lunedì 29 marzo 2021

«Cultura» e «Coltura» delle lingue

 

«Cultura» e «Coltura» delle lingue

 

 

È sempre un piacere leggere e ascoltare Corrado Augias. Non solo per la sua capacità narratoria.

È un piacere ascoltare il suo italiano dal lessico «ricco» ma senza nessun esibizionismo intellettuale:

semplicemente una persona particolarmente colta che sa ancora parlare la lingua italiana, nella sua varietà e nella sua ricchezza lessicale.

E poi ho sempre apprezzato il suo ateismo rispettoso: pur essendo ateo non si è mai espresso in maniera offensiva nei confronti dei credenti - almeno che io ricordi -. Al contrario, ha sempre avuto un approccio a tutto campo, anche nello studio delle Religioni, che ha sempre trattato con l'onestà intellettuale di un vero Storico, riportando i fatti, i punti di vista, le versioni, senza mai ostentare la sua personale posizione.

Diversamente da quanto fanno alcuni sedicenti intellettuali e sedicenti atei, che offendono pubblicamente i credenti per manifestare platealmente il loro punto di vista - seppur legittimo; legittimo il punto di vista, non le offese -.

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Tornando alla lingua italiana, è sempre più difficile leggere e ascoltare intellettuali con una tale padronanza della lingua.

Tra i pochi che mi vengono in mente c'è il giovane Diego Fusaro, poco meno che trentottenne - filosofo, saggista e docente universitario - già da diversi anni sulla scena intellettuale italiana.

Ho avuto modo di ascoltarlo direttamente in occasione di un incontro pubblico qui nella nostra città: ricordo un’assiepata platea di ventenni e di trentenni - e anche liceali -, tutti incuriositi e attenti al suo particolare e ricercato uso della lingua italiana, al di là del fatto che comprendessero a pieno - o meno - ciò che diceva.

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In entrambi gli esempi, sia per il
«veterano» Augias sia per il più giovane Fusaro - a prescindere dal fatto che la mia opinione possa essere concorde o discorde su ciò che dicono e scrivono -, apprezzo il fatto che siano tra i pochi che riescano ancora a comunicarci la ricchezza e la varietà lessicale della lingua italiana.

E allo stesso tempo, però, mi rendo conto della situazione «agonizzante» della nostra lingua nazionale:
non solo per la povertà del nostro linguaggio a tutti i livelli sociali (a cominciare dal sottoscritto) - usiamo una ridottissima percentuale del lessico disponibile - ma anche per l'incapacità di assimilare i neologismi (nuove parole) che arrivano dalle altre lingue.

Recentemente riflettevo sul neologismo «gentrificazione», uno dei pochissimi casi di termini forestieri che - in tempi relativamente recenti - siamo riusciti ad assimilare in maniera «attiva».


Per la gran parte, invece, buio totale.

 


Peggio ancora:

da qualche anno a questa parte stiamo sostituendo termini che già usavamo nella lingua italiana, rimpiazzandoli con forestierismi (prevalentemente anglo-sassoni). 

Mi risparmio l'elenco perché sarebbe veramente lungo e penoso.

In pratica, stiamo passando da una «lingua» a uno «slang» - ecco appunto! - ossia un gergo particolare, un insieme di espressioni, in questo caso non classificabile con precisione: non è italiano ma neanche inglese.

È qualcosa di diverso, di indefinibile: da alcuni anni si parla di «italiese»; ma questo sostantivo inquadra soltanto una parte del problema.

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E non parliamo poi dei dialetti e delle lingue d'Italia (napoletano, siciliano, lombardo e altre): se si coltivano ancora è soprattutto grazie all'opera meritevole di tanti scrittori, poeti, compagnie teatrali - e ora anche Musica, Cinema e TV - e tante altre iniziative spontanee che hanno come obiettivo la 
«coltura» dei dialetti in qualità di patrimonio immateriale delle nostre Comunità locali.

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Le cause di tutto ciò sono molte.

