lunedì 31 gennaio 2022

BUCCIO -《INCIPIT》 AQUILANO

 

L'《incipit》 della Chronica aquilana rimata di Buccio di Ranallo, in una delle sue edizioni
(Fonte immagine: Pagina Facebook La casa di Buccio L'Aquila》)


Lo cunto serra' d'Aquila / magnifica citade,

Et de quilli che la ficero / con grande sagacitate》!


📌 Buccio di Ranallo, nacque ad Aquila alla fine del XIII secolo, precisamente nel borgo di Poppleto (oggi Coppito, frazione dell'Aquila), uno dei castelli fondatori della città, o nel locale di Coppito dentro la città (tutti i castellani fondatori di Aquila, infatti, avevano il medesimo 《diritto di cittadinanza》 sia in città sia nel loro borgo di origine).

Poeta, storico, è autore della prima grande Cronaca sulla storia di Aquila dalla sua fondazione sveva (metà XIII secolo) fino agli anni 1361-1362, a ridosso della sua morte avvenuta nel 1363 a causa di una pestilenza.


📌 La Cronaca rimata di Buccio di Ranallo rappresenta il lavoro più importante della sua produzione poetica: l'autore non si limita a riportare i fatti di Cronaca, intervallati da sonetti satirici o ammonitori di tipo politico, ma realizza uno scritto in versi, creando così un'opera di pregio poetico oltre che di valenza cronicistica.

Buccio di Ranallo è particolarmente rilevante per la narrazione delle origini di Aquila poiché egli nacque alla fine del Duecento e quindi, con molta probabilità, venne in contatto sia con coloro che avevano vissuto in prima persona le vicende della prima (1254, Svevi) e della seconda fondazione di Aquila (1266, Angioini), sia con probabili fonti documentarie di prima mano.


📌 Da alcuni anni, la produzione di Buccio di Ranallo, con in testa l'opera maggiore della Cronaca aquilana rimata, è considerata un'importante testimonianza ed esempio di lingua volgare, tanto da essere citata anche in alcuni testi scolastici di storia della letteratura italiana.


📌 L'opera di Buccio fu il punto di partenza per i numerosi successivi cronisti di storia aquilana che, partendo dala sua Chronica, proseguirono la narrazione delle vicende storiche cittadine nei decenni e nei secoli successivi. Cronache che tutt'oggi, alla luce di nuovi studi, rappresentano importantissime e dettagliate fonti di notizie sulle vicende storiche della Città dell'Aquila.


Mauro


🌐 Sitografia di base.

Per chi fosse interessato a un primo approccio con la biografia di Buccio di Ranallo, suggerisco due lemmi tratti dall'Enciclopedia Italiana (Treccani, 1932) e dal Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani, 1972):


1

https://www.treccani.it/enciclopedia/buccio-di-ranallo_%28Enciclopedia-Italiana%29/


2

https://www.treccani.it/enciclopedia/buccio-di-ranallo_%28Dizionario-Biografico%29/



domenica 30 gennaio 2022

LE CITTÀ DI OGGI: VERDE E PIANI DI RISANAMENTO


 




Alla luce dell'evidenza dei fatti, le città di oggi, piccole e grandi, non hanno bisogno di nuovi piani di espansione edilizia (considerata anche la situazione demografica stagnante). 

Piuttosto, le città di oggi hanno bisogno di piani di risanamento paesaggistico-ambientale e di manutenzione costante e programmata del costruito già esistente. E anche di un censimento e rimozione dei capannoni abbandonati, con recupero del suolo naturale. 


Ne beneficerebbe il settore edile con il suo indotto, poiché lavorerebbe costantemente.


Ne beneficerebbero i bilanci comunali perché i Comuni non dovrebbero spendere per portare e gestire l'espansione di ulteriori servizi, così come potrebbero affidare la gestione delle aree verdi ai singoli quartieri già esistenti.


