«I nomi delle 12 Province del Regno di Napoli» (1723) |
Premessa
Il post che segue ha uno
scopo prevalentemente divulgativo, pertanto l’argomento è volutamente trattato
in maniera più sintetica e più semplice possibile, nei limiti della complessità
della materia.
Mi scuso quindi in
anticipo con i colleghi studiosi – storici e storici dell’Arte in particolare –
se dovessero ravvisare qualche “eccessiva” semplificazione nella “narrazione”.
Ricordo ai lettori che,
se vogliono, possono interagire con i pulsanti attivi per accedere ai dettagli richiamati.
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Prendo spunto da un’immagine (1723) in cui mi sono imbattuto qualche anno fa navigando in rete: appartiene al nono tomo della pubblicazione Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae «uscito a Lione per i tipi di Vander Aa nel 1723, a cura di Giovanni Giorgio Grevio e Pietro Burmanno» ( vedi: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/30/il-delfino-stizzoso-dellantico-stemma-di-terra-dotranto/ ; indirizzo consultato in data 01/02/2021).
La tavola nella foto si intitola «Nomina XII provinciarum Regni Neapolitani», ossia «I nomi delle dodici province del Regno di Napoli». Oltre ai nomi sono riportati anche gli emblemi araldici di queste province.
Nel corso dei suoi settecento anni,
il Regno di Napoli ha cambiato la sua denominazione, fino a “Regno delle Due
Sicilie”, il nome con il quale è stato annesso al Regno di Sardegna nel 1860;
confluito poi nel Regno d’Italia proclamato nel 1861.
Quindi, in sequenza: Regno di
Sicilia → Regno di Napoli → Regno delle Due Sicilie.
Da qui in avanti, però, utilizzerò
sempre l’espressione “Regno di Napoli” o semplicemente “Regno” con riferimento
alla parte continentale, esclusa quindi la Sicilia che ha una sua storia ricca
e complessa di indipendenza e di autonomia ricorrenti.
L’immagine che vediamo sopra è una “fotografia”
delle Province del Regno così come si presentavano nel 1723, come già scritto.
Ma da dove veniva questa divisione
amministrativa? E come si è arrivati alle Province attuali?
Lo vediamo per grandi linee, proprio
seguendo gli emblemi rappresentati nell’immagine. Seguiamo lo stesso ordine
numerico, e partiamo dalla seconda metà del Medioevo, quando i Normanni – un
popolo derivato da un’“evoluzione culturale” dei Vichinghi –
arrivarono in Italia.
Tra i secoli XI e XII, i Normanni
iniziarono la conquista dell’Italia meridionale, provenendo per mare da ovest e
spingendosi pian piano verso est e verso nord. Solo nel corso del XII secolo
raggiunsero anche una parte dell’Italia centrale acquisendo il controllo degli
Abruzzi in due momenti differenti: prima l’Abruzzo meridionale e costiero, poi,
alcuni decenni dopo, anche l’Abruzzo interno.
Per i Normanni, tuttavia, gli Abruzzi
servivano principalmente come “regione cuscinetto” dove realizzarono una serie
di “castelli” (torri, rocche, recinti fortificati) che divennero gli “scudi
di frontiera” – riprendo la definizione del prof. Alfonso Forgione
(Università dell’Aquila) – per la difesa delle frontiere a nord dei loro
domini.
Sono quelle tante torri, rocche e recinti fortificati che
tutt’oggi costellano molte aree della nostra Regione.
Sempre il prof. Forgione sottolinea
come non vi fosse un interesse diretto al controllo degli Abruzzi ma solo un
“incastellamento” a garanzia difensiva delle regioni del Sud; infatti, le
signorie locali abruzzesi, principalmente di origine franca, rimasero al loro
posto e non furono “sostituite”.
Una delle principali signorie franche
che governavano l’Abruzzo interno era quella dei Conti di Celano, dalla quale
derivarono – per ramificazione dinastica – i signori di Collimento (Lucoli) e
da questi, a loro volta, i signori di Barili (o Barile); la signoria di Barili
resse l’omonimo castello, il cui territorio si estendeva tra l’Altopiano delle
Rocche e una parte della Media Valle dell’Aterno, dal XII al XV secolo. Per
dettagli ulteriori segnalo che la signoria di Barili è stata oggetto di una mia
ricerca («Le terre dei Barile») confluita in un breve saggio pubblicato
nel 2016, su commissione dell’associazione aquilana di archeologi
“L’ArQueologia A.P.S.”.
