sabato 14 maggio 2022

PIZZOLI, L'ARME CROSTAROSA

 

Pizzoli, arme nobiliare Crostarosa.
(Foto: Emanuele Curci, 2022)


PIZZOLI, L'ARME CROSTAROSA

Insieme al blasone del cardinale Cosimo de Torres, un altro spunto di interesse araldico, sempre dalle immagini pubblicate della visita a Pizzoli della sede Archeoclub di L'Aquila.

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(In alto) Pizzoli, arme nobiliare Crostarosa (Foto: Emanuele Curci 2022):

troncato《di rosso, alla testa di leone al naturale, uscente dal lato sinistro dello scudo,
nella cui bocca una mano di carnagione proveniente dal fianco destro immette un ramo d'albero sfrondato al naturale;
capo di nero con una rosa araldica d'oro, alla fascia d'oro in questo caso sulla partizione.》.


La versione 《pizzolana》in foto, appena descritta, differisce per un paio di colori da quella 《romana》 riportata in RMNO – Vol. II pag. 39, citato come fonte bibliografica dall'armoriale di Wikipedia.
(RMNO= P. ROMANO, Famiglie romane, Roma, Tipografia Agostiniana, 1942 (volume primo) e 1943 (volume secondo) ).

La versione 《romana》, infatti, descrive un 《capo d'azzurro》 e una 《fascia d'argento》.

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Questa è la descrizione di riferimento,  così come riportata nell'armoriale 《Famiglie romane》 del 1942-1943:
[troncato] 《di rosso, alla testa di leone al naturale, uscente dal lato sinistro dello scudo,
nella cui bocca una mano di carnagione proveniente dal fianco destro immette un ramo d'albero sfrondato al naturale;
capo d'azzurro con una rosa araldica d'oro, alla fascia d'argento sulla partizione.》
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Il casato Crostarosa, con relativo blasone, non è elencato nel dettagliato elenco del Dizionario storico-blasonico di G. B. di Crollalanza (fine anni '80 dell'Ottocento) mentre è citato nell'armoriale di P. Romano del 1942-1943, già indicato sopra.
Di primo acchito, ciò farebbe ipotizzare una nobiltà con riconoscimento relativamente 《recente》, ossia nel periodo successivo alla pubblicazione del Crollalanza (fine anni '80 del XIX secolo) e quella del Romano (1942-1943).

《Recente》 quantomeno nell'ambito del patriziato romano.

Anche se in ambito aquilano il casato potrebbe risalire già al periodo tra i secoli XVI e XVII
L'ipotesi ad oggi più accreditata è infatti quella di un imparentamento tra il casato Crosta e il casato Rosa (di cui la rosa nel campo superiore del blasone), da cui il cognome odierno, come riferisce Riccardo Ribacchi (ribacchi.it):
La famiglia è originaria dell'Abruzzo e più in particolare di Pizzoli, provincia de L'Aquila.
Creseide Rosa, figlia di Giambattista (1541-1625), regio magistrato, sposò Sante Crosta, di Sassa. Da questo connubio ebbe origine il cognome Crosta-Rosa, unito in appresso da Giuseppe di Francesco. Costui (1653) ebbe cinque figli, fra i quali Maria Celeste, per i suoi prodigi dichiarata Venerabile.


Mauro
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Pagina di riferimento per la descrizione:


Descrizione disponibile anche in:


Notizie genealogiche sul casato Crostarosa, in:



domenica 8 maggio 2022

IL CASTELLO DI PIZZOLI: DUE DETTAGLI FRA TANTA BELLEZZA


Fig. 1. Pizzoli, castello Dragonetti-de Torres:
la facciata principale con le due meridiane.
(Foto: Emanuele Curci, 2022)




Fig. 2. Pizzoli; castello Dragonetti-de Torres, facciata principale:
 la meridiana con l'ora italiana antica (in alto a destra).
(Foto: Paola Cinque, 2022)

 
Fig. 3. Pizzoli, castello Dragonetti-de Torres:
arme del card. Cosimo de Torres.
(Foto: Paola Cinque, 2022).


Fig. 4. Pizzoli, castello Dragonetti-de Torres:
particolare della facciata principale,
con arme del card. Cosimo de Torres sulla finestra centrale al piano nobile.
(Foto: Paola Cinque, 2022)



IL CASTELLO DI PIZZOLI: DUE DETTAGLI FRA TANTA BELLEZZA 


C'è tanto, tantissimo, da dire sul Castello Dragonetti-de Torres a Pizzoli (L'Aquila), uno dei gioielli architettonici e artistici del territorio aquilano, e in particolare dell'architettura residenziale signorile 《fortificata》, adeguato alle nuove esigenze difensive che già dalla seconda metà del Quattrocento si erano presentate a seguito dell'introduzione delle armi da fuoco. 

Il castello de Torres nella veste odierna 《nasce》nel Seicento, quando già questo adeguamento difensivo era avvenuto a pieno, e si sviluppa intorno a un nucleo fortificato più antico, comprensivo di una torre medievale tutt'ora visibile nel complesso.


C'è molto da dire, appunto.


Il castello Dragonetti-de Torres di Pizzoli, insieme alle tipologie simili in altri centri dell'Abruzzo aquilano (es. Palazzo Santucci ai Navelli), è stato oggetto di una tesi di laurea del dott. Roberto Del Tosto che sabato 7 maggio 2022 ha condotto una visita guidata all'interno di questo stupendo complesso architettonico, nell'ambito di un'iniziativa a cura di Archeoclub L'Aquila in collaborazione con il Comune di Pizzoli.

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Nel rivedere le tante belle immagini pubblicate dai partecipanti alla visita di gruppo, mi hanno incuriosito alcuni particolari, tra i moltissimi spunti offerti da questo luogo.


