Dal “seme” del racconto del signor Spartaco è “germogliata” spontaneamente questa seconda narrazione che “cuce” nuove memorie “parallele”.
È “germogliata”, proprio
come una pianta.
Forse anche per questo,
in passato si piantava un albero per ogni Caduto – non solo di guerra – e fu
così, ad esempio, che nacquero i Parchi della Rimembranza (ossia “Parchi del
Ricordo”, “Parchi della Memoria”).
D’altra parte, in tutte
le epoche e - credo - in tutte le Culture, gli Alberi sono sempre stati
fortemente legati al concetto di Memoria.
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La Memoria richiama altra
Memoria. Anche così potremmo intitolare questo “seguito” - e
“parallelo” allo stesso tempo - del precedente racconto «L’8
dicembre del signor Spartaco».
Le testimonianze che seguono,
infatti, sono state riferite spontaneamente e gentilmente da alcune persone che
hanno letto l’articolo «L’8 dicembre del signor Spartaco»,
pubblicato l’08 dicembre 2020, e hanno risposto in una conversazione di gruppo (chat)
culturale mediante una nota applicazione.
Queste persone si chiamano Beatrice,
Giovanna, Loredana, Maria Rita: quattro donne aquilane che appartengono alla
prima generazione dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale; nostre
concittadine nate molti anni dopo la fine del conflitto. La prima generazione
che ha conosciuto la Pace ma, allo stesso tempo, una generazione che è
cresciuta con i racconti - spesso terribili - dei genitori e dei nonni che
quella Guerra l’avevano vissuta, e alcuni anche la precedente (Prima Guerra
Mondiale); quindi hanno ben impresse nella mente quelle memorie di famiglia in
cui vivevano indirettamente la Guerra attraverso la paura e il trauma che
probabilmente accompagnavano l’animo dei loro familiari, soprattutto quando
ricordavano quei momenti di tanti anni prima. Quella paura si poteva leggere
negli occhi, come raccontano ad esempio Beatrice - quando riferisce il ricordo
della madre - e Giovanna - che ricorda le lacrime agli occhi della nonna -.
Le memorie che riporto in questo
breve contributo, narrano episodi personali differenti ma che si sono svolti
nello stesso frangente di tempo, durante il bombardamento alleato dell’08
dicembre 1943 sulla Stazione ferroviaria dell’Aquila e sullo stabilimento della
Zecca, che ha coinvolto anche la zona limitrofa, in particolare Borgo Rivera.
Altre storie - di altre persone - che
però si svolgono contemporaneamente ai racconti di Spartaco, Lisa e Maria che
abbiamo già letto nel primo
articolo. Altre persone che erano nella stessa zona o a poca
distanza dai protagonisti del primo racconto; memorie che si “intrecciano”
anche, come vedremo.
Sono tutti contributi fondamentali a
ricostruire la storia di quella giornata orribile e le quattro donne che ce li
raccontano hanno creato nuovi “ganci” alla Catena della Memoria che avevamo
sviluppato nel primo
articolo.
Giusto per riallacciarci a
quest’ultimo, ricordiamo che eravamo partiti dalla mattina dell’08 dicembre
2006 e poi, grazie al signor Spartaco, eravamo tornati indietro di 63 anni fino
all’08 dicembre 1943. Un po’ quello che nel Cinema (e nella Letteratura in
generale) viene definito “flashback” o “regressione”, più semplicemente.
Un racconto che inizia da un momento definito del presente per fare un salto
all’indietro e sviluppare la narrazione in un tempo precedente.
Riporto integralmente queste memorie,
così come sono state riferite, e aggiungo una mia riflessione finale, dopo le
testimonianze citate.
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«Giovanna»
La mattina dell’8 dicembre 1943, una
ragazza di 19 anni, di nome Giovanna stava lavorando nello stabilimento della
Zecca, a poca distanza dalla Stazione ferroviaria dell’Aquila. Era lì dentro
con tante sue colleghe e colleghi quando arrivarono i bombardieri alleati e
iniziò il massacro.