Proprio i Normanni ci offrono una
panoramica delle varie signorie del loro regno, Abruzzi compresi, nel famoso Catalogus
Baronum (Catalogo dei Baroni).
E sempre loro impostano l’assetto del
Regno che rimarrà più o meno invariato fino alla caduta del Regno delle Due
Sicilie, nel 1860.
Ai Normanni subentrarono gli Svevi,
per conquista e per successione dinastica: Costanza d’Altavilla, normanna,
sposò Enrico VI di Svevia della dinastia degli Hohenstaufen; da loro nacque
Federico II che si insediò sul trono del Regno di Sicilia e quindi, all’epoca,
anche della parte continentale.
Poi, dopo la battaglia di Tagliacozzo
del 1268 (battaglia dei Campi Palentini), il francese Carlo I d’Angiò
sottrasse il trono agli Svevi e subentrò nel governo del Regno.
Riflessione.
Spesso, in maniera troppo semplicistica, gli Abruzzi vengono considerati una
regione dell’Italia meridionale; in realtà è il contrario: è il “Regno
meridionale” che si spinse molto a nord fino ad arrivare ai territori che oggi
appartengono agli Abruzzi e a una parte delle Province di Rieti (lato est del reatino) e di
Ascoli Piceno (a sud del Tronto, confine nord del Regno di Napoli). Per questo
trovo personalmente più appropriato parlare di “Regno di Napoli” anziché di “Regno
meridionale”: stiamo parlando infatti di uno Stato unitario che con
settecento anni di anticipo aveva già unificato quasi la metà dell’Italia.
C’è stato addirittura un momento
(1408-1414), sotto il regno di Ladislao d’Angiò-Durazzo, in cui il Regno di Napoli si è spinto fino al controllo di
Roma, del Lazio e dell’Umbria, compresa la città di Perugia che fu governata
dal giovane giurista Giovanni da Capestrano, come ci narrano le biografie del Santo e, indirettamente,
gli affreschi nel chiostro maggiore del Convento di San Giuliano a L’Aquila.
Quindi gli Abruzzi sono una regione
dell’Italia centrale che per sette secoli circa è stata parte integrante del
Regno di Napoli. È una regione “cerniera” (o “di transizione”) tra il Nord e il
Sud dell’Italia e per questo ha caratteri propri e molto diversificati tra una
provincia e l’altra, per cui trovo più corretta la declinazione Abruzzi (al
plurale), perché meglio esprime le diversità - e quindi la ricchezza -
dialettali, artistiche, paesaggistiche della nostra Regione “multipla”.
Prima dei Normanni, gli Abruzzi erano
governati in parte dai Longobardi del Ducato di Spoleto (almeno fino al fiume
Pescara) e in parte dal Ducato di Benevento, con confini “variabili” nel corso
del tempo. Questi due grandi e potenti ducati, formavano la Longobardia
meridionale o “Langobardia minor” che era separata dal Regno dei
Longobardi con capitale a Pavia: separata sia da una fascia centrale controllata in
parte dai Papi e in parte dai Bizantini, sia per la quasi completa indipendenza
che avevano acquisito i Duchi di Spoleto e di Benevento. Il futuro territorio
aquilano era sotto l’amministrazione del Ducato di Spoleto mediante gastaldi
(ad esempio, gastaldati di Rieti e di Forcona).
Questi due grandi Ducati vennero
aggregati al Regno longobardo soltanto nell’VIII secolo; poi, dopo alcuni
decenni i Franchi invasero l’Italia (774) e presero il controllo del Regno
d’Italia longobardo, compreso il Ducato di Spoleto e quindi buona parte del
futuro Abruzzo aquilano e dell’Abruzzo teramano.
Nota.
Per rimanere in tema nord-sud, ricordo di aver letto dei versi della scrittrice
aquilana Laudomia Bonanni che ben descriveva il carattere storico -
ricco e complesso - della nostra Città dell’Aquila; non ricordo i versi esatti
ma la sostanza era questa: L’Aquila è una città dove Nord e Sud si incontrano e
diventano una cosa sola.
Appunto una città che nei secoli si è
arricchita grazie ai diversi apporti culturali e tecnici delle comunità d’Italia
e d’Europa che qui venivano per commercio e per lavoro in generale, o per
contatti indiretti (Napoli, Firenze e Toscana, Albania, Germania, Francia,
Venezia, Roma, Milano e Lombardia, Capitanata - per via della transumanza -, Umbria; tanto per fare alcuni esempi).