Ne beneficerebbero i cittadini perché corridoi verdi, orti urbani, campagne migliorano nettamente la qualità della vita (meno danni da perturbazioni, meno calore in eccesso, meno disagi in generale, e quindi meno spese collettive).


Suggerisco la lettura del breve articolo che trovate in alto, contenente nuovi e interessanti spunti (Fonte: 《Focus》 n. 350, pp. 42-45).


Mauro




giovedì 27 gennaio 2022

LE COMUNITÀ EBRAICHE DEL 1931 E LA CIRCOSCRIZIONE DI AQUILA

R.D. n. 1279/1931 (Fonte: NormAttiva)
PER LEGGERE CLICCARE SULL'IMMAGINE

 
R.D. n. 1279/1931 (Fonte: NormAttiva)
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R.D. n. 1279/1931 (Fonte: NormAttiva)
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LE COMUNITÀ EBRAICHE DEL 1931 E LA CIRCOSCRIZIONE DI AQUILA


Nelle immagini sopra: il Regio Decreto n. 1279/1931 contenente in tabella l'elenco delle Comunità israelitiche riconosciute e delle relative circoscrizioni territoriali.

La tabella ci dà una panoramica della distribuzione delle Comunità ebraiche sul territorio italiano all'inizio degli anni '30 del Novecento.


Come si vede dalla tabella, per esempio, la circoscrizione della Comunità israelitica di Roma comprendeva anche la Sardegna e parte dell'Italia Centrale, con i capoluoghi e le province di: Aquila, Cagliari, Chieti, Frosinone, Nùoro, Perugia, Pescara, Rieti, Roma, Sassari, Teramo, Terni, Viterbo.


Dalle pagine del Decreto si osserva anche come il Ministero della Giustizia avesse competenza anche sui culti. Il Ministro della Giustizia (Guardasigilli) viene infatti indicato come 《Ministro Segretario di Stato per la giustizia e gli affari del culto》.

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Il presente Decreto n. 1279 del 1931 applicava il dettato degli articoli 2 e 63 del Regio Decreto 1731/1930, i quali a loro volta recitavano:


- art. 2

Sono  riconosciute  quali  Comunità  israelitiche  ai  sensi  del presente decreto  le  Università,  Comunità,  Comunioni, Fraterne, Società  ed  Associazioni  israelitiche,  che  saranno indicate  in apposito elenco da approvarsi con  decreto  Reale,  su  proposta  del Ministro per la giustizia e gli affari  di  culto,  di  concerto  con quello per l'interno, uditi il Consiglio di Stato e il Consiglio  dei Ministri. 

Con  lo  stesso   decreto   sarà stabilita   la   circoscrizione territoriale di ciascuna Comunità.


- art. 63

Con lo stesso decreto Reale, che approva l'elenco  delle  Comunità riconosciute  ai  sensi  del  presente  decreto,  si disporrà in conformità  dell'ultimo  capoverso dell'art.   3 riguardo   alla destinazione  dei  beni  delle  istituzioni  di   cui   all'art.   2, attualmente esistenti, e che non saranno più riconosciute.


-art. 3 

(richiamato dal sopraelencato articolo 63)

Alla istituzione di nuove Comunità si provvede con  decreto  Reale su proposta del Ministro per la giustizia e gli affari di  culto,  di concerto con quello per l'interno, udita l'Unione delle Comunità  di cui all'art. 35 e uditi il Consiglio di  Stato  e  il  Consiglio  dei Ministri. 

Con le stesse forme si procede all'unione di due o  più  Comunità ed alla modificazione delle circoscrizioni. 

In tutti  i  casi,  il  decreto  Reale  provvede  sui  rapporti  di successione ai quali diano  luogo  le  modificazioni  e  l'estinzione delle Comunità. Il decreto stesso può disporre  che  il  patrimonio delle Comunità estinte sia destinato in tutto od in parte a fini  di interesse generale degli israeliti italiani.