Giovanna Tessari - classe 1924 - oggi
sarebbe forse stata un’anziana signora di 96 anni? Con dei figli, nipoti,
pronipoti?
Purtroppo non possiamo dirlo!
Perché?
Il perché ce lo racconta sua nipote
(la figlia della sorella), che porta anche lei il nome di Giovanna.
«Leggo sempre con molto interesse
gli scritti di Mauro. Primo perché sono presenti minuziosamente alle fonti
storiche e raccontati con grande capacità letteraria, poi perché mi riportano
sempre ad un ricordo stratificato nella memoria, accantonato ma mai
dimenticato.
In questo giorno, 8 dicembre 1943, morì sotto le bombe la sorella di mia madre, una ragazza di 19 anni che lavorava presso la Zecca e della quale porto il nome. Questo terribile giorno per la mia famiglia e per mia nonna in particolare (viveva con noi) era un momento di profonda tristezza e di racconto minuzioso dei particolari dell'epoca. Mia nonna nel raccontare i fatti storici di quel tempo, aveva sempre le lacrime agli occhi perché ripensava con orrore al ritrovamento di parte del corpo di mia zia sotto le macerie.
Ogni anno il comune
dell'Aquila deponeva una corona di fiori davanti alla lapide posta nel piazzale
antistante l'ex Alenia, che riporta il nome di tutte le vittime di quell'eccidio
(quasi tutte giovani donne). Dal terremoto in poi non si è più fatto perché
l'azienda è in uno stato di completo abbandono. Mi auguro che in un giorno,
anche lontano, si possa riprendere quella cerimonia che onorava la memoria di
quelle giovani vite cadute sotto il giogo di una guerra che ha contato milioni
di vittime immolate alla follia di uomini esaltati dal potere dell'onnipotenza.»
(Testimonianza
indiretta di Giovanna Vespaziani, 08/12/2020; riportata integralmente)
Giovanna Tessari, 19 anni, non ha
potuto conoscere sua nipote perché è stata una delle molte giovani lavoratrici
uccise dalle bombe cadute sulla Zecca.
La foto che avete appena visto non necessita di particolari commenti, parla da sé.
I bollettini sono necessari, sia per la cronaca sia per la storia in generale, perché comunicano l'idea "quantitativa" di un accaduto.
Foto come questa ci portano dalla dimensione del "numero" a quella della "persona", ossia alle storie personali che sono dentro i numeri dei - pur necessari - bollettini.
Riflessione
e proposte.
Anche se oggi l’ex stabilimento
Alenia - già sede della Zecca - è in abbandono dopo il sisma del 2009, sarebbe
importante riprendere a coltivare la memoria davanti a quella lapide apposta
nel piazzale antistante allo stabilimento abbandonato.
Una memoria che ognuno può coltivare
spontaneamente, in qualsiasi giorno dell’anno, oltre ovviamente a una doverosa
commemorazione istituzionale nella giornata dell’08 dicembre.
Poi non dimentichiamo che viviamo in
un’epoca digitale: perché non iniziamo a creare dei Muri della Memoria “virtuali”?
Un “semplice” pannello con un codice QR collegato a una “banca dati” della
memoria collettiva: un clic con il telefono e qualsiasi persona potrebbe
fare questo viaggio immediato nella Memoria.
E magari perché non iniziare
proprio da Piazzale Caduti 8 dicembre 1943 (il piazzale della Stazione) e dal
piazzale ex Alenia?
E poi si potrebbe estendere
l’iniziativa ai tanti luoghi della nostra Città che sono intitolati alle
commemorazioni collettive (es.: Viale delle Medaglie d’Oro; Piazzale Caduti del
Soccorso; Piazza IX Martiri; Largo Italiani Martiri delle Foibe e degli Esuli
Istriani, Giuliano-Dalmati; Via Caduti Traforo del Gran Sasso; e tanti altri
esempi).
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«Leda»
Torniamo sempre a quell’8 dicembre 1943, e sempre allo stabilimento della Zecca.