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Adesso torniamo all’immagine
e vediamo queste Province del Regno di Napoli.
Per l’esattezza, in passato era più
corretto parlare di “Giustizierato”, territorio governato da un
“giustiziere” del Re; il termine “Provincia”, anche se già in uso dall’epoca
aragonese, venne introdotto ufficialmente con la riforma amministrativa di Giuseppe
Bonaparte (1806) che soppresse i giustizierati antichi e introdusse la
figura dell’“Intendente di Provincia” (oggi Presidente di Provincia).
A seguito di questa
riforma furono però abolite anche magistrature storiche che governavano le
città, sostituite e omologate con l’introduzione della
carica di “Sindaco”.
Nota.
Ad Aquila, l’Intendenza di Provincia aveva sede nell’ex convento di Sant’Agostino,
sottratto ai Padri Agostiniani a seguito delle “soppressioni napoleoniche”;
successivamente, dopo l’Unità d’Italia, l’ex convento divenne sede della Regia
Prefettura e poi della Prefettura repubblicana (dopo il 1946) – il Palazzo del
Governo – che vi è rimasta fino al terremoto del 2009 per poi spostarsi nella
sede attuale, a poca distanza.
Per questo, l’ex complesso della
Prefettura, in Piazza della Repubblica, è a tutt’oggi proprietà della Provincia
dell’Aquila.
L’assetto delle Province che vediamo in
questa tavola storica è, in sostanza, quello impostato dai Normanni, poi
ulteriormente perfezionato da Federico II di Svevia e quindi da Carlo I d’Angiò,
con il Diploma di Alife del 5 ottobre 1273 e con qualche ulteriore “aggiustamento”
sempre da parte dei primi Re angioini.
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1 (I). TERRA DI LAVORO
(o Laboria)
Il nome deriverebbe dai Leborini, antica popolazione che abitava quei territori.
Già chiamata Laboriae o Campi Leborini da
Plinio il Vecchio.
Questa provincia corrispondeva in
gran parte all’odierna provincia di Caserta, ma era più grande: comprendeva
infatti anche una parte del basso Lazio (tra cui Cassino), delle province di
Isernia e di Benevento, e l’odierna Città metropolitana di Napoli.
Sotto Federico II, la “Terra di
Lavoro” formava un unico giustizierato insieme al “Contado di Molise”.
Poi, durante il regno degli
Aragonesi, i due territori vennero separati, e il Molise associato alla Capitanata.
Nel 1806, la riforma amministrativa
di Giuseppe Bonaparte creò la “Provincia di Napoli” (oggi Città metropolitana
di Napoli) separandola dalla Provincia di Terra di Lavoro.
La provincia di “Terra di Lavoro”
continuò ad esistere fino al 1927 quando venne ridotta rispetto al territorio
storico e divenne “Provincia di Caserta”.
L’emblema araldico di questa
provincia storica è rimasto uguale e compare nel gonfalone dell’odierna
Provincia di Caserta.
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2 (II). PRINCIPATUS CITRA (o Principato Citeriore)
3. (III) PRINCIPATUS ULTRA (o Principato Ulteriore)
Al tempo di Federico II queste due
province formavano un unico giustizierato chiamato “Principato e Terra Beneventana”,
che comprendeva le odierne province di Salerno e di Avellino, e parte della
provincia di Benevento.
Con il nome di “Principato” si
indicava il “Principato di Salerno”, erede di una parte del Ducato longobardo
di Benevento; il “Principato” di Salerno era poi diventato “Ducato di Puglia e
Calabria” nel periodo della sua massima estensione territoriale, fino alla
conquista dei Normanni (seconda metà dell’XI secolo).
La “Terra Beneventana” era invece
l’eredità del Ducato di Benevento (longobardo), poi “Principato di Benevento”,
il cui territorio si estendeva a nord fino a parte degli Abruzzi durante il
Regno longobardo, e si ridusse gradualmente durante le epoche normanna e poi
sveva.
Fu Carlo I d’Angiò a dividere il
giustizierato in due parti: “Principatus Ultra serras Montorii”
(Principato oltre le montagne di Montoro) e “Principatus Citra serras
Montorii” (Principato al di qua delle montagne di Montoro).