1 - Le meridiane che si possono ammirare su due facciate del Castello: due su quella principale, rivolta a Meridione  e una su quella laterale  rivolta ad Oriente.

2 - L'altra curiosità, invece, è un dettaglio araldico nell'arme ecclesiastica del cardinale Cosimo de Torres (1584-1642) che campeggia fuori e dentro il palazzo da lui impostato nel Seicento, con successive ristrutturazioni e ulteriori arricchimenti nei secoli successivi.

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1-Le meridiane

Come abbiamo visto nel post precedente, fino all'Ottocento compreso, in Italia ebbe largo uso per secoli l'ora antica italiana (《ora italica》) che contava le 24 ore partendo dal tramonto del Sole (ora dell'Ave Maria) e non dalla Mezzanotte come si usa oggi.

L'ora italiana antica derivava dal conteggio delle ore già in uso tra il periodo romano antico e fino al XIII secolo. Nel sistema romano, antico però, le 24 ore non avevano tutte la stessa durata nel corso dell'anno poiché si basavano sulla durata delle giornate solari (《ore ineguali》): quindi d'Inverno avevamo le ore diurne minori di 60 minuti e le ore notturne maggiori di 60 minuti. In Estate accadeva il contrario.

Con l'introduzione degli orologi meccanici su torri e campanili, nel XIII secolo la Chiesa introdusse le 《ore uguali》: il nuovo giorno iniziava sempre all'Ave Maria del tramonto, però le 24 ore vennero fissate a 60 minuti, tutte uguali per tutto l'anno.


Chi invece lavorava per necessità con la luce naturale (contadini, artigiani), continuò a seguire i ritmi naturali del Sole e quindi, di fatto, anche le 《ore ineguali》.

Nel corso dell'Ottocento, l'ora antica italiana venne sostituita gradualmente da quella francese, soprattutto dopo l'Unità d'Italia e poi anche con l'arrivo graduale dell'elettricità nelle strade, prima, e nelle case, poi. 


Le meridiane del Castello Dragonetti-de Torres a Pizzoli, così come abbiamo visto per la facciata della chiesa di San Vito alla Rivera a L'Aquila (Borgo Rivera, largo Tornimparte), riportano entrambe le tipologie: 《italica》 e 《francese》 (ora oltremontana).

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Sulla facciata principale del Castello di Pizzoli, si possono ammirare due distinte meridiane in alto sulla facciata principale (fig. 1):

- a sinistra del portale abbiamo una meridiana che riporta le ore alla francese (《ora oltremontana》), introdotte gradualmente in Italia (come accennato) nel corso dell'Ottocento, a partire dal periodo di Napoleone Bonaparte, e in qualche caso già prima.


Le ore francesi dividono la giornata in due parti:

- 12 ore da Mezzanotte (inizio del nuovo giorno) fino a Mezzogiorno (inizio del pomeriggio); le ore antimeridiane (AM);

- 12 ore da Mezzogiorno alla Mezzanotte successiva; le ore postmeridiane (pomeridiane; PM).


Per questo la meridiana 《alla francese》 sulla facciata del Castello di Pizzoli, indica le 《 XII 》(《ore 12》) in corrispondenza del Mezzogiorno.


Sul lato destro della facciata (fig. 2), invece, abbiamo una meridiana che segna l'ora italiana antica, e infatti il Mezzogiorno corrisponde alle ore《18》, ossia 18 ore trascorse dal tramonto del giorno precedente.

Una meridiana dello stesso tipo (ora italiana antica) si trova anche sulla facciata est del medesimo Castello.


Al centro del quadrante tutte e tre le meridiane hanno una linea obliqua che taglia la linea verticale dei Solstizi: questa linea obliqua indica la 《linea degli Equinozi》, ossia la linea che indica l'altezza del Sole in questi due periodi dell'anno (Equinozio di Primavera, punto d'Ariete, 20-21 marzo, ed Equinozio d'Autunno, punto della Bilancia, 22-23 settembre) e li collega fra loro. 

Nei giorni intorno agli Equinozi le ore naturali (diurne e notturne) e quelle degli orologi hanno la stessa durata, circa 60 minuti, e l'ombra dello gnomone tocca la linea di Equinozio a Mezzogiorno, quando raggiunge l'altezza massima di quei periodi.

Lungo la linea che indica il Mezzogiorno (《18》) si incrociano la linea obliqua degli Equinozi e quella verticale dei Solstizi.


Al di sopra della linea degli Equinozi è raffigurato il segno del Capricorno, che indica il Solstizio d'Inverno, 21-22 dicembre, quando il Sole raggiunge l'altezza minima al Mezzogiorno; e per questo l'ombra dello gnomone tocca la parte alta della meridiana (con il Sole basso invernale, infatti, la meridiana viene illuminata completamente). 

Nei giorni intorno al Solstizio d'Inverno, le ore diurne naturali sono più corte rispetto a quelle degli orologi (meno di 60 minuti l'una).


Al di sotto della linea degli Equinozi, invece, è raffigurato il segno del Cancro (granchio) che indica il Solstizio d'Estate, 20-21 giugno, quando il Sole raggiunge il punto più alto sull'orizzonte al Mezzogiorno naturale (pressappoco intorno alle 13,00 ora legale, con oscillazioni quotidiane in più o in meno); per questo, con il sole più alto, i raggi vanno a illuminare la parte più bassa della meridiana e l'ombra dello gnomone tocca la linea retta del Solstizio nella parte bassa del quadrante.


Il funzionamento è lo stesso per tutte e tre le meridiane che vediamo sul Castello Dragonetti-de Torres: due (una in facciata e l'altra a est) utilizzano le ore italiane antiche, l'altra le ore francesi.