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Gli articoli del Regio Decreto 1731/1930 sono stati abrogati e sostituiti dalla Legge n. 101/1989 《Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane》 e successive modifiche e integrazioni (ss. mm. ii.) .

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Come abbiamo visto all'inizio, Aquila con la sua Provincia appartiene alla Comunità israelitica di Roma, insieme ad altre città e province dell'Italia Centrale e della Sardegna.


Ad Aquila la Comunità ebraica era storicamente localizzata nella bellissima zona delle Coste, dove si trova anche il 《Chiassetto degli Ebrei》, un caratteristico vicoletto che collega Costa Cesare Campana con Costa della Pinciara. 

E anche nel Contado aquilano non mancano toponimi e testimonianze dei 《ghetti》 (per dettagli rimando a questo articolo della studiosa Beatrice Sabatini:

https://beatricesabatini.wordpress.com/2018/02/05/storie-di-ebrei-nellaquilano/ ).


In Piazza del Duomo, davanti a Palazzo Betti (quello a Capopiazza ad angolo con Via Cimino, a ridosso delle Coste) si trova un 《inciampo della Memoria》, ossia una pietra-cubetto con una placca in metallo nel pavimento stradale, che ricorda Giulio Della Pergola, arrestato il 18/01/1944 e deportato nel campo di Auschwitz, dove fu ucciso 19 giorni dopo, il 06/02/1944.

Il nome di 《inciampo》 deriva dal fatto che sia per il colore, sia per il materiale, i passanti inciampano metaforicamente in qualcosa di diverso che attira la loro attenzione e richiama alla Memoria. Gli 《inciampi》 vengono generalmente collocati davanti alle abitazioni dei deportati.


Mauro




lunedì 24 gennaio 2022

IL PRESEPE: «VANGELO IN DIALETTO»

 

L'Aquila; Basilica di San Bernardino da Siena, navata sinistra;
il Presepe nella Cappella del Rosario.
(Foto: Mauro Rosati, 2016)


IL PRESEPE: «VANGELO IN DIALETTO»


Il tempo natalizio si conclude pienamente con la «Candelora», la ricorrenza che cade 40 giorni dopo il Natale e celebra la Presentazione di Gesù al Tempio. Per cui «possiamo» ancora parlare di presepi, fermo restando che il Presepe è anche forma d'arte che va oltre il periodo strettamente natalizio.

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«Il Presepe napoletano è il Vangelo in dialetto partenopeo», è una delle definizioni più belle che abbia letto e ascoltato sul Presepe.

 

E solo a Napoli avrei potuta «sentirla»!


Essa è infatti attribuita al napoletano Michele Cuciniello, architetto, commediografo, collezionista, che nell'Ottocento donò a Napoli e al mondo intero lo stupendo e scenografico presepe (
«Presepe Cuciniello») situato nell'altrettanto stupenda cornice della Certosa di San Martino.


Fatta questa necessaria premessa, possiamo generalizzare la definizione così:
«Il Presepe è Vangelo in dialetto», una versione della Natività che ogni cultura ha fatto propria, rendendola somigliante al proprio mondo e alla propria epoca.



Ha ragione Michele Cuciniello. È proprio così!


 

Un racconto uguale per tutti ma tradotto da ognuno nella propria «lingua» figurativa locale. Una rappresentazione sacra calata e rielaborata nella cultura popolare.


In ogni angolo del Mondo.


La stessa narrazione per tutti ma interpretata e raccontata in modo diverso da culture diverse. Ogni cultura trasferisce in quella rappresentazione ciò che le è più familiare: i propri costumi, i propri paesaggi. Ed ecco un presepe andino, uno africano, un altro dal lontano Oriente asiatico, oppure tra le Alpi, sull'Appennino con i suoi borghi, nell'Italia mediterranea dei litorali dalla Liguria alla Sicilia, in Europa centro-settentrionale, Lapponia, Siberia, e così via.