Con il tempo divennero semplicemente
“Principato Ultra” corrispondente alla provincia di Avellino e a una
parte della provincia di Benevento, e “Principato Citra” corrispondente
alla provincia di Salerno.
Le due Province di “Principato”
vennero soppresse con l’Unità d’Italia e sostituite appunto dalle province di
Avellino e di Salerno.
L'emblema araldico del "Principato Citra" lo ritroviamo oggi nel gonfalone civico della Città di Amalfi, antica repubblica marinara.
L’emblema araldico del
“Principato Ultra” è stato ereditato e oggi compare nel gonfalone della
Provincia di Avellino.
Nota.
A titolo di esempio, in provincia di Avellino c’è oggi un Comune che si chiama
Prata di Principato Ultra.
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4 (IV). BASILICATA
Qui il collegamento tra il passato e
il presente è più diretto, perché il territorio di questo giustizierato
corrispondeva quasi completamente all’odierna Regione Basilicata, tranne il
territorio di Matera che invece apparteneva alla Terra di Otranto (quindi alle
Puglie).
Anche in questo caso, come per gli
Abruzzi, l’impostazione amministrativa risale all’epoca dei Normanni in Italia.
La Basilicata era stata una “porzione” del precedente “Ducato di Puglia e Calabria”, dominio salernitano fino all’arrivo dei Normanni.
Successivamente, Federico II di
Svevia istituì il “Giustizierato di Basilicata”, poi “Provincia di
Basilicata” alla quale – nel 1663
- venne aggiunta anche Matera.
Nota.
Tuttavia, come si può osservare sia dalla fisionomia del territorio sia dal
dialetto, Matera rimane tutt’oggi una città culturalmente “pugliese”.
Osserviamo per esempio le somiglianze territoriali e architettoniche tra Matera
e la vicina Gravina di Puglia (Città metropolitana di Bari); appartengono
entrambe alla regione geografica delle Murge, una regione omogenea che
però è suddivisa tra distretti amministrativi diversi: Province di Matera,
Taranto, Brindisi (Salento), Città metropolitana di Bari e Provincia di
Barletta-Andria-Trani (Puglia barese)
Con l’Unità d’Italia la “Provincia di
Basilicata” diventò “Provincia di Potenza”, una provincia unica che
copriva l’intera Basilicata odierna, appunto.
Nel 1927 fu istituita anche la
“Provincia di Matera” per distacco del Circondario di Matera dalla Provincia di
Potenza (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927).
L’emblema araldico della “Provincia
di Basilicata” è stato ereditato, e oggi si trova nel gonfalone della Provincia
di Potenza.
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5 (V). CALABRIA CITRA (“Calabria latina”)
Corrisponde principalmente
all’odierna “Provincia di Cosenza”.
Anche questa provincia derivava da
una porzione del grande “Ducato di Puglia e Calabria”, dominio salernitano fino
all’arrivo dei Normanni.
Federico II istituì il “Giustizierato
di Valle del Crati e Terra Giordana”.
I confini subirono alcune variazioni
nel corso dei secoli.
Nel Cinquecento, il distretto cambiò
nome e divenne “Giustizierato di Calabria Citeriore” (Calabria Citra
flumen Nethum = Calabria al di qua del fiume Neto; “al di qua” con
riferimento alla capitale Napoli, quindi la parte di Calabria più vicina a
Napoli).
A seguito della riforma
amministrativa napoleonica del 1806, il giustizierato divenne “Provincia di
Calabria Citeriore”.
Con l’Unità d’Italia, il distretto è
diventato “Provincia di Cosenza”.
L’emblema araldico della
“Provincia di Calabria Citra” è stato ereditato e oggi appartiene al gonfalone
della Provincia
di Cosenza.
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6 (VI). CALABRIA ULTRA (“Calabria greca”)
Corrisponde in gran parte alle
odierne Province di Crotone, Catanzaro, Vibo Valentia e alla Città
metropolitana di Reggio di Calabria.
Prima dell’arrivo dei Normanni,
apparteneva anch’essa al “Ducato di Puglia e Calabria”.
Federico II istituì il “Giustizierato
di Calabria”.
Nel corso del Cinquecento, il
distretto prese il nome di “Giustizierato di Calabria Ulteriore” (Calabria
Ultra flumen Nethum = Calabria oltre il fiume Neto; ossia la più lontana
rispetto alla capitale Napoli).
Con la riforma amministrativa di
Giuseppe Bonaparte (1806), il giustizierato divenne “Provincia di Calabria
Ulteriore”.