Quella mattina al lavoro c’era
un’altra giovane donna, poco più grande di Giovanna: Leda Santilli - classe
1921-, appunto una collega di Giovanna.
Leda fortunatamente si è salvata.
Ce lo ricorda sua figlia Maria Rita.
«Anche per me è un ricordo di
famiglia anche se non tragico come quello di Giovanna. Mia madre lavorava
lì ed è riuscita a salvarsi. Da bambina nel giorno dei morti mi conduceva
sempre a visitare le tombe delle sue colleghe.»
(Testimonianza
indiretta di Maria Rita Acone, 08/12/2020; riportata integralmente)
Proprio da questa testimonianze
“incrociate”, Giovanna e Maria Rita hanno scoperto - 77 anni dopo - che
rispettivamente la zia diciannovenne di Giovanna e la madre ventiduenne di
Maria Rita, in quel 1943 lavoravano insieme e probabilmente – chi lo sa? – si
conoscevano anche.
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«Antonietta»
Adesso spostiamoci a Borgo Rivera,
(la “Riviera” degli Aquilani) a poca distanza dallo stabilimento della Zecca, e
ancora meno dalla Stazione ferroviaria dell’Aquila.
Ricordate la giovane Lisa - futura
moglie del signor Spartaco - e sua sorella Maria, entrambe alle Novantanove
Cannelle al momento del bombardamento?
Con loro c’era anche un’altra giovanissima
donna, la diciassettenne Antonietta Costantini - classe 1926 -, madre di
Loredana.
E qui il racconto contiene alcuni
dettagli “crudi” che purtroppo rendono l’idea dell’orrore vissuto da chi era
presente a quella tragedia.
«Buona sera Mauro ho letto il tuo
articolo sui ricordi dell’8 dicembre, mi ha fatto piacere 'sentire' zia Maria e
zio Spartaco.
Infatti mia madre era con
zia Maria e Lisa. Mia madre mi raccontava che era davanti alle 99 cannelle e
con una bomba lo spostamento d’aria la trascinò fin dentro il negozio di vino e
alimentari della signora Crocetta, moglie di Rossi Ermanno. Mia madre ebbe
sangue dalle orecchie per i timpani rotti.
Mia madre mi ha
raccontato che i prigionieri inglesi erano volutamente messi in vagoni
alternati a vagoni con munizioni.
La carneficina avvenne e i soldati che sopravvissero avevano arti amputati e
mentre risalivano la Rivera prendevano i panni del bucato stesi per coprire le
ferite.
Mi ha detto anche che le
rotaie del treno saltarono e arrivarono fino a via XX Settembre
Mi ha sempre raccontato di quel giorno. Ciao
grazie»
(Testimonianza
indiretta di Loredana Mariani, 08/12/2020; riportata integralmente)
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«Anna»
Ora, sempre in quegli stessi momenti
del bombardamento della Stazione, risaliamo la Città verso la Caserma “Edmondo
De Amicis”, accanto alla Basilica di San Bernardino.
Se avete letto il primo
articolo, ricorderete che qui avevamo lasciato il signor
Spartaco (allora diciottenne) che vedeva le bombe cadere da lontano e poi,
sicuramente, la colonna di fumo che si alzava dal lato del fiume Aterno, verso
la Rivera e la Stazione ferroviaria.
In quegli stessi istanti - a poche
centinaia di metri dal giovane Spartaco - nel vicino Quartiere di Santa Maria a
Forfona (“di Farfa”) si svolgeva un altro frammento di storia familiare. Il
Quartiere era stato costruito proprio negli anni a ridosso dell’inizio della
Seconda Guerra Mondiale; nato come il “Quartiere Costanzo Ciano” era poi
divenuto Santa Maria “di Farfa”, dal nome dello storico locale di “Forfona” (Furfo)
e della chiesa di Santa Maria a Forfona dentro le mura – quest’ultima
letteralmente “spostata” per la costruzione del nuovo quartiere popolare.
Santa Maria Sforfo’
nella parlata aquilana; Santa Maria a Forfona, appunto.