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In generale, lo stesso discorso vale per tutte le meridiane con questa struttura.


Nota. In alcuni casi, come la meridiana sulla destra della facciata di San Vito a L'Aquila, i segni zodiacali vengono indicati in forma simbolica, ossia con il loro simbolo stilizzato.

Nelle meridiane come quelle del Castello Dragonetti-de Torres a Pizzoli, i segni zodiacali vengono raffigurati 《al naturale》.

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2 - L'araldica

Il secondo dettaglio, invece, è di tipo araldico.


Nell'araldica ecclesiastica contemporanea uno dei principali segni distintivi del blasone (stemma) di un cardinale è il numero delle nappe (fiocchi), che pendono 《a piramide》 dai due lati del galèro (un cappello ecclesiastico 《a disco》 dalla forma particolare, con una 《cupoletta》 al centro).

Per i cardinali le nappe sono 15 per lato, quindi 30 in tutto.

E il colore del galèro è rosso porpora, distintivo dei cardinali.

L'uso del galèro rosso con le nappe, nei blasoni cardinalizi, è attestato dal XIV secolo circa e si afferma nel corso del XV secolo.


Eppure, se osserviamo il blasone del cardinale Cosimo de Torres, fuori e dentro il castello di Pizzoli, ci accorgiamo che le nappe sono 6 per lato, 12 in totale, come negli stemmi dei Vescovi non cardinali, ad esempio.

Nel caso di Cosimo de Torres, a prima vista, ci rendiamo conto che si tratta di un cardinale soltanto perché lo leggiamo sull'architrave della finestra centrale al piano nobile (fig. 4), nonché in altri ambienti del complesso, e perché vediamo il colore rosso del galèro in un blasone dipinto all'interno del Castello (fig. 3).


Quindi la domanda è:

perché 12 nappe (6 per lato), anziché 30 (15 per lato)?

Il motivo ce lo spiega, per esempio, l'Istituto Araldico e Genealogico Italiano (IAGI):

I fiocchi non erano definiti; così, nel tempo, si possono osservare cappelli cardinalizi con uno, tre, quattro o sei fiocchi per lato, al termine dei cordoni. Il numero dei fiocchi diviene, d’uso comune, disposto in quindici per parte, in cinque ordini, di 1, 2, 3, 4 e 5, sotto il pontificato di Pio VI (1775-1779) e confermato nel 1832, con il Decreto della S. Congregazione Cerimoniale del 9 febbraio, dove si recita che si mantenga il numero dei fiocchi, da collocarsi per ciascuno dei due fianchi dello stemma degli eminentissimi padri cardinali, portato a quindici da non molti anni, e sia a tutti proibito qualunque numero ad esso superiore.》(G. ALDRIGHETTI, Araldica ecclesiastica, in http://www.iagi.info/l-araldica-eclesiastica/ ).


Quindi, al tempo del cardinale Cosimo de Torres (Cinquecento-Seicento) il numero delle nappe era variabile, poiché non era stato ancora fissato a 15 per lato, come stabilì poi papa Pio VI Braschi, pontefice dal 1775 al 1799.


All'interno dell'arme di Cosimo de Torres, troviamo le 5 torri 《parlanti》 del casato di origine del cardinale, nobiltà di origine spagnola, ascritta al patriziato romano nel XVI secolo e poi a quello aquilano nel XVIII secolo; per questo Giovan Battista di  Crollalanza, nel suo Dizionario storico-blasonico li elenca come 《Torres (de) di Aquila》 e descrive così la loro arme nobiliare:

Di rosso, a cinque torri d'argento, ordinate in croce di Sant'Andrea》(in fig. 3 vediamo le torri nella versione colore《oro》).

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Lo stretto legame tra il cardinale de Torres ed Aquila, in particolare con il castello fondatore di Pizzoli, si manifestò anche alla sua morte, quando l'aquilana Accademia dei Velati lo commemorò con la pubblicazione di alcuni componimenti poetici:

A l'Aquila, nel cui vicino feudo di Pizzoli si recava spesso e il cui castello aveva fatto restaurare, la sua morte fu celebrata con la pubblicazione, nel 1642, di alcune poesie degli Accademici Velati, raccolte da G. Floridi.》 (dal lemma 《DE TORRES, Cosimo》, di P. MESSINA, in Dizionario Biografico degli Italiani - Treccani, 1991; volume 39:

https://www.treccani.it/enciclopedia/cosimo-de-torres_%28Dizionario-Biografico%29/  )



Mauro

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Sul tema degli orologi vedi anche il post precedente:

https://pianetalaquila.blogspot.com/2022/05/gli-orologicontadinie-il-quadrante-6-ore.html?m=1



martedì 3 maggio 2022

GLI OROLOGI《CONTADINI》E IL QUADRANTE 《A 6 ORE》

Brisighella (Ravenna):
torre dell'orologio con quadrante a sei ore (metà XIX secolo).
(Fonte immagine: Pagina Facebook 《Condifesa Ravenna》
https://www.facebook.com/CondifesaRavenna/ )


Paganica (L'Aquila):
quadrante della tipologia 《a sei ore》
sulla chiesa di Santa Maria al Presepe.

(Foto: Fernando Rossi)


L'Aquila, chiesa di San Francesco in contrada Cianfarano:
campanile con orologio a quadrante di 24 ore (due corone di 12 ore ciascuna).

(Foto: Eleonora Gallo, 2020)




GLI OROLOGI《CONTADINI》E IL QUADRANTE 《A 6 ORE》


Da Paganica a Roma, da Fontecchio a Montereale, a Brisighella, e in tanti altri luoghi: un modo diverso di contare le ore, testimonianza da preservare di una cultura con ritmi differenti rispetto a quelli della nostra età contemporanea; una cultura più sincronizzata, per necessità, con i ritmi naturali.
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Per molti secoli in gran parte d'Italia (dal XIII secolo circa), è stato ampiamente vigente il sistema orario all'italiana (anche 《ora italica》), ossia il conteggio delle ore del giorno basato sull'alternanza naturale tra dì e notte: si trattava sempre di 24 ore ma partendo dal tramonto.

