Vincent van Gogh, Natura morta: vaso con rose, olio su tela (71.0 x 90.0 cm. Saint-Rémy, Maggio 1890), National Gallery of Art, Washington. (Fonte immagine: Pagina Facebook "Libriantichionline") |
Un dipinto di Vincent van Gogh.
Un "semplice" vaso di rose,
tra l’altro semi-appassite. Eppure quanta bellezza in quelle pennellate!
Un soggetto che in Storia dell'Arte
si definisce tecnicamente "natura morta", ossia la rappresentazione
di oggetti "inanimati": un vaso di fiori, un canestro di frutta, dei
libri su un tavolo, e così via.
Eppure quanta vita in quella natura morta del vaso di rose del maestro olandese!
Una vita che nasce sicuramente anche da quelle pennellate dinamiche e dalla
verità dei colori, che ci fa quasi “toccare” quei fiori con lo sguardo.
Vincent van Gogh, un animo tormentato e sofferente, una personalità complessa.
Così ce lo raccontano le sue biografie.
Eppure, anche se in quei suoi dipinti
esprimesse degli stati d'animo personali che non possiamo capire, ci ha
lasciato molte opere che spesso trasmettono serenità, intimità,
"calore": una chiesa, la veduta di un campo, un cielo stellato, una
strada di città illuminata dalle luci di un Caffè, degli ulivi, e tanti altri
capolavori.
Ovviamente, tra i suoi capolavori ci
sono anche opere più “crude”, a carattere più strettamente sociale.
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L'eredità artistica del maestro olandese ci fa riflettere sulla complessità di
quel grande Universo che è la mente umana: conoscenze, comportamenti,
sentimenti, istinto, razionalità.
Un Universo che pare abbia ancora molto
da essere esplorato.
Noi esseri umani, soprattutto contemporanei, abbiamo spesso la tendenza a
"etichettare" e “catalogare” qualsiasi cosa, a dividere tutto in
cassetti o compartimenti stagni.
Questo possiamo farlo forse con gli
oggetti di casa o in un ufficio.
Ma è difficile poterlo fare con la
varietà dei comportamenti umani: come definire, ad esempio, il carattere di una
persona in modo esatto; possiamo forse individuare una "linea" di
carattere, ma con tante sfumature, un po' proprio come quelle pennellate di van
Gogh.
Così come è difficile - e
personalmente penso sia anche sbagliato - dividere in compartimenti la vastità
delle conoscenze umane, delle discipline, delle materie. Lo si può fare nello
schema di un orario scolastico o accademico, però semplicemente per praticità organizzativa.
Ma, credo, non possiamo farlo nella
vita di tutti i giorni: come stabilire un confine netto tra la Filosofia e la
Matematica? Tra la Storia dell'Arte e la Chimica dei materiali (pietre, colori,
ecc...)? Tra la Botanica e uno splendido acquerello con soggetto botanico? Tra le
Scritture Sacre, la Mitologia e l'Astronomia? Tra la Musica e la Matematica? Un
musicista è anche un matematico, come sembrano dimostrare numerose ricerche
neuroscientifiche.
Quindi come stabilire un confine esatto
tra i tanti Saperi dell'essere umano?
Personalmente non ne sarei capace!
Vedo la conoscenza umana proprio come
quel dipinto di Van Gogh da cui siamo partiti: tante tonalità di colore
differenti ma allo stesso tempo sfumate, non distinguibili nettamente l'una
dall'altra, con i colori "freddi" resi "tiepidi" dalle
tonalità più calde - e viceversa -.
E pensiamo che la conoscenza umana è
a sua volta "piccola" rispetto a quanto c'è da studiare e da
conoscere dell’Universo in generale.
Ecco perché mi dispiace quando ancora si parla di "Scienza" e
"Umanesimo" come due mondi separati; quando si parla delle materie
umanistiche come qualcosa di "vecchio", da archiviare, da togliere dai
programmi scolastici per evitare “inutili perdite di tempo”.
Non è così! Almeno per come la vedo
io!
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Concentriamoci innanzitutto proprio
sulla parola "Scienza": al giorno d'oggi usiamo questo termine per
indicare soltanto le Scienze Naturali e quelle affini.
Torniamo invece all'etimologia,
all'origine latina di "Scienza".
Dal latino “Scientia”,
un sostantivo che indica un mondo molto più vasto: tutta la conoscenza umana,
quella naturalistica e quella umanistica, quella teorica e quella pratica;
spesso le “Scienze”, le conoscenze, partono proprio dall’osservazione empirica,
semplice, quotidiana che poi si cerca di spiegare e diventa teoria per essere
contenuta nei libri.
Che bellezza in quella metafora che
paragona la scrittura all’aratura dei campi e alla semina!
Proprio questa è la funzione della Scrittura:
seminare qualcosa su un foglio bianco in modo che tutti la possano raccogliere
una volta matura, cioè una volta che quel foglio è stato riempito. Il
“raccolto” consiste nella lettura critica e nell’apprendimento, che a sua volta
stimola nuove idee e nuove riflessioni; e quindi, nuove “semine” in nuovi
campi.