Tra i tanti colpevoli: alcune categorie «snob» di intellettuali e opinionisti da «salotti» televisivi e/o accademici, che ancora non riescono a chiudere i conti con il passato.



Ricordo fin da bambino le discussioni mediatiche sul tema.



- Creiamo un Ministero, o un Dipartimento a monitoraggio della lingua italiana (come accade normalmente in altri paesi democratici)?

- No!!!!! Non sia mai! Fascisti!!!!!



- Difendiamo i dialetti, coltiviamoli, riscopriamo i toponimi dialettali? Insegniamoli insieme alla letteratura italiana?

- No!!!!! Non sia mai! Ignoranti! Campanilisti! Provincialotti!!!!!

 


Ebbene, se coltivare la vitalità della propria lingua nazionale significa essere «fascisti», se coltivare e rivalutare i dialetti locali significa essere «provinciali»: fate pure!


Vuol dire che - in questo caso - si potranno considerare come complimenti, tenuto conto del valore della causa.

E vuol dire anche, però, che la mentalità dominante è rimasta indietro di almeno 75 anni.

Ancora non c’è l’obiettività del pensiero indipendente, libero da pregiudizi ideologici.

 

 

Mauro

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Sulla stessa tematica, vedi anche:

https://pianetalaquila.blogspot.com/2020/09/i-dialetti-lingue-vive-fortunatamente.html

domenica 28 marzo 2021

Da CET a CEST

 

Da CET a CEST



E così, con un giro di lancette a 360° in avanti, ci troviamo nuovamente e artificialmente «catapultati» sul fuso orario solare di Atene, Bucarest, Helsinki e tanti altri luoghi sulla stessa fascia di longitudine.


 

Da CET a CEST, appunto.



CET sta per Central European Time, ossia Orario del Centro Europa:

il nostro fuso orario naturale che condividiamo con Berlino, Copenaghen, e altre località.


CEST sta per Central European Summer Time, ossia Orario Estivo del Centro Europa:

un orario che, dal punto di vista pratico, corrisponde al fuso orario EET (Eastern European Time; Orario dell’Europa Orientale).

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Questo
«salto» forzato è chiamato «ora legale».


Un «salto» che in Italia viene percepito di meno da chi vive in Salento - molto a est - e di più da chi vive per esempio ad Aosta e Alpi italo-francesi - molto a ovest -: 

per queste ultime zone è un «salto» un pochino più lungo di un'ora effettiva.

Molto più lungo, invece, per Parigi e per la maggior parte della Francia.



Un «salto» che costringe il nostro orologio biologico ad adattarsi a un piccolo jet lag (sfasamento), come se avessimo viaggiato in aereo in direzione ovest-est.

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Un «salto» di cui - a conti fatti - beneficiamo principalmente nei mesi di aprilesettembre, quando quell'ora in avanti fa la differenza nel tardo pomeriggio.


Nei mesi estivi - invece - già da metà maggio praticamente non ce ne accorgiamo, perché le giornate sono talmente lunghe che - ora più, ora meno - la notte arriva ben oltre l'orario di cena.


A ottobre, poi, si ottiene addirittura l'effetto inverso, in generale e soprattutto nel nord-ovest d'Italia:
per esperienza diretta nella mia zona, e per racconti di chi vive nel Nord-Ovest, l'ora legale ad ottobre comporta che alle 07:15-07:45 del mattino sia ancora buio - soprattutto se è una giornata nuvolosa.


A metà ottobre l’Estate è finita da un pezzo però adottiamo ancora l’ora estiva?!

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Quindi - tolti una quarantina di giorni tra fine marzo e inizio maggio, e un'altra quarantina di giorni tra fine agosto e inizio ottobre - dov'è tutto questo beneficio socio-economico dell'ora legale?


Personalmente - dopo 25 anni - non l'ho ancora visto né capito.


Con 25 anni faccio riferimento al 1996, quando l'ora legale fu estesa fino a ottobre.