Questo orario all'italiana era l'evoluzione dell'orario utilizzato in età romana e fino appunto al XIII secolo circa. 

L'orario più antico (romano) era basato sulle 《ore ineguali》: ogni ora era più o meno lunga a seconda della stagione e della latitudine, poiché le ore di luce e quelle di buio erano divise per la durata effettiva del dì e della notte.
Per questo, come s'intuisce, nel periodo estivo le ore diurne erano più lunghe dei 60 minuti normali, mentre quelle notturne erano inferiori ai 60 minuti. Ovviamente accadeva il contrario nel periodo invernale.

Nel XIII secolo, appunto, con i primi orologi meccanici, si adottarono le 《ore uguali》, di 60 minuti ciascuna.
Il nuovo giorno, però, iniziava sempre al tramonto: più precisamente con il suono dell'Ave Maria dopo il calar del Sole, e i rintocchi delle campane scandivano lo scorrere della giornata.

E partendo dall'Ave Maria, la giornata era divisa in quattro parti da 6 ore ciascuna.


Con l'arrivo di Napoleone Bonaparte in Italia (fine Settecento e inizio Ottocento), ma in alcuni casi già  prima, l'ora italiana antica fu gradualmente sostituita dall'ora francese (detta anche 《ora oltremontana》), che invece prevedeva la divisione del giorno in due parti, da mezzanotte a mezzogiorno (12 ore antimeridiane - AM) e da mezzogiorno a mezzanotte (12 ore postmeridiane, pomeridiane - PM).
Per questo molti orologi furono sostituiti, e dai quadranti a 6 ore si passò a quelli a 12 ore.


Tuttavia, soprattutto nei paesi, dove prevaleva l'attività contadina, l'uso degli orologi a 6 ore e dell'ora italiana antica proseguì almeno per tutto l'Ottocento poiché rappresentava una scansione della giornata più in sincronia con i ritmi della vita contadina, considerando che il lavoro nei campi doveva necessariamente concludersi con il tramonto e considerato anche che le case non erano ancora illuminate dalle luci elettriche.
Per questo era più utile un conteggio delle ore basato sull'alternanza luce-buio.

Un metodo utile, in ogni caso, anche per gli artigiani delle città, fin quando non iniziò a diffondersi l’illuminazione elettrica interna.

Sulla base di questo sistema 《contadino》, molti orologi meccanici installati su torri civiche o campanili, avevano un quadrante che segnava 6 ore, poiché - come già accennato - il giorno era suddiviso in quattro parti da sei ore ciascuna, partendo appunto dall'Ave Maria dopo il tramonto.
A prescindere dalle stagioni, il punto fermo era il mezzogiorno che, sia d'Estate, sia d'Inverno, giungeva sempre nello stesso momento della giornata (con piccoli scarti di alcuni minuti, in più o in meno), quando il sole culminava in direzione Sud.

Gli orologi andavano ovviamente regolati quasi quotidianamente, per adattarli alle variazioni del tramonto, tanto che esistevano delle persone incaricate stabilmente per svolgere questo compito.

Ad esempio, lo studioso Fernando Rossi riferisce che nell'Ottocento a Paganica il tecnico che regolava l'orologio era dipendente fisso del Comune paganichese, oltre al Segretario Comunale, come risulta dai documenti storici dell'allora Intendenza di Provincia (prima dell'Unità d'Italia). Inoltre, sempre a partire dall'Ottocento, diventò importante anche il conteggio dei quarti d'ora, oltre che dell'ora intera.

Ancora oggi, diverse chiese e torri in tutta Italia, scandiscono le ore diurne con suoni brevi ogni 15 minuti e un suono 《maggiore》 ogni ora.


Un sistema del genere può sembrare complicato a noi contemporanei poiché i nostri ritmi sono diversi e per questo usiamo suddividere il giorno in 24 ore da 60 minuti ciascuna, per tutto l'anno, partendo dalla Mezzanotte.
Nella civiltà contadina, invece, l'altro sistema era molto pratico poiché si trattava di una Società in cui il tempo era basato sul lavoro nei campi e sulle preghiere della giornata, un po' come per le ore che scandivano le attività dei monaci, le cui giornate erano suddivise sulla base dei diversi momenti di preghiera tra un'attività e l'altra.


Nel XX secolo si arrivò infine anche al sistema delle 24 ore, che caratterizza più o meno tutti i dispositivi digitali odierni, anche se rimane in uso contemporaneamente il sistema a 12 ore, diviso in AM e PM.
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A L'Aquila abbiamo un bell'esempio di quadrante a 24 ore sulla torre del campanile di San Francesco in Cianfarano, nota come Cappella Cianfarano, sorta nei primi del Novecento come cappella privata dell'allora villino Camerini: il quadrante di questa bellissima chiesina è formato da una prima corona di 12 ore in numeri romani (da I a XII) e da una seconda corona più esterna in numeri arabi (da 13 a 24).


Sempre a L'Aquila abbiamo anche un esempio dei due sistemi, all'italiana e alla francese.
Sulla bella facciata della chiesa di San Vito alla Rivera, in largo Tornimparte (Borgo Rivera) possiamo distinguere due meridiane: quella a sinistra con il conteggio 《all'italiana》 (o italico), quella a destra con il conteggio 《alla francese》 , basato sull'intervallo mezzanotte-mezzogiorno.
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Tornando al sistema dell'ora italiana antica, ancor oggi troviamo quadranti di orologi che segnano sei ore, principalmente nei borghi, ossia dove l'industrializzazione di massa della Società arrivò pienamente soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale.