Ne abbiamo molteplici testimonianze; ad esempio visitando anche la collezione permanente esposta presso il convento francescano della vicina Greccio (Valle Santa, Rieti), appartenente alla Provincia romano-abruzzese di San Bonaventura dei Frati Minori.



Il Presepe: sempre uguale e sempre diverso allo stesso tempo, sempre tradizionale e sempre al passo con i tempi, senza perdere la sua classicità.


E probabilmente non esiste più attualità nell'arte presepiale di quella che vediamo nelle botteghe artigiane di Via San Gregorio Armeno a Napoli, dove personaggi della tradizione presepiale convivono con statuine di personaggi del nostro mondo contemporaneo.

 


Mauro



P.S. A margine di questa riflessione, ci tengo anche a ricordare il bel Presepe nella Basilica di San Bernardino a L’Aquila, situato nella Cappella del Rosario, navata di sinistra (vedi foto in alto) .

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Spunti di sitografia sul presepe di San Martino a Napoli (Presepe Cuciniello), sulla figura di Michele Cuciniello e sull’arte presepiale napoletana (URL consultati in data 24/01/2022):

 

https://www.artigianatopresepiale.com/blog/il-presepe-cuciniello/

https://www.facciamoilpresepe.it/presepe-cuciniello/

 

https://www.morosofi.it/il-presepe-napoletano-unarte-tutta-napoletana/




mercoledì 19 gennaio 2022

L'EPIFANÌA, SANT'ANTONIO E... «JU CAIONE»


L'EPIFANÌA, SANT'ANTONIO E... «JU CAIONE»


 

 L'Epifania e Sant'Antonio: un proverbio contadino che accomuna le due feste.


 

«PASQUA BIFANÌA, TUTTE LE FESTI LE PORTA VIA,

PO' VE' SANT'ANTONIU, E NE REPORTA 'NU CAIONE»

 

(Pasqua Epifanìa, tutte le feste porta via; poi arriva Sant'Antonio e ne riporta un «caione» [una sorta di cestone])




L'Epifanìa, secondo tradizione, è la prima Pasqua, la Pasqua piccola (o Pasquetta, o Pasqua «de jennaru»), che anticipa la Pasqua grande di Primavera.


Non a caso, durante la Santa Messa dell'Epifania, il sacerdote proclama l'annuncio del giorno di Pasqua e di tutte le ricorrenze liturgiche ad essa legate.


In Campania, ad esempio, è d'uso consumare la prima pastiera dell'anno proprio nel giorno dell'Epifanìa: la pastiera è un caratteristico dolce tipico della Pasqua nella tradizione napoletana.


Sempre nel giorno dell'Epifanìa, almeno fino a circa mezzo secolo fa, si usava girare per le case - soprattutto i ragazzini - cantando le popolari «Pasquarelle» e chiedendo qualcosa da mangiare (in particolare la salsiccia dal maiale appena macellato, e/o eventuali altri prodotti alimentari di stagione che si potevano trovare presso le case di una volta).


 

Il «CAIONE» (non traducibile con esattezza in italiano) era invece un grande cesto realizzato generalmente intrecciando giovani rami di vimini (dai sàlici) o di avellano (dal nocciòlo).


A differenza dei cesti normali però, era aperto sui lati: si trovava nelle stalle dove venivano ricondotte al chiuso le pecore, si posizionava un po' in alto e si riempiva di foraggio.

Mentre la tradizionale mangiatoia con greppia, per altri animali, si trovava in basso, il «caione» era una sorta di distributore di porzioni: quando la pecora ne aveva bisogno, si alzava verso di esso e ne tirava giù una manciata di foraggio.

Si trattava di un cesto particolare molto capiente.