 

Mauro

venerdì 26 marzo 2021

26 marzo 1993 - Il cielo «arancione»

 

26 marzo 1993 - Il cielo «arancione»

 


Ricordo quel venerdì 26 marzo del 1993 - quantomeno ricordo quella data, se poi fossero il 25 o il 24 cambiava poco, anche perché ho potuto effettuare riscontri storici -.



Ero un bambino e frequentavo le Elementari.

Era una mattinata normale, a scuola con i miei compagni.


Non è accaduto nulla di particolare o anomalo quel giorno, tranne un dettaglio, un fenomeno che 28 anni fa sembrava eccezionale: era nuvoloso e piovigginava ma il cielo non era grigio; era di un forte colore variabile tra l'arancione e il rosa salmone.

Quel colore anomalo rendeva la luce sgradevole e surreale, sia all'esterno sia all'interno della nostra classe, una luce che sembrava quasi «soporifera».


In parole semplici, in quei giorni, correnti di Scirocco più forti del solito avevano portato in quota le sabbie del Sahara fin sull'Italia, a migliaia di chilometri di distanza.

Sull'Italia! E quindi anche sulla mia scuola, in un paese tra gli Appennini a 830 metri di altitudine.
Ho ricontrollato i dati storici pubblicati delle temperature, e venerdì 26 marzo 1993 era il primo giorno in cui le temperature massime si riabbassarono - con un brusco crollo - dopo 15 giorni più o meno
«alterati». Quella mattinata «arancione» doveva essere il «residuo» delle giornate precedenti. Quello che accade quando c’è un cambio brusco di correnti atmosferiche.


Capivo che si trattava di un fenomeno atmosferico, pur se all'epoca raro, per cui non ero spaventato.

Poi anche la maestra ci aveva tranquillizzato, anche perché il «baby-bulletto» di turno si divertiva a tormentare - con «la fine del Mondo» - le nostre compagne e i nostri compagni più spaventati.
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Oggi, a 28 anni di distanza, quel fenomeno raro sta diventando ordinario - già da 10-15 anni -.


A proposito di periferia del Sahara, infatti, lo Scirocco è diventato un vento molto più forte e prevalente di quanto non lo fosse allora.

Ormai non c'è mese dell'anno - Estate o Inverno che sia - in cui non si verifichi almeno un paio di volte quel fenomeno. Quel colore tra il giallo e l'arancio che tinge le nuvole e penetra dalle finestre con la sua luce alterata e disturbante; l'umidità dell'aria aumenta «a vista» - e anche la temperatura -, «trascinate» dalla fascia desertica tropicale.



Oggi sì che fa paura quell'aria giallastra che annuncia tempeste di Scirocco subtropicali; fa paura perché ci ricorda il disastro climatico in corso:

Scirocco che fa paura per la potenza delle raffiche di vento che provocano danni seri sulle zone costiere esposte a sud - con violente mareggiate - e in parte anche nelle zone montane;
Scirocco che fa paura per le piogge violente che provoca quando si scontra con le correnti fredde che
«cercano di respingerlo»; Scirocco che fa danni causando valanghe e sciogliendo anticipatamente la neve di stagione.

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Quel venerdì 26 marzo del 1993 pochi avrebbero immaginato che quel fenomeno raro, di lì a 15-20 anni sarebbe diventato la «normalità»; il cambiamento climatico era già in corso ma ancora poco percettibile:
Italia 
«trincea climatica»;

Italia «periferia nord del Sahara».

 

 

Mauro

domenica 21 marzo 2021

Gli «orologi della Natura»

 Gli «orologi della Natura»

Il mio orologio non ticchetta ma cinguetta

 


 

Sempre per rimanere in tema di «orologi», in questi giorni riflettevo su un altro tipo di «orologi», sui quali mi sono ri-sincronizzato - e particolarmente nei mesi recenti -.


 

Il mio condominio si trova in una zona residenziale nella prima periferia della città, a poche centinaia di metri dalle Mura, raggiungibili comodamente a piedi. E, in particolare, si trova in uno di quei quartieri dove città e campagna, e città e montagna, si intrecciano e convivono fra loro.