Nel comprensorio aquilano abbiamo, per esempio, quadranti a sei ore sulla torre di Montereale, sulla chiesa di Santa Maria al Presepe (del Castello) a Paganica, sulla torre civica di Fontecchio.

Un orologio a sei ore è presente poi sulla 《Torre del Mascherino》 (o Mascarino) nel Palazzo del Quirinale a Roma, residenza estiva pontificia, poi residenza ufficiale dei Re d'Italia e oggi residenza ufficiale dei Presidenti della Repubblica Italiana.
Un altro esempio di quadrante a sei ore, molto bello, si trova sulla torre dell'orologio di Brisighella (Ravenna), installato nel 1850, e quindi molto dopo rispetto all'introduzione napoleonica del quadrante a 12 ore.



Mauro

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Riferimenti sitografici per approfondire (URL consultati in data 03/05/2022):


https://www.imolafaenza.it/luogo/torre-dell-orologio-brisighella/


https://www.treccani.it/enciclopedia/ora_%28Enciclopedia-Italiana%29/


https://www.treccani.it/enciclopedia/ora/


http://www.carnesecchi.eu/tempo.htm


https://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/osservatore_romano_giallo_misurazione_ore_passato-573514.html


https://www.gapers.it/2019/10/lantica-ora-italiana-e-i-suoi-vantaggi/


https://www.romasegreta.it/trevi/piazza-del-quirinale.html


https://www.treccani.it/enciclopedia/breviario



mercoledì 27 aprile 2022

LA 《FONTE GRANDE》, IL VALORE DELL'ACQUA

 

Fig. 1
(Foto: Marta Vittorini, 2022)

Fig. 2
(Foto: Marta Vittorini, 2022)


Fig. 3
(Foto: Marta Vittorini, 2022)



LA 《FONTE GRANDE》, 

IL VALORE DELL'ACQUA


《QUEST'ACQUA / 

PER INDEFESSO E GENEROSO LAVORO /

DA LONTANE SORGENTI RACCOLTA / 

FE' PAGO UN DESIDERIO DI SECOLI.


PER VIRTÙ D'INGEGNO MOLTIPLICATA SUA FORZA MOTRICE /

AVANZÒ LE SPERANZE DEGLI AVI.


MDCCCLXXVI [1876]》

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Un bel post sull'importanza dei pozzi e sulla fatica che costava scavarli (  https://www.facebook.com/293715641813/posts/10158906988736814/ ) , pubblicato alcuni giorni fa nella pagina Facebook 《La campagna appena ieri》, fa riflettere ancora una volta su quanto fosse tutt'altro che scontato avere l'acqua corrente nelle case come invece è possibile per noi oggi. 

E fa riflettere su quanto dobbiamo essere attenti a non sprecarla, soprattutto in quest'epoca di magra.


Bella anche, nello stesso post, la citazione del proverbio cinese: 《Chi prende l'acqua da un pozzo, non dovrebbe dimenticare chi l'ha scavato》.

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Ed ecco quindi che la costruzione di una grande e bella Fonte pubblica, alimentata da una condotta, con acqua fresca e potabile e relativi lavatoi e abbeveratoi (Fig. 3), era un grande evento per tutta la comunità, tanto da essere celebrata come una grande opera (e tale era) con tanto di iscrizione in epigrafe (Figg. 1-2).


Nel  caso specifico siamo a Barisciano, popoloso borgo di montagna del Contado aquilano, a circa 20 km a est-sud-est di L'Aquila capoluogo, e tra i maggiori Castelli fondatori della nostra città:

nel 1876, il Comune di Barisciano inaugurò questa bella fonte, detta Fonte Grande, un punto di riferimento fondamentale per la gran parte degli abitanti che, con le tradizionali conche dovevano uscire di casa per andare a prendere  l'acqua fresca, così come doveva essere fondamentale per agricoltori e allevatori.

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Ancora una volta la Storia, attraverso le sue testimonianze immateriali e materiali, ci indirizza nelle scelte del presente.

D'altra parte la parola 《monumento》, come lo è oggi la Fonte Grande, deriva dal latino monumentum (=ricordo, monumento), derivante a sua volta dal verbo monere (=ammonire, ricordare).


Mauro



lunedì 25 aprile 2022

QUEL MURALE A BARISCIANO: IL FILO CONTINUO DELLA STORIA

 

(Foto: Marta Vittorini, 2022)


QUEL MURALE A BARISCIANO: 

IL FILO CONTINUO DELLA STORIA


A Barisciano (L'Aquila), uno dei maggiori castelli del Contado aquilano fondatori della nostra Città, un capolavoro pittorico arricchisce la centrale Piazza del Mercato, in Via Vetulasio.

Si tratta di un murale opera dell'artista bariscianese Callisto Di Nardo, commissionato nel 2018 dalla locale associazione culturale 《Il Sito》.


Realizzato secondo la tecnica detta 《trompe-l’œil》 (=inganna l'occhio), consistente nella creazione di effetti tridimensionali, di profondità, quasi 《iperrealisti》 in certi casi.


Esprimo di seguito le mie personali impressioni ammirando questo splendido dipinto paesaggista e, a mio avviso, magnificamente 《iperrealista》.

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Barisciano (L'Aquila) -

🎨Che gradevole stupore osservare quel murale in Piazza del Mercato, nel cuore del borgo: 

è meravigliosamente inserito nel contesto.


🌤️ Una profondità ariosa che espande lo spazio fisico verso una spazialità pittorica notevole.