Allora mi fa piacere sentire e
leggere, da qualche anno, di “Scienze Umane”, “Scienze Matematiche”, “Scienze
Naturali”, e così via.
Tutto il sapere umano è “Scienza”, e
ogni Scienza ha bisogno dell’altra per completarsi! Sono, cioè, reciprocamente
complementari.
Se le Scienze Naturali studiano e ci
insegnano i meccanismi dell’Universo, le Scienze Umane ci insegnano l’Etica, la
capacità di ragionare, arricchiscono il nostro linguaggio e facilitano la
nostra “confidenza” con la parola scritta e con la parola “orale”.
La Filosofia (incluse le Scienze
Religiose) ci "allena" al ragionamento, alla riflessione.
La Letteratura ci educa alla capacità
di espressione scritta e orale, ci educa alla sensibilità, arricchisce il
patrimonio del nostro vocabolario personale, a tutto vantaggio del nostro
linguaggio. Letteratura italiana, Letteratura dialettale, Letteratura
straniera. “Letteratura” nell’accezione più ampia del termine: ci metto anche
il Teatro, il Cinema, l’Opera, la Musica, anch’essi espressioni letterarie (e anche
matematiche; ad esempio la Poesia con la sua metrica, e - come abbiamo già visto - la Musica).
E la Storia,
“Maestra di Vita” con i suoi esempi e i suoi insegnamenti,
fondamentali per comprendere il presente e per non commettere sempre gli stessi
errori.
Il Greco e il Latino, anche oggi
fondamenti del linguaggio delle Scienze tecnico-sperimentali oltre che di
quelle umanistiche. Due lingue antiche che spesso, nella vita di tutti i
giorni, ci aiutano per esempio a capire il significato di una parola, anche
senza avere un vocabolario a portata di mano (cartaceo o digitale che sia).
E l’Archeologia, che va “a braccetto”
sia con le Scienze Umane sia con quelle Tecniche, Naturali e affini. La ricerca
archeologica: uno studio “materiale” del passato che ci dà risposte utili per
capire il presente e per pianificare le cose con più chiarezza e
consapevolezza.
E poi, un altro campo della
conoscenza umana che personalmente ritengo degno di essere tutelato pienamente
dalla Legge e considerato materia didattica: il Dialetto.
Il Dialetto
ci tramanda la cultura (materiale e immateriale) e la saggezza dei nostri
antenati, quegli uomini di Scienza che magari non sapevano né leggere né
scrivere ma che conoscevano molto delle leggi della Natura perché le imparavano
dal lavoro di tutti i giorni: nei campi, in mare, tra i boschi, nei pascoli.
Anche grazie a loro le Scienze accademiche sono progredite nel corso dei
secoli. Donne e Uomini che non sapevano leggere o scrivere, o lo facevano a
malapena, ma che erano capaci di prevedere il meteo, sapevano su quali terreni
si poteva o non si poteva costruire, sapevano a che profondità interrare un
nuovo albero messo a dimora. E tanti altri sarebbero gli esempi possibili.
Conoscenze che provenivano dall’esperienza e dall’osservazione diretta delle
cose, delle quali si faceva tesoro e diventavano patrimonio da tramandare di
generazione in generazione, finché poi qualcuno finalmente non lo metteva per
iscritto.
A titolo di esempio, mi vengono in
mente due brevi testimonianze personali che ho raccolto negli anni.
1 - Un mio zio paterno, tra i molti
ricordi di quando era ragazzino, me ne ha raccontato uno particolarmente
curioso, anche se normale per chi conosce l’intelligenza animale: nei mesi
autunnali e invernali, quando si dovevano riportare i bovini al riparo della
stalla (come altri animali), prima che scendesse la notte con il suo gelo, a
volte accadeva qualcosa di apparentemente insolito. Questi animali si fermavano all’ingresso
della stalla (quasi “si piantavano”) e iniziavano a scuotere la testa con un movimento
ripetitivo verso l’alto, come se “annusassero” l’aria; e quasi certamente era
proprio così, annusavano l’aria. Qualche ora dopo, puntualmente arrivava la
neve.
Ecco, quindi, che nella cultura
dell’esperienza, quel fenomeno apparentemente semplice, valeva come una
previsione meteorologica.
Nota.
Non serve elencare i tantissimi proverbi dialettali a tema meteorologico, dalle
tante realtà locali italiane: tutti nascevano da una osservazione scientifica
ripetuta che, con il tempo, acquisiva il valore della “regola”. Ancora oggi, se
prestiamo attenzione, possiamo ad esempio capire se stia per arrivare un
temporale estivo quando vediamo le nuvole in una certa direzione, diversa da
luogo a luogo; anche noi umani, se annusiamo l’aria possiamo percepire l’“odore
della neve”, probabilmente più in ritardo rispetto agli altri animali.
