metà del Novecento) che indica gli oltre 298 km da lì fino a Foggia. Inoltre, sulla strada statale 17, a est dell’Aquila si incontrano cippi stradali con l’indicazione della distanza in chilometri da Foggia, poiché quel tratto della Statale 17 segue l’itinerario del più antico «Tratturo magno». Normalmente, infatti, i chilometraggi delle Statali si misurano da Roma o da una Strada Statale “maggiore” da cui si diramano (la S.S. 17, per esempio, ha origine dalla Via Salaria ad Antrodoco).

Sulla transumanza va anche aggiunto, per completezza, che alcuni Comuni (ed ex Comuni) della Provincia dell’Aquila, praticavano la transumanza “orizzontale” anche verso la Campagna Romana (Agro Romano).

 

Il nome “Capitanata” risulterebbe risalire già al periodo bizantino.

Il “Giustizierato di Capitanata” fu istituito da Federico II e, per un periodo (1538-1806 circa), ha avuto competenza anche sul “Contado di Molise”; quest’ultimo divenne completamente autonomo soltanto dopo la riforma amministrativa napoleonica del 1806.

 

All'epoca degli aragonesi (subentrati agli angioini nel corso del XV secolo), il giustizierato divenne “Provincia di Capitanata”.

 

Con l’Unità d’Italia questo distretto prese il nome di “Provincia di Foggia”.

Tuttavia, ancora oggi, la provincia foggiana viene legittimamente chiamata anche con il nome di “Capitanata”, come previsto dallo Statuto vigente della Provincia di Foggia (Art. 2, comma 2): «Negli atti ufficiosi, anche a rilevanza pubblica ed esterna può assumere la denominazione di "Provincia di Capitanata" nel rispetto della propria identità storica territoriale.».

 

L’emblema araldico della “Provincia di Capitanata”, che rappresenta San Michele e il drago – con palese riferimento a Monte Sant’Angelo sul Gargano e al relativo culto di San Michele – è stato ereditato e oggi si trova nel gonfalone della Provincia di Foggia.

 

Nota. L’esistenza storica di più Puglie giustifica la declinazione al plurale di Puglie, appunto (così come per Marche, Abruzzi, Calabrie).

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Conclusioni

 

Quindi abbiamo visto come in passato una stessa parte di Italia, centrale e meridionale, fosse divisa in dodici Province. Oggi lo stesso "settore" conta 19 Province e 3 Città metropolitane: quindi 22 distretti amministrativi, ossia 10 in più rispetto a qualche secolo fa.

Abbiamo anche visto che le Province hanno una storia ben più antica e interessante rispetto alle Regioni, che sono diventate operative soltanto nel 1970.

 

Se mi chiedessero un'opinione sul riordino amministrativo italiano, non abolirei le Province: quindi la risposta va da sé.

Piuttosto riaccorperei molte Province, riportandole a diverse decine in meno e su basi più rispondenti alle differenze storico-culturali che arricchiscono l'Italia così come la nostra Europa.

 

 

E ora, questo veloce giro tra le Province storiche del Regno non può che concludersi a Napoli, nella sua capitale.

Andiamo dove Via dei Tribunali (decumano centrale) incrocia il “cardo” della celeberrima Via San Gregorio Armeno (la Via dei Presepi).

Qui si apre Piazza San Gaetano, dal nome di uno dei Santi compatroni della città partenopea; una piazza che rappresenta il cuore della Napoli greco-romana-medievale, il suo “foro”.

 

Su questa piazza si affaccia la basilica francescana di San Lorenzo Maggiore, gioiello architettonico che unisce la maestosità del gotico francese (abside) alla sobrietà (non meno bella) di un gotico italiano “riletto” in chiave francescana.

Ebbene, accanto a questa meraviglia ce n'è un'altra: il convento di San Lorenzo che, tra le moltissime perle di archeologia e di arte, contiene anche un refettorio molto particolare.

 

Siamo nel cuore dell'amministrazione napoletana e del Regno dei secoli passati.

 

Nella basilica di San Lorenzo, infatti, si riuniva il parlamento cittadino, l'assemblea dei Sedili (seggi), ossia i sette seggi che rappresentavano i sette distretti amministrativi in cui era divisa la Napoli storica. Gli stemmi dei sette Sedili napoletani sono raffigurati in facciata accanto al campanile della basilica di San Lorenzo.

 

Durante la dinastia aragonese - poi - il refettorio del convento di San Lorenzo Maggiore divenne sede dell'assemblea (parlamento) del Regno di Napoli. Non a caso, nelle lunette di questo refettorio erano raffigurate ad affresco tutte le Province napoletane (oggi se ne vedono sei), compreso ovviamente il nostro Abruzzo Ulteriore.

 

 

Mauro Rosati