Stupendamente e armonicamente variegato nei colori, senza eccessi disturbanti nelle tonalità, né contrasti stridenti. 

Unisce tradizione e contemporaneità senza stacchi bruschi, esprimendo il concetto della Storia come filo continuo attraverso i tempi.


Le vedute tra le arcate si compenetrano, accomunate dallo sfondo unitario che sfuma verso una sorta di cenno metafisico nei volumi degli edifici accennati a sinistra. 


I personaggi stessi fanno da filo conduttore tra un'arcata e l'altra, e tra lo spazio dipinto e quello reale, in una narrazione continuativa: 

le signore che lavorano a maglia, le galline sul lastricato, il signore che suona l'organetto, il gatto placidamente adagiato sul muretto, il mandorlo fiorito, la cima del verde cipresso più in fondo, dietro alcuni edifici simbolo di Barisciano, tra i quali San Flaviano al centro con il robusto campanile.


Piccola curiosità. Un po' a sinistra del gatto si nota anche un piccolo 《inserto》 del muro reale, con la scritta 《ENEL》 che si camuffa bene tra il selciato dipinto dei gradoni della cordonata, integrando oggetto materiale e spazio figurato.


In primo piano la signora con la conca unisce la scena destra con quella centrale  aperta sull'ampia piazza con cordonata (una scalinata con gradoni bassi raccordati da un 《cordone》 in pietra). Il cane che si alza con le zampette sulla colonna collega fra loro l'arcata centrale, l'arcata sinistra e il selciato reale in porfido.


Poi lo sguardo avanza verso i campi  sulla sinistra, con il Corno Grande che campeggia  armonicamente sullo sfondo, immerso in un leggero sfumato atmosferico.


Un viaggio nel tempo e nel linguaggio figurativo, all'interno dello stesso spazio. 

La visione d'insieme è armonica e unitaria, con un'abile fusione di sfumature stilistiche che arrivano fino al bel 《naïf》dei campi, accanto al già citato 《metafisico》 delle case a sinistra, e al paesaggismo realista d'insieme.


Poi, sempre a sinistra, quel cenno quasi di 《street art》 metropolitana,  nel lembo sollevato che svela un muro a mattoni. Davanti ai mattoni, il cippo miliare della Claudia Nova che richiama l'antichità romano-italica del territorio e chiude questo circuito spazio-temporale, invitando lo sguardo a ripetere il giro.


Una spazialità così vera che viene voglia di passare tra quelle arcate, attraversando il muro fisico un po' come fosse l'ingresso al 《binario 9 ¾》 nella saga di Harry Potter. 🧙🏼‍♂️ 🧙🏻‍♀️

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Un'opera che mi entusiasma tanto! 👍🏻



Mauro

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Sulla personalità artistica di Callisto Di Nardo vedi, per esempio:

https://ilblogdeicinturelli.wordpress.com/2021/04/25/i-panorami-di-callisto-di-nardo-2/

(URL consultato in data 25/04/2022)



sabato 23 aprile 2022

LA 《NAVE DA GUERRA》 CHE GETTA ACQUA PER SPEGNERE IL FUOCO

(Fonte immagine a risoluzione originale:
https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Giardini_vaticani,_fontana_della_galea_02.JPG#mw-jump-to-license )

 

LA 《NAVE DA GUERRA》 CHE GETTA ACQUA PER SPEGNERE IL FUOCO


Da una fontana 《romana》, un messaggio universale e senza tempo.

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Bellica pontificum non fundit machina flammas,
sed dulcem belli qua perit ignis aquam
(=La macchina da guerra dei pontefici non getta fiamme,
ma dolce acqua con cui estingue il fuoco della guerra).

Con questo stupendo distico del 1644, il cardinale Maffeo Barberini presentava e celebrava la splendida 《Fontana della Galera》 con gli stupendi giochi d'acqua del suo vascello (una galera, o galea appunto).

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La 《Fontana della Galera》: dove una galea - nave da guerra del passato - getta l'acqua dalle sue cannoniere.


Nei Giardini Vaticani, tra le molte meraviglie, ve n'è infatti una che si chiama 《Fontana della Galera》 (o 《Galea》) .


📌 Nata come peschiera sotto il pontificato di papa Giulio III Ciocchi del Monte, venne massicciamente rielaborata nel primo Seicento sotto il pontificato di papa Paolo V Borghese. Il progetto prevedeva anche una galea in metallo che fu collocata nella vasca nel 1621, all'inizio del pontificato di papa Gregorio XV Ludovisi.
Da questa galea, la nuova fontana prese il nome con il quale è nota tutt'oggi, 《Fontana della Galera》 appunto.


📌 La versione odierna della Fontana è frutto di un ulteriore importante rifacimento architettonico risalente al pontificato di papa Pio VI Braschi, durante il quale, inglobando e integrando la struttura preesistente, fu realizzata l'odierna mostra (facciata) di gusto classico con al centro la statua-personificazione del fiume Po, legata alla leggenda delle Eliadi, raffigurata nella nicchia centrale. La vecchia galera venne sostituita con una nuova, realizzata sul modello di quella precedente.

Per questo, nella Fontana odierna la galera è sormontata dalle tre stelle Braschi, il casato del romagnolo papa Pio VI, collocate rispettivamente una su ciascuno dei tre alberi della nave.
Le tre stelle compaiono anche sugli architravi delle nicchie laterali.
Sotto l'arme, un'epigrafe ricorda il rifacimento realizzato durante il pontificato di Pio VI, specificando che la Fontana originale fu edificata su commissione di papa Paolo V.


Restaurata nel 2007-2011, questo capolavoro si esprime in tutto il suo splendore, con la meravigliosa galea che getta l'acqua sul fuoco della guerra.