Come sicuramente molti tra voi
lettori, anch’io, fin dall’infanzia ho imparato spontaneamente a riconoscere
l’“odore della neve” in arrivo, portato dai venti di
Tramontana, di Aquilone, di Bora (quest'ultima collegata al Buran
della pianura sarmatica; ma anche il vento di Borea citato ad esempio nel libro V dell’Odissea, durante il naufragio della zattera di Ulisse che si conclude con l’arrivo sulle coste
dell’isola dei Feaci:
«Ma Atena […] Destò solo il
rapido Borea, e l’onde gli ruppe davanti, / sicché tra i Feaci amanti del remo
arrivasse / il divino Odisseo, sfuggendo la morte e le Chere.»).
2 - Poi mi viene in mente un racconto
personale del signor Giuseppe “Peppino”, aquilano: ricorda quando da bambino vedeva
suo nonno piantare un nuovo albero da frutto, aiutato dai suoi figli (il padre
e gli zii del signor Peppino). Il nonno non aveva manuali che gli indicassero
la profondità “giusta” della buca o la qualità del terreno più adatto; “semplicemente”
si sedeva al bordo della buca e con i piedi nudi sul fondo dello scavo
“assaggiava” il terreno finché non diceva «adesso va bene!», ossia quando
sentiva che il terreno aveva la giusta umidità. Quel concetto di “giusto” gli
derivava dall’esperienza di una vita, e magari gli era stato a sua volta tramandato.
Un po’ come il “quanto basta” (q.b.)
nell’arte del cucinare.
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E così, tornando al discorso più
generale, ci potremmo chiedere:
- si può essere veramente buoni
Storici dell’Arte se non si conoscono almeno un po’ la natura dei materiali, il
contesto storico di un’opera, la Filosofia e le Scritture Sacre?
- Si può essere veramente buoni
Architetti e buoni Ingegneri se non si conoscono almeno un po’ la cultura di un
territorio, il concetto di “paesaggio”, il concetto di “contesto”? Il Paesaggio,
semplificando, non è altro che la “somma” di un Territorio con la Cultura di
chi lo abita; ossia il Territorio più uno "Sguardo" (inteso come il modo di
vedere un certo Territorio da parte di una certa Cultura). E chi, se non la
Storia (Storia dell’Arte compresa), le Scienze Demo-Etno-Antropologiche - e
affini - possono aiutare a comprendere un “contesto paesaggistico”?
- Si può essere veramente buoni Medici se non si
hanno anche princìpi etici ed empatìa?
E chi, meglio della Filosofia (nel
senso più ampio), può aiutare a formare un’etica professionale?
Mi fermo qui con gli esempi che potrebbero
essere davvero tanti.
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Per concludere, allora: rifiutiamo la
conoscenza concepita come “compartimenti isolati”, dove ogni disciplina sta per
conto suo, come in un mobile di casa con tanti cassetti separati!
Certo, ognuno di noi avrà la sua
predilezione e la sua specializzazione; non si può essere “tuttologi” (“omniscienti”,
se preferite un sinonimo più raffinato).
Nessuno, però, ci può impedire di
allargare la nostra mente verso altre “Scienze”, che molto spesso si sfiorano o
si intrecciano l’una con l’altra. Nessuno ci impedisce di essere curiosi di
conoscenza e di far viaggiare la nostra mente verso tanti campi del Sapere
umano, di confrontarci con chi ha “specializzazioni” diverse dalle nostre per
poi accorgerci di quante cose abbiamo in comune, di fare collegamenti.
Non dobbiamo porre limiti alla “coltivazione”
della nostra Mente, del nostro Pensiero; è una “coltivazione” che deve
proseguire sempre, possibilmente senza limiti di età.
D’altra parte, che cos’è la Cultura?
Se prendiamo il termine alla lettera, è proprio “coltivazione”; dal latino
“colere” (= coltivare). Poi, appunto, ognuno di noi avrà le sue
coltivazioni predilette; chi coltiverà una cosa, chi un’altra. Ma non mettiamo
recinti al nostro “campo” da coltivare e, se ci va, proviamo anche nuove
coltivazioni, e magari allarghiamo il nostro “podere” intellettivo.
La Mente è un terreno di proprietà
nostra - idealmente senza recinto - per cui coltiviamola come meglio crediamo
ma sempre in direzione del “più” e non del “meno”. Proprio come farebbe un buon
contadino, finché la coltiviamo manteniamo lontane le “erbacce” infestanti
dell’Ignoranza; e l’Ignoranza con la “I” maiuscola non dipende dal titolo di
studio ma da una mente poco coltivata, dove può attecchire l’erbaccia
dell’ottusità.
Si può essere anche analfabeti ma si
può avere tanto da insegnare oltre che da imparare - e viceversa -.
Si può essere anche analfabeti ma
avere una mente aperta e predisposta a nuove coltivazioni - e viceversa -.
L’analfabetismo in senso classico non
è una scelta e quindi nulla toglie al potenziale intellettivo di una persona.
Insomma, non mettiamo limiti
all’Universo complesso della mente umana e non dimentichiamo che anche gli
altri animali possono avere menti complesse e aperte, magari molto più di
quanto potremmo immaginare!
Mauro Rosati