 

Per questo, fin da quando ci vivo, è sempre stato sede di una ricca fauna domestica e selvatica-«urbanizzata»; animali che vivono in simbiosi con l’animale più invadente e chiassoso che esista: l’Uomo.

E così, è normale vedere e sentire tanti uccelli: il più comune piccione - con le sue sfumature di piumaggio e il suo gorgheggio gutturale -, i passeri - che ogni tanto si affacciano zampettanti fino ai balconi -, il merlo, la ghiandaia, la gazza, la cornacchia. E poi, una stabile colonia felina di gatti semi-selvatici abituati a convivere con l’Uomo; e ancora: ricci, lucertole, gechi, fino a diverse varietà di insetti come l’ape, la mantide religiosa, il grillo, giusto per citarne alcuni.

Questa convivenza tra specie si può osservare un po’ in tutta la nostra città, dal centro alla periferia: ricordo fin dalla tarda infanzia, e tutt’oggi, scoiattoli nel Parco del Castello, ghiandaie sotto i Portici di San Bernardino; e, uscendo dalle mura, falchetti e mammiferi di vario tipo che – ogni tanto – attraversano la nostra città tra gli Appennini per spostarsi da una zona all’altra del nostro territorio.

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Ma avviciniamoci al dunque degli «orologi»!



A poche decine di metri dal mio condominio c’è un albero che fin da quando vivo qui è stato sempre «condominio naturale» di passeri cinguettanti, che nelle sere d’Estate offrono dei veri e propri concerti canori senza dover pagare il biglietto: basta sedersi fuori al balcone, rilassati, e magari con un buon libro tra le mani.

Dall’Autunno scorso, però, ho cominciato a osservarli con più attenzione e ho notato una cosa «banale» che però mi è diventata molto utile. O meglio: ho riscoperto una cosa «banale».



Quando mi metto a studiare, a scrivere o a lavorare, spesso mi trattengo fino a notte inoltrata: le cosiddette «ore piccole», e c’è un motivo ben preciso. Soltanto la notte, soprattutto dalle 22:00 in poi, mi restituisce una pace dei sensi che mi rende più produttivo in qualsivoglia attività intellettuale: dalla semplice lettura a un lavoro ben preciso.

Il giorno lo utilizzo di più per le attività manuali; mi deconcentra, disperde la mia attenzione. Anche per questo prediligo l’Inverno all’Estate, oltre che per le temperature ovviamente!



La sera acquisto tranquillità e concentrazione: pian piano si placano i rumori del condominio; pian piano non si sente più il via-vai delle auto di chi esce e di chi entra; il telefono comincia a tacere dopo un’intera giornata in cui spesso è fonte di ansie, di nervosismo, di arrabbiature.

Insomma, si raggiunge uno stato di benessere psico-fisico che – per esperienza diretta – equivale a quello di una spiaggia tranquilla alle prime ore dell’alba o nei primi pomeriggi del mese di Settembre; oppure al piacere di sedersi a leggere o a scrivere sulla panchina di un parco o di un giardino della mia città, nelle prime ore pomeridiane.

Questo mi porta ad essere più attivo proprio nelle ore in cui il mondo sembra fermarsi e tacere. E, ogni tanto, mi capita che le ore passino senza che me ne accorga, fino a superare le ore piccole e a spingermi sino alle quattro del mattino. A quell’ora, ovviamente, raccolgo «baracche e burattini» e me ne vado a «nanna», più che altro per «convenzione civile».


 

E dallo scorso Autunno, appunto, ho iniziato a osservare che i passeri di quell’albero vicino casa, iniziano a cinguettare proprio verso quell’ora: dopo due o tre volte che ho notato la cosa, non ho più avuto bisogno di guardare l’orologio.

Ormai, da molti mesi, sono loro il mio orologio notturno-mattutino: se mi trovo ancora all’opera è come se quei cinguettii mi dicessero: «Sono le quattro del mattino! È quasi l’alba! Che ci fai ancora sveglio?».