Mauro

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Per approfondire nei dettagli la storia della Fontana si consiglia la lettura di questo estratto:
(URL consultato in data 23/04/2022)

Vedi anche:
(URL consultato in data 23/04/2022)


Sull'arme di papa Pio VI, vedi ad esempio:
(URL consultato in data 23/04/2022)

Cronotassi dei Papi:
(URL consultato in data 23/04/2022)



domenica 10 aprile 2022

GERNIKA - STORIA E MEMORIA IN UNA MEDAGLIA

 

Fig. 1. 《Gernika 1937-1987


Fig. 2. 《Bonbaketaren - 50 Urteurrena


Fig. 3. 《Gernika-Lumoko Udala


《GERNIKA - STORIA E MEMORIA IN UNA MEDAGLIA》


Un dono ricevuto da bambino, del quale, crescendo, ho compreso il pieno significato storico e simbolico.

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Un medaglione commemorativo per il 50° anniversario del bombardamento di Gernika (Guernica in lingua spagnola), avvenuto il 26/04/1937, durante la guerra civile spagnola.

Il bombardamento venne effettuato dall'aviazione tedesca (Luftwaffe), in appoggio alla fazione franchista, e distrusse in gran parte la cittadina dei Paesi Baschi. Si salvarono alcuni edifici, tra cui la Casa comunale, dal forte valore simbolico per la storia del Popolo basco.

Questo evento tragico colpì particolarmente in molti per la sua violenza, anche da un punto di vista emotivo, compreso il celebre Pablo Picasso che sull'onda emozionale realizzò in soli due mesi il suo 《Guernìca》, opera pittorica fortemente drammatica che immortalò l'accaduto, rendendo nota la cittadina basca in tutto il Mondo e divenendo una sorta di 《manifesto》 figurativo contro la violenza delle guerre.

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Su un lato del medaglione (Fig. 1) si vede una colomba in volo recante un ramoscello d'ulivo, tradizionale simbolo di Pace.

In basso si leggono il nome della cittadina, Gernika, e le date del bombardamento e del cinquantenario (1937-1987).


Dietro la colomba l'immagine è bipartita: 

- nella metà sinistra è raffigurato un palazzo distrutto dal bombardamento;

- nella metà destra si riconosce il Gernikako Arbola (l'Albero di Gernika), situato accanto alla Casa comunale, dietro al quale si intravede il portico neoclassico che si apre sul giardino.


L'Albero di Gernika ha un forte valore per le popolazioni biscagline poiché, fin dal XIV secolo, sotto di esso si riuniva l'assemblea generale dei sovrani di Biscaglia che vi prestavano giuramento (vedi anche《fueroshttps://www.treccani.it/enciclopedia/fueros/ ).

Si tratta di una quercia che dal Trecento in poi campeggia nel giardino della Batzarretxea (Casa dell'Assemblea). Oggi se ne vede il quinto esemplare, nato nel 2000 e piantato nel 2015. Del secondo esemplare, vissuto tra Settecento e Ottocento, rimane il grande tronco custodito accuratamente sotto un alto tempietto circolare neoclassico, situato nelle vicinanze.

In segno di continuità, la quercia odierna è 《figlia biologica》 della terzultima in ordine cronologico, poiché nata da una sua ghianda.

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Torniamo al medaglione commemorativo.

Sull'altro lato (Fig. 2) sono raffigurate due grandi foglie di quercia che richiamano appunto l'Albero-simbolo situato accanto alla Casa comunale (《Casa de Juntas》 in lingua spagnola).

In alto si leggono due parole in lingua basca:

-BONBAKETAREN (bombardamento);

-URTEURRENA (anniversario), preceduta dal numero 50.

Quindi: 《50° anniversario del bombardamento 》.

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Infine (Fig. 3), alla base del medaglione si legge:

GERNIKA-LUMOKO UDALA》, ossia 《Municipio di Gernika-Lumo》 (Guernica y Luno in lingua spagnola).

A destra è collocato uno stemma della cittadina, raffigurante al centro l'Albero di Gernika (Gernikako Arbola / Árbol de Gernika) e, sotto di esso, la denominazione municipale che abbiamo letto poc'anzi: 

Gernika-Lumoko Udala, appunto (Municipio di Gernika-Lumo).



Mauro

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Qualche spunto sitografico 

(URL consultati in data 10/04/2022):


https://www.barcelo.com/guia-turismo/it/spagna/bilbao/cosa-vedere/gernika-bombardamento-pace/


https://www.unadonnaconlavaligia.com/destinazioni/spagna/guernica-la-citta-santa-dei-baschi/


https://www.treccani.it/enciclopedia/guernica-y-luno


https://it.m.wikipedia.org/wiki/Gernikako_Arbola


https://www.treccani.it/enciclopedia/fueros/



sabato 2 aprile 2022

IL CHIASSETTO DEGLI ORTOLANI

Un particolare del Chiassetto degli Ortolani
(Foto: Mauro Rosati, 2017)


 


29 marzo 2017

Il《Chiassetto degli Ortolani》 (Quarto di San Giovanni).

Uno dei caratteristici chiassetti aquilani, tornato a vivere dopo i lavori di ricostruzione.


Il chiassetto si dirama da via degli Ortolani e, secondo alcune versioni, deve il suo nome alle abitazioni degli ortolani che lavoravano alla Rivera; ma forse anche perché questa è la via più diretta tra la Piazza del Mercato e gli orti della Rivera.


Il Chiassetto degli Ortolani comunica da un lato con Via Fontesecco e dall'altro - come accennato - prosegue in Via degli Ortolani, risalendo e costeggiando il Colle del Belvedere lungo un percorso di vie e vicoli che conduce fino in Piazza Duomo (Piazza del Mercato).