Nel 1816, dopo la caduta dell’Impero
francese napoleonico e la Restaurazione, la Calabria Ulteriore venne divisa in
due province: “Calabria Ulteriore I” (più a sud) e “Calabria
Ulteriore II” (più a nord).
E qui il percorso si divide.
Calabria Ulteriore I
Nel 1860 la “Calabria Ulteriore I”
divenne “Provincia di Reggio di Calabria”.
Nel 2017 la Provincia di Reggio
Calabria è diventata “Città metropolitana di Reggio Calabria”.
Calabria Ulteriore II
Nel 1860 la “Calabria Ulteriore II” è
diventata “Provincia di Catanzaro”.
Nel 1992 sono nate anche le Province
di Crotone e di Vibo Valentia, per distacco dalla Provincia di Catanzaro.
L’emblema araldico della
“Provincia di Calabria Ultra” è stato ereditato e oggi si trova nel gonfalone
della Provincia
di Catanzaro, e – in forma differente, ma con gli
stessi elementi – anche nel gonfalone della Città metropolitana di
Reggio Calabria.
Nota. L’esistenza storica di più Calabrie giustifica la declinazione al plurale di Calabrie, appunto (così come per Marche, Abruzzi, Puglie).
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7 (VII). TERRA D’OTRANTO
È la più meridionale delle “Puglie”,
corrispondente sostanzialmente al Salento, compreso il territorio materano
(Province di Lecce, Brindisi, Taranto e Matera). Matera ne fu distaccata nel
1663 per aggregazione alla “Provincia di Basilicata” di cui divenne capoluogo
fino al 1806.
Precedentemente appartenuta al
“Ducato di Puglia e Calabria”, con l’arrivo dei Normanni divenne “Giustizierato
di Terra d’Otranto” e, in seguito “Provincia di Terra d’Otranto”
dall’epoca degli aragonesi (subentrati agli angioini sul trono del Regno di
Napoli, nel corso del XV secolo).
Nota. Detta anche “Terrae Ydronti”, nel suo emblema araldico compare quella che si potrebbe considerare un’idra – mostro acquatico nella mitologia ma anche serpente acquatico in zoologia – a volte con la testa rivolta verso il basso, altre volte con la testa verso l’alto. «Ydronti» dovrebbe derivare proprio da «Hydruntum», il nome latino della Città di Otranto.
In altre versioni dello stemma, compreso quello odierno (Provincia di Lecce), l’animale acquatico appare diversamente e viene identificato come un delfino .
Con l’Unità d’Italia, il distretto
prese il nome di “Provincia di Lecce” che comprendeva anch’essa tutto il
Salento.
Nel 1923 iniziò lo smembramento della
Provincia con la costituzione della “Provincia
dello Jonio” per distacco del Circondario di Taranto
(Regio
Decreto n. 1911 del 02/09/1923). Dal 1951 la “Provincia
dello Jonio” ha preso il nome del suo capoluogo e oggi la conosciamo come
“Provincia di Taranto”.
Nel 1927 la Provincia di Lecce (già
“Terra d’Otranto”) subì un ulteriore smembramento con l’istituzione della “Provincia
di Brindisi”, per distacco del Circondario di Brindisi e di due Comuni della
Provincia barese (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927).
L’emblema araldico della
“Provincia di Terra d’Otranto” è stato ereditato e oggi si trova nel gonfalone
della Provincia
di Lecce.
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8 (VIII). TERRA DI BARI
Corrisponde ai territori odierni
della Citta metropolitana di Bari e in parte della Provincia di Barletta-Andria-Trani.
Probabilmente il nome doveva essere
già in uso quando Federico II istituì il “Giustizierato di Terra di Bari”
che con gli aragonesi (subentrati agli angioini nel XV secolo), divenne “Provincia
di Terra di Bari”.
Con l’Unità d’Italia, questo distretto
prese il nome di “Provincia di Bari”.
Nel 2004 fu istituita la Provincia
di Barletta-Andria-Trani mediante lo scorporo di Comuni
dell’allora Provincia di Bari e della Provincia di Foggia. La nuova provincia è
diventata effettivamente operativa con le elezioni del 2009.
Dal 2015 la Provincia di Bari è
diventata “Città metropolitana di Bari” (Legge n. 56 del 07/04/2014).