Se invece vado a dormire a un orario più «normale», mi capita di svegliarmi almeno una volta a notte: però non ho più bisogno di guardare l’orologio sul comodino. Mi basta aprire gli occhi: se fuori è buio e non sento cinguettare, vuol dire che non sono ancora le 4:00; se - invece - sento cinguettare e fuori è buio, vuol dire che siamo tra le 4:00 e le 4:40. Se c’è un po’ di luce, significa ovviamente che è più tardi.

Ho scritto un orario ben preciso: questi passeri, infatti, iniziano a cinguettare poco dopo le 4:00 e continuano per mezz’ora, quaranta minuti al massimo. Sono precisi e calibrati come se fossero un orologio vero e proprio: chissà, forse avvertono qualcosa - nella luminosità, o nella temperatura - che fa loro percepire l’avvicinarsi dell’alba. Cinguettano e poi smettono fino a quando non arriva l’alba vera e propria, e iniziano anche i rumori dell’«animale Uomo».

Un po’ come le onde marine durante la notte, che non disturbano ma «cullano», così anche quel cinguettare di tarda nottata non mi disturba.

Così come le onde marine, è una gradevole melodia.

Una melodia per addormentarmi, se faccio tardi. Un segnale orario, se mi sveglio presto.

In quest’ultimo caso è come se quegli uccellini mi dicessero: - «Puoi dormire ancora, ma il Sole sta per sorgere!» -.



Fra qualche giorno, con il passaggio all’ora legale, ci sposteremo di fatto artificialmente sul fuso orario di Atene, Bucarest, Helsinki. Per i nostri amici cinguettanti - invece - non cambierà nulla: semplicemente, quando li sentirò cinguettare dovrò spostare il mio pensiero un’ora avanti.


 

Mauro

sabato 20 marzo 2021

Veris Aequinoctium

Aequinoctium

 

Aequinoctium - Aequa Nox

12d - 12n / Iter: E>S>W


 

Oggi inizia la Primavera astronomica.


Nel suo movimento apparente (eclittica), la traiettoria del Sole interseca l’equatore celeste - ossia la proiezione immaginaria dell’Equatore terrestre nel cielo - . Questo punto di intersezione viene chiamato anche Punto di Ariete o Punto vernale (dall’aggettivo latino vernalis, che vuol dire «primaverile»).


La definizione Punto di Ariete deriva dal fatto che quando esso fu studiato (molti secoli fa), l’inizio della Primavera astronomica coincideva con l’«ingresso» del Sole nella costellazione dell’Ariete.

Oggi, l’inizio della Primavera corrisponde invece all’«ingresso» del Sole nella costellazione dei Pesci; questo spostamento è dovuto al fenomeno della Precessione degli Equinozi, un fenomeno lento ma costante a causa del quale – semplificando – la Primavera astronomica inizia ogni anno con circa 50,4 secondi di anticipo rispetto all’anno precedente (quindi l'Equinozio «precede» quello dell’anno prima).

Il passaggio nel Punto d’Ariete segna anche il passaggio del Sole dall’emisfero celeste australe all’emisfero celeste boreale - sempre nel suo movimento apparente -.

L’Equinozio di Primavera può essere considerato come l’inizio dell’«anno astronomico».



Sole allo "Zenith" sull'Equatore.

Il dì e la notte hanno la stessa durata mentre il Sole percorre un itinerario approssimativo da Est (dove sorge) ad Ovest (W; dove tramonta), passando ovviamente per il Sud (dove raggiunge il punto più alto della giornata).



 

Nella nostra città dell'Aquila, considerando come riferimento la latitudine approssimativa della Torre di Palazzo, il sole raggiunge oggi un'"altezza" massima di 47° 38' 46".


Nota 1. Sull'altezza del Sole agli Equinozi, nella nostra città, vedi anche:

https://pianetalaquila.blogspot.com/2018/09/bentornato-autunno.html?m=1 .

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Dal punto di vista climatico, invece, nella nostra zona la Primavera meteorologica inizia non prima della metà di aprile.