Ce ne parla Beatrice.
«Mia madre mi raccontava che fuggirono dalla loro casa a Santa Maria di Farfa per
tornare al paese e mentre erano per strada vedevano gli aerei gettare le bombe
sull'Aquila. Ancora potevo leggere la paura nei suoi occhi».
(Testimonianza
indiretta di Beatrice Sabatini, 08/12/2020; riportata integralmente)
Anna Arista - la madre di Beatrice -
era una ragazzina di quindici anni, fuggiva insieme ai suoi genitori Luigi
Arista (classe 1878) e Francesca Sturba (classe 1897) - i nonni di Beatrice.
Fuggivano verso le campagne a sud-est dell’Aquila per raggiungere la loro casa
a San Giovanni di San Demetrio ne’ Vestini.
«Tra l’altro» -
aggiunge Beatrice - «la casa dei miei nonni a San Giovanni di San
Demetrio fu occupata un periodo dai nazisti. Nonna [la signora
Francesca; n.d.R.] diceva
che erano tutti giovani, forse austriaci, e nazisti non troppo convinti…».
(Testimonianza indiretta di Beatrice
Sabatini, 20/12/2020; riportata integralmente)
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Ringraziamenti e breve
riflessione
Innanzitutto ringrazio le quattro persone
che hanno reso possibile la “tessitura” di questo secondo racconto: Giovanna
Vespaziani, Maria Rita Acone, Loredana Mariani, Beatrice Sabatini. Un
ringraziamento per aver condiviso le loro importantissime e private
testimonianze - anche fotografiche -, particolarmente sentite perché raccolte
dai loro familiari più stretti, questi ultimi “voce diretta” che ha vissuto
quel periodo "bruttissimo" ("bruttissimo" è un eufemismo)!
Vorrei quindi aggiungere una riflessione conclusiva,
che spiega anche il motivo di questo mio "post", così come di quello
precedente («L’8 dicembre del signor Spartaco»).
Sono passati poco più di 75 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale,
quindi siamo alla terza generazione dopo il conflitto.
Ciò vuol dire che già tre generazioni non
hanno idea - per fortuna - di che cosa sia la Guerra, almeno qui in Italia.
Questo però ci porta a dare per scontata
la Pace. Mantenere viva la Memoria di queste vicende, invece, ci può aiutare a
capire meglio che abbiamo un "privilegio" in questo senso, e che
dobbiamo coltivarlo quotidianamente.
Credo che questo valga per tutti coloro che abbiano meno di 76-77 anni.
Personalmente, appartengo alla seconda generazione dopo la Seconda Guerra
Mondiale; i miei nonni, invece, l'hanno vissuta in pieno: erano ragazzini, o al
massimo ventenni.
La loro generazione, che ha vissuto due Guerre paurose in meno di 30 anni,
aveva il terrore della Terza Guerra Mondiale.
E questa paura del Terzo conflitto non era
così infondata. Secondo molti storici, c’è stato un momento del Novecento in
cui il rischio di una Terza Guerra Mondiale è stato particolarmente alto:
nell’ottobre del 1962, a poco più di 17 anni dalla fine ufficiale della Seconda
Guerra Mondiale. Si tratta della vicenda passata alla storia come la “Crisi dei
missili di Cuba”.
Principalmente per questa giustificata
paura di un terzo conflitto, soprattutto nei paesi, chi nasceva verso fine anno
veniva registrato all'anagrafe nell'anno successivo; così, si diceva, «non si sa mai!», nel caso fosse scoppiata una terza guerra, magari per un
anno di differenza non avrebbero chiamato alle armi i propri figli. Di questo
ho ascoltato racconti da molte persone - allora bambini - nate negli anni
successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Tanto era forte il trauma per quelle
generazioni, e comprensibile.
Sembra forse retorico ricordarlo, ma è
necessario:
la guerra non è un fenomeno naturale; per
cui è esclusivamente una scelta umana, il volerla o il non volerla.
Mauro Rosati