L’emblema araldico della
“Provincia di Terra di Bari”, che si caratterizza per la presenza di un bastone
(pastorale) vescovile al centro, è stato ereditato e oggi si trova nel
gonfalone della Città metropolitana di Bari.
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9 (IX). ABRUZZO CITRA (o
Abruzzo Citeriore)
Corrisponde principalmente
all’odierna Provincia di Chieti, e in parte alla Provincia di Pescara.
Federico
II conservò questa struttura unitaria istituendo il “Giustizierato d’Abruzzo
presso Sulmona”, con “sede amministrativa” a Sulmona.
Successivamente,
Carlo I d’Angiò divise il giustizierato in due parti (Diploma di Alife, 1273)
per una migliore amministrabilità: nacquero quindi il “Giustizierato di Abruzzo
Ulteriore” e il “Giustizierato di Abruzzo Citeriore” (Aprutium Citra
flumen Piscariae = Abruzzo al di qua del fiume Pescara; ossia l’Abruzzo più
vicino alla capitale Napoli).
Nota.
Abbiamo testimonianza onomastica di questa denominazione anche oggi, ad
esempio, nel comune di San Valentino in Abruzzo Citeriore.
Il
giustizierato divenne poi “Provincia di Abruzzo Citeriore”, fino al 1860.
Con
l’Unità d’Italia il distretto cambiò denominazione e struttura diventando
“Provincia di Chieti”.
Nel
1927 questa provincia fu in parte smembrata con la costituzione della
“Provincia di Pescara” (Regio
Decreto n. 1 del 02/01/1927), istituita mediante lo scorporo di
Comuni principalmente dalle Province di Chieti e di Teramo, e in parte da quella
di Aquila. (Sull’argomento
vedi anche: «Aternia» - Gioco di ucronia).
L’emblema araldico della “Provincia
di Abruzzo Citeriore”, contenente una testa di cinghiale – con riferimento
all’animale-totem dei Marrucini – è stato ereditato e oggi forma il
gonfalone della Provincia
di Chieti.
Un cinghiale intero, inoltre, si trova
nella metà destra del gonfalone della Provincia di Pescara,
con probabile riferimento alla parte marrucina (e “citeriore”) di questa
provincia.
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10 (X). ABRUZZO ULTRA (o
Abruzzo Ulteriore)
Corrisponde principalmente alle
odierne Province di L’Aquila e di Teramo, in parte alla Provincia di Rieti - alla
quale furono aggregati i Comuni abruzzesi del Circondario di Cittaducale per
costituire la nuova provincia nel 1927 (Cicolano, Alta Valle del Velino, Alta Valle
del Tronto) - e in piccola parte anche alla Provincia di Pescara, costituita
anch’essa nel 1927, alla quale furono aggregati i Comuni aquilani di Bussi sul
Tirino e di Popoli, e diversi Comuni teramani a nord del fiume Pescara.
Dopo la conquista normanna, l’Abruzzo
era stato costituito come un’unica entità amministrativa, dopo il periodo dei
Longobardi e dei Franchi di cui abbiamo “parlato” all’inizio.
Federico II conservò questa struttura
unitaria istituendo il “Giustizierato d’Abruzzo presso Sulmona”, con
“sede amministrativa” a Sulmona.
Successivamente, Carlo I d’Angiò
divise il giustizierato in due parti (Diploma di Alife, 1273) per una migliore
amministrabilità: nacquero quindi il “Giustizierato di Abruzzo Citeriore” e il “Giustizierato
di Abruzzo Ulteriore” (Aprutium Ultra flumen Piscariae = Abruzzo oltre
il fiume Pescara; ossia l’Abruzzo più distante dalla capitale Napoli).
La riforma amministrativa napoleonica
del 1806, divise l’Abruzzo Ulteriore in due parti:
“Abruzzo Ulteriore I”, corrispondente
all’odierna Provincia di Teramo (compresi i territori poi sottratti nel 1927),
e “Abruzzo Ulteriore II”, corrispondente all’Abruzzo interno (ossia la
Provincia di Aquila, compresi i territori poi sottratti nel 1927).
Con questo “sdoppiamento” dell’Abruzzo
Ulteriore, i “Due Abruzzi” diventano i “Tre Abruzzi”.
La storia dell’Abruzzo Ulteriore si
divide, a questo punto, in due rami.
Abruzzo Ulteriore I
Con l’Unità d’Italia, questo
distretto amministrativo diventa “Provincia di Teramo”.