 

L’Inverno in corso è stato sicuramente più soddisfacente del disastroso inverno 2019-2020, che si era rivelato siccitoso, con temperature costantemente sopra il normale e fioriture troppo anticipate (già a febbraio) che sono state «bruciate» dalle gelate e dalla leggera neve di fine marzo.


Questo inverno 2020-2021 è stato finora più ricco di acqua e di neve, già da novembre e fino a tutto gennaio - anche se con molti alti e bassi termici -.

Febbraio invece si è rivelato più caldo del normale per il sesto Inverno consecutivo: ad eccezione di pochi giorni veramente invernali, la prima settimana e l’ultima decade di febbraio 2021 sono state caratterizzate da temperature massime fino a 11 gradi sopra il normale. I mandorli sono fioriti con un paio di settimane di anticipo: meglio comunque rispetto alla situazione di febbraio 2020 quando erano fiorite in largo anticipo anche altre piante da frutto.

Fortunatamente le precipitazioni di neve e di acqua di febbraio 2021 sono state lo stesso soddisfacenti e, insieme ai mesi precedenti, hanno contribuito a rimpinguare le falde acquifere che erano state «stressate» da 15 mesi di siccità – con precipitazioni scarse – da giugno 2019 ad agosto 2020 compresi.

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Per chi gradisse, concludo in musica con un breve estratto della “Primavera” di Antonio Vivaldi: https://www.youtube.com/watch?v=5Eaxcioiy2w

 


 

Mauro

giovedì 18 marzo 2021

Orologi! Che meraviglia!

Nell'immagine in alto: un orologio in materiale plastico a imitazione di cornice in legno e quadrante in vetro.
In questo caso, l'orologio riporta i numeri romani «moderni».

NotaNumeri romani «antichi» e numeri romani «moderni».

- Semplificando molto il discorso - per «moderni» si intendono quei numeri romani che ci sono giunti in eredità dagli umanisti del tardo Medioevo e del primo Rinascimento: sono simili ai numeri romani «antichi» ma con qualche differenza.

Per esempio: il numero 4 viene rappresentato come «IIII» per i Romani antichi (quattro volte uno), mentre diventa «IV» nella forma moderna (cinque meno uno). Entrambe le versioni sono corrette.

Lo stesso vale per il 9, che possiamo trovare come «VIIII» (cinque più quattro) per i Romani antichi, oppure come «IX» (dieci meno uno) nella forma «moderna».

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Paese che vai...orologio che trovi!

Un velocissimo tour riassuntivo - e non esaustivo - tra alcuni degli orologi pubblici della nostra città e dintorni.

E allo stesso tempo uno spunto per tornare ad apprezzarli e a guardarli con più attenzione.

Infine, per i lettori più curiosi, anche un invito a segnalare il loro orologio pubblico: quello preferito; quello che conoscono meglio.



Orologi! Li ho sempre amati, fin da bambino.

Dalla semplice e affascinante meridiana agli orologi digitali, passando per i «classici» meccanici a lancette!
Ricordo sempre con piacere una meridiana artigianale che realizzai a 15 anni su una tavoletta di masonite
«povera» (ritagliata dal fondo di una cassetta della frutta), applicando al centro un lungo chiodo che funzionava come gnomone.

Ce l'ho ancora.

I numeri delle ore sono rigorosamente romani! E anche l’anno di realizzazione è scritto in numeri romani.


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Gli orologi, dicevamo!

Mi piacciono tutti, anche se - appunto - ho una particolare predilezione per quelli con i numeri romani.


E non mi piacciono solo quelli da appartamento: amo vedere gli orologi pubblici funzionanti, nelle strade, sulle torri civiche, sui campanili delle chiese!

(Per «pubblici» intendo genericamente tutti quei grandi orologi visibili alla collettività.)