Oggi il chiassetto ospita da un lato una struttura ricettiva e dall'altro un (ben) "Rimediato" spazio teatrale e anche luogo di incontro per tante altre attività culturali.


Poco più avanti, percorrendo Via Fontesecco, attraverso l'omonimo e centrale quartiere residenziale, tra abitazioni e studi professionali, si giunge nella bellissima Piazza Fontesecco, caratterizzata su lato est da palazzi storici che dialogano con la caratteristica fontana dalla quale prendono il nome l'area e la sua via principale.

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Nota onomastica. I cittadini più maturi di età ricordano che gli abitanti del quartiere di Fontesecco chiamano questo chiassetto 《la ruella》, ossia 《la piccola rua》 in riferimento alla caratteristica del chiassetto, stretto e in leggera pendenza.

Il vocabolo 《rua》- variante di 《ruga》- ha etimologia in comune con il 《rue》 francese (e non solo).

La 《rua》 sta ad indicare sia un certo tipo di strada percorribile, con determinate caratteristiche, tipica soprattutto delle zone più antiche dei centri abitati, sia quegli spazi rettilinei molto stretti, tra un palazzo e l'altro, che venivano utilizzati come scoli per il deflusso delle acque sporche e piovane quando le città e i paesi non avevano sistemi fognari. Nelle rue, inoltre, si trovano spesso anche degli archetti di contrasto che fungevano da 《controventamenti》 antisismici tra un palazzo e l'altro.


Mauro



giovedì 24 febbraio 2022

CARDO SELVATICO, CARDO 《SANTO》

 

(Foto: Paola Cinque, 2022)


CARDO SELVATICO, 

CARDO 《SANTO》


Una delle molte varietà di cardo.

Il cardo, nelle sue varianti, è diffuso in EurAsia particolarmente nell'area mediterranea e in Asia centrale.


In questo caso (foto in alto) si tratta di un cardo selvatico a fusto basso, a forma di stella, con infiorescenza centrale circondata dalle caratteristiche foglie a raggiera.

In alcune zone viene chiamano popolarmente il 《cardo santo》 perché la sua forma ricorda un'ostia (l'infiorescenza) all'interno, circondata dai raggi come in un ostensorio.


Secondo alcune ipotesi, questa tipologia di cardo potrebbe essere stata d'ispirazione alle maestranze medievali che lavorarono agli stupendi motivi fito-floreali a rosa che troviamo su molti tra gli amboni abruzzesi più belli.


Non essendo un botanico, non entro nei dettagli delle classificazioni scientifiche, particolarmente complesse e basate anche su piccole differenze.


L'esemplare nell'immagine in alto (foto di Paola Cinque) è stato fotografato pochi giorni fa sull'altopiano chiamato Piano di Fugno (quota circa 1400 metri di altitudine), lungo il versante sud-occidentale del Gran Sasso d'Italia, non lontano dal borgo di Filetto (L'Aquila) uno dei castelli fondatori della città dell'Aquila.


Mauro



domenica 20 febbraio 2022

《MANDORLO....! MANDORLO...!》

Fiori di ciliegio (tipologia Prunus avium).
Cosa ha a che fare il ciliegio con il mandorlo?
Lo vediamo più avanti in questo post! :-)

(Foto: Mauro Rosati; fine marzo 2021)

 

《MANDORLO....! MANDORLO...!》


Febbraio e il mandorlo: i proverbi climatici di stagione, ereditati dalla cultura contadina e utili ancora oggi.

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1 - I proverbi climatici dei nostri contadini


Se febbraru non febbrarea,

marzu e abbrile lo reparea!


(Se febbraio non fa il febbraio, 

ci pensano marzo e aprile a rimediare)


Traduco adattando perché non esiste quasi mai una corrispondenza alla lettera tra una lingua e l'altra (es. in lingua italiana ufficiale non esiste il verbo 《febbraiare》, ossia 《fare il febbraio》, inteso come neve e freddo invernale).


Il proverbio, in uso ancora oggi, ha origini contadine ed esprime preoccupazione quando febbraio è troppo mite con le temperature.

Temperature troppo 《generose》 a febbraio, infatti, provocano un risveglio anticipato della Natura, compresi alberi da frutto e varie colture che poi vengono 《cotti》dalle successive gelate, ancora possibili fino ad aprile, soprattutto qui nelle zone montane.

La conseguenza è una carenza di prodotti da molte di queste colture.

Quindi il 《riparare》 di marzo e aprile è inteso come il danno provocato da nuove e normali gelate dopo un mese di febbraio troppo mite, considerato che siamo ancora nel pieno dell'Inverno.


(Area linguistica: Appennino centrale reatino-aquilano)

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2 - I proverbi climatici dei nostri contadini


Al proverbio di febbraio se ne collega concettualmente un altro, sempre di origine contadina:


Mandorlo, mandorlo, non fiorire,

che arriva marzo e te n'hai da pentire.》


In questo caso si immagina un 《appello》 metaforico al mandorlo affinché non anticipi la fioritura.

Nelle nostre zone montane il mandorlo fiorisce generalmente intorno alla metà di marzo, qualche volta un po' prima, altre volte un po' dopo, a seconda delle annate.

Quindi, se il mandorlo fiorisce troppo in anticipo (prima di marzo), magari proprio a causa di un febbraio mite, il rischio concreto è quello di gelate successive che 《cuociono》(《'ncotte》) le fioriture.

Un altro albero da frutto molto esposto al rischio di fioriture precoci è, per esempio, l'albicocco.

D'altra parte il mandorlo e l'albicocco appartengono alla stessa famiglia, quella del 《Prunus》, che comprende diverse altre piante da frutto come il ciliegio, il susino, il pesco.


(Area geografico-linguistica: Appennino centrale reatino-aquilano)


Mauro