Nel 1927 la Provincia viene smembrata
con lo scorporo di diversi Comuni che vanno a costituire la nuova Provincia di
Pescara (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927).
Abruzzo Ulteriore II
Con l’Unità d’Italia, questo
distretto amministrativo diventa “Provincia di Aquila degli Abruzzi”.
Tra il 1926 e il 1927 la Provincia
viene smembrata con lo scorporo di diversi Comuni che vanno a costituire la
nuova Provincia di Rieti (ad ovest) e due Comuni (come abbiamo già visto) che
vanno a costituire la nuova Provincia di Pescara (ad est) (Regio Decreto n. 1 del 02/01/1927).
I Comuni abruzzesi di Borgocollefegato (oggi Borgorose) e di Pescorocchiano – nell’Alto Cicolano – rimasero inizialmente in Provincia di Aquila, aggregati al Circondario di Avezzano (Regio Decreto n. 1890 del 21/10/1926). Soltanto nel 1927 anch’essi vennero sottratti alla provincia aquilana per la costituzione della provincia reatina.
Nel 1939, Aquila degli Abruzzi acquisisce
ufficialmente il nome di L’Aquila, per cui la Provincia di Aquila degli Abruzzi
diventa “Provincia dell’Aquila”.
L’emblema araldico dell’Abruzzo
Ulteriore - un’aquila coronata su dei monti - è stato ereditato e oggi costituisce
il gonfalone della Provincia dell’Aquila.
Nota.
L’esistenza storica di più Abruzzi giustifica la declinazione al plurale in Abruzzi,
appunto (così come per Marche, Puglie, Calabrie).
Riflessione.
Negli anni recenti, molte entità pubbliche istituzionali degli Abruzzi vedono
sempre più spesso l’accorpamento sugli “assi” L’Aquila-Teramo (da un lato) e
Chieti-Pescara (dall’altro). Sembrerebbe quasi come se gli Abruzzi stessero riacquisendo
la configurazione storica in due entità (anziché le quattro attuali), ossia l’Abruzzo
Ulteriore (L’Aquila-Teramo) e l’Abruzzo Citeriore (Chieti-Pescara).
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11 (XI). COMITATUS DI MOLISI
(Contado di Molise)
Corrisponde in gran parte al Molise
odierno ma anche, in parte, alla porzione meridionale degli Abruzzi e a quella settentrionale
della Campania.
Deriva da un territorio
originariamente governato dal Ducato longobardo di Benevento, e soltanto all’epoca
dei Normanni inizia a delinearsi con una sua definizione territoriale.
Federico II istituì il “Giustizierato
di Molise e Terra di Lavoro”, per cui il Contado di Molise era sotto la
giurisdizione della Terra di Lavoro.
Successivamente – nel Cinquecento –
passò sotto la giurisdizione della “Capitanata”.
La riforma amministrativa di Giuseppe
Bonaparte (1806), istituì la “Provincia di Molise”.
Con l’Unità d’Italia, questa unità
amministrativa diventò “Provincia di Campobasso”.
Nel 1970 la provincia venne smembrata
a seguito di scorporo di alcuni Comuni per l’istituzione della nuova “Provincia
di Isernia”.
L’emblema araldico del “Contado
di Molise” è stato ereditato e oggi fa parte del gonfalone della Provincia di Campobasso.
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12 (XII). CAPITANATA
Corrisponde principalmente
all’odierna provincia di Foggia, in parte a quella di Barletta-Andria-Trani e
ad alcune porzioni dell’odierno Molise.
Nota.
La pianura della Capitanata è stata per secoli la destinazione della
transumanza “orizzontale” che dall’Abruzzo interno conduceva i capi di bestiame
ovini verso questa pianura, durante i mesi invernali. Da questa consuetudine
anche il detto «che stai a pensa’ alle pecore in Puglia?», come richiamo
serio o scherzoso a una persona còlta in un momento di distrazione o di sovrappensiero.
Proprio per l’importanza di questo
tragitto annuale, a L’Aquila, appena fuori Porta Napoli c’è un cippo stradale
(prima metà del Novecento) che indica gli oltre 298 km da lì fino a Foggia.
Inoltre, sulla strada statale 17, a est dell’Aquila si incontrano cippi
stradali con l’indicazione della distanza in chilometri da Foggia, poiché quel
tratto della Statale 17 segue l’itinerario del più antico «Tratturo magno».