Per questo sono molto contento che con la ricostruzione della nostra città si stiano riattivando anche vecchi orologi pubblici che non funzionavano già prima del terremoto del 2009:

- che gioia veder funzionare l'orologio del Palazzo dell’Esposizione (Emiciclo) alla Villa Comunale, illuminato di notte;

- che gioia vedere il nuovo orologio sul campanile della chiesa Capoquarto di San Pietro a Coppito, ripristinato dall'impresa Marinelli di Agnone, che ha «colato» le nuove campane della torre ricostruita.

E poi, che bello veder funzionare di nuovo il famoso orologio
«Omega» sotto i Portici di Palazzo Federici, punto di riferimento per tanti Aquilani a partire dal periodo a cavallo tra gli anni '30 e i primi anni '40 del Novecento.

«Ci vediamo all'Omega!»: così si usava dire, come ricordava il prof. Alessandro Clementi in un incontro pubblico poco più di 10 anni fa, narrando un episodio della sua infanzia.

Oggi, già da molti anni, al posto della scritta «Omega» è riportato il nome della nostra città.

E dall'anno scorso l'orologio è tornato a scandire i ritmi di chi passa da lì.



E ancora, che belle le due meridiane di San Vito alla Rivera, ricomposte pietra su pietra negli anni scorsi, durante la ricostruzione di chiesa e facciata.



E infine - non dimentichiamo - ci sono «gli orologi» della Cattedrale (da riparare) e quello - celeberrimo - della Torre civica di Piazza del Palazzo: «l'orologio degli orologi», l’orologio pubblico per eccellenza!

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Probabilmente ce ne saranno anche altri che in questo momento mi sfuggono.

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Uscendo poi dalla città, incontriamo - per esempio - l'orologio sul campanile della Cappella Camerini 
(o «Chiesa di San Francesco in Cianfarano»), piccola chiesa e gioiellino architettonico in stile «eclettico», situata appunto in contrada Cianfarano, lungo via Colle Pretara.

Tra l'altro, questo orologio ha una doppia corona di ore, una specie di formato «24h»:

- la prima corona, in numeri romani, segna le ore fino a mezzogiorno (ante-meridiane);

- la seconda corona, più esterna, segna le ore dalle 13 alle 24 (post-meridiane), in numeri arabi, quelli che usiamo comunemente oggi.


Spingendoci più a ovest, fino ai piedi del borgo di Coppito, possiamo ammirare l'orologio del campanile della chiesa parrocchiale di San Pietro, la chiesa fuori le mura della città (extra moenia) che ha donato il nome alla sua
«sorella» (intra moenia) dentro le mura dell'Aquila.




Mi fermo qui, perché l'elenco sarebbe plausibilmente più lungo: 
pensiamo soltanto, nel nostro Contado, allo stupendo orologio sulla torre che si innalza sopra uno degli ingressi al borgo medievale di Fontecchio.

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Una cosa è certa:

gli orologi pubblici sono utili oggi così come in passato!


- Oltre che suggestivi e spesso di grande bellezza -, gli orologi pubblici sono una parte attiva e funzionale dell’arredo urbano - sia nelle nostre città, sia nei nostri borghi -.

Insieme alle campane, scandiscono i ritmi della giornata tra le vie e le piazze pubbliche, e ci possono tornare utili se non abbiamo a portata di mano lo smartphone o un orologio da polso.



Mentre si cammina - infatti - è più semplice e istintivo alzare lo sguardo verso un grande orologio a vista, piuttosto che frugare tra le tasche di una giacca o di una borsa - o borsello - che siano.


Soprattutto se abbiamo le mani occupate da un buon panino o da un gustoso gelato!
😊

 

 

Mauro Rosati
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SEGNALA IL TUO OROLOGIO PUBBLICO!
Se la materia vi incuriosisce, segnalate pure gli orologi pubblici funzionanti nella nostra città, nei suoi dintorni e anche oltre - senza limiti di confine, né provinciali né regionali -.


Potete segnalare il vostro orologio pubblico qui: 
https://forms.gle/PWEpeN9iJoafpwnh9


Per «orologi» si intendono - nel senso più ampio - dalla meridiana più semplice, all’orologio meccanico a lancette, fino a quelli digitali.