Normalmente, infatti, i chilometraggi delle Statali si misurano da Roma o da una Strada
Statale “maggiore” da cui si diramano (la S.S. 17, per esempio, ha origine dalla
Via Salaria ad Antrodoco).
Sulla transumanza va anche aggiunto,
per completezza, che alcuni Comuni (ed ex Comuni) della Provincia dell’Aquila,
praticavano la transumanza “orizzontale” anche verso la Campagna Romana (Agro Romano).
Il
nome “Capitanata” risulterebbe risalire già al periodo bizantino.
Il “Giustizierato di Capitanata”
fu istituito da Federico II e, per un periodo (1538-1806 circa), ha avuto
competenza anche sul “Contado di Molise”; quest’ultimo divenne completamente
autonomo soltanto dopo la riforma amministrativa napoleonica del 1806.
All'epoca degli aragonesi (subentrati agli
angioini nel corso del XV secolo), il giustizierato divenne “Provincia di
Capitanata”.
Con l’Unità d’Italia questo distretto
prese il nome di “Provincia di Foggia”.
Tuttavia, ancora oggi, la provincia
foggiana viene legittimamente chiamata anche con il nome di “Capitanata”, come
previsto dallo Statuto
vigente della Provincia di Foggia (Art. 2, comma 2):
«Negli atti ufficiosi, anche a rilevanza pubblica ed esterna può
assumere la denominazione di "Provincia di Capitanata" nel
rispetto della propria identità storica territoriale.».
L’emblema araldico della
“Provincia di Capitanata”, che rappresenta San Michele e il drago – con palese
riferimento a Monte Sant’Angelo sul Gargano e al relativo culto di San Michele
– è stato ereditato e oggi si trova nel gonfalone della Provincia di Foggia.
Nota.
L’esistenza storica di più Puglie giustifica la declinazione al plurale di Puglie,
appunto (così come per Marche, Abruzzi, Calabrie).
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Conclusioni
Quindi abbiamo visto come in passato una stessa
parte di Italia, centrale e meridionale, fosse divisa in dodici Province. Oggi
lo stesso "settore" conta 19 Province e 3 Città
metropolitane: quindi 22 distretti amministrativi, ossia 10 in più rispetto a
qualche secolo fa.
Abbiamo anche visto che le Province
hanno una storia ben più antica e interessante rispetto alle Regioni, che sono
diventate operative soltanto nel 1970.
Se mi chiedessero un'opinione sul
riordino amministrativo italiano, non abolirei le Province: quindi la
risposta va da sé.
Piuttosto riaccorperei molte Province,
riportandole a diverse decine in meno e su basi più rispondenti alle differenze
storico-culturali che arricchiscono l'Italia così come la nostra Europa.
E ora, questo veloce giro tra le
Province storiche del Regno non può che concludersi a Napoli, nella sua
capitale.
Andiamo dove Via dei Tribunali
(decumano centrale) incrocia il “cardo” della celeberrima Via San Gregorio
Armeno (la Via dei Presepi).
Qui si apre Piazza San Gaetano, dal
nome di uno dei Santi compatroni della città partenopea; una piazza che
rappresenta il cuore della Napoli greco-romana-medievale, il suo “foro”.
Su questa piazza si affaccia la
basilica francescana di San Lorenzo Maggiore, gioiello architettonico
che unisce la maestosità del gotico francese (abside) alla sobrietà (non meno
bella) di un gotico italiano “riletto” in chiave francescana.
Ebbene, accanto a questa meraviglia
ce n'è un'altra: il convento di San Lorenzo che, tra le moltissime perle di
archeologia e di arte, contiene anche un refettorio molto particolare.
Siamo nel cuore
dell'amministrazione napoletana e del Regno dei secoli passati.
Nella basilica di San Lorenzo,
infatti, si riuniva il parlamento cittadino, l'assemblea dei Sedili
(seggi), ossia i sette seggi che rappresentavano i sette distretti
amministrativi in cui era divisa la Napoli storica. Gli stemmi dei sette Sedili
napoletani sono raffigurati in facciata accanto al campanile della basilica
di San Lorenzo.
Durante la dinastia aragonese - poi -
il refettorio del convento di San Lorenzo Maggiore divenne sede dell'assemblea
(parlamento) del Regno di Napoli. Non a caso, nelle lunette di questo
refettorio erano raffigurate ad affresco tutte le Province napoletane (oggi se ne vedono sei), compreso
ovviamente il nostro Abruzzo Ulteriore.
Mauro Rosati