Da qui il significato del proverbio: l'Epifanìa porta via le festività ma poi Sant'Antonio abate (17 gennaio) ne riporta altre in grande quantità (Carnevale, Candelora, San Biagio e così via fino alla Pasqua).


Nota. Per il Carnevale fa eccezione L’Aquila, dove i festeggiamenti iniziano non prima del 2 febbraio (compreso) anziché il 17 gennaio (o altre date), a memoria del grave terremoto del 1703, verificatosi nel giorno della Candelora e nel pieno del periodo carnascialesco. Per tale motivo, quello aquilano viene considerato il Carnevale più corto del mondo, soprattutto quando la Pasqua cade molto «bassa» (ossia più vicina al giorno dell'Equinozio di Primavera, il quale - al limite - può verificarsi anche il 20 marzo; in ogni caso però, per il calcolo della Pasqua viene adottato convenzionalmente sempre il 21 marzo come giorno dell'Equinozio). Quindi quando la Pasqua cade il 22 marzo di un anno non bisestile, le Ceneri cadono il 4 febbraio, e in quel caso il Carnevale aquilano si festeggia solo il 3 febbraio.

 


Il «caione», molto capiente, metaforicamente indica appunto una gran quantità.

(Area dialettale: Alto Cicolano, Appennino centrale reatino-aquilano)

 


 

Mauro




venerdì 14 gennaio 2022

IL MATTONE...SCALDAPIEDI


IL MATTONE...SCALDAPIEDI

ovvero

Lo friddu: quarche rammèdiu de 'na 'ote
(Il freddo: alcuni rimedi di una volta)


Riguardo all'importanza del fuoco, elemento particolarmente indispensabile nelle case contadine ancora qualche decennio fa, riporto un uso che ho appreso da racconti diretti: il 《mattone scaldapiedi》.


Il fuoco, come sappiamo, era il 《motore》 di tutte le attività domestiche nelle case di un tempo: 24 h su 24, 7 giorni su 7 (《24/7》 diremmo oggi).

Valeva ancor di più nei paesi ma anche per le case più modeste dentro le città o ai margini tra città e campagna (come ad esempio le belle case coloniche fuori le mura, ancora abitate dai contadini fino a poco più di mezzo secolo fa e che oggi possiamo trovare colpevolmente in abbandono, seppur abbastanza solide, oppure recuperate a regola d'arte e divenute delle belle casette nuovamente abitate, con in più le comodità della nostra epoca).


Il fuoco identificava la casa e quindi il nucleo familiare. Non a caso nei censimenti dei secoli passati (principalmente nel Medioevo ma anche oltre), la popolazione veniva conteggiata per 《fuochi》, un vocabolo riferito a un nucleo familiare che condivideva lo stesso 《focolare》 e quindi la stessa dimora.


Tra i molti usi indispensabili del fuoco: nelle fredde case di non molti decenni fa, si usava ancora scaldare i letti con la brace prima di coricarvisi. Da Nord a Sud. 

Si utilizzava il famoso scaldaletto, una specie di pentolino (detto 《suora》 o 《monaca》) con il coperchio forato, di forme variabili da zona a zona.

Un 《pentolino》 che veniva riempito di brace così come si faceva con i ferri da stiro di un tempo.

Alcuni lo mettevano dentro il 《prete》, un oggetto dal telaio in legno che sembra una sorta di 《slittino a dondolo》 (o altre forme, come quello siciliano 《ad arco》) e serviva a distanziare lo scaldaletto dalle coperte: in questi casi, però, era sempre molto alto il rischio di incendi, soprattutto se il calore emesso era eccessivo o se il contenitore della brace era aperto.

Altri, anche per sicurezza, passavano lo scaldaletto direttamente sulle lenzuola, come fosse un ferro da stiro, poco prima di coricarsi.


Quando il freddo si faceva sentire particolarmente, esisteva anche un antenato delle nostre borse calde.

Si prendeva un mattone in cotto (pianella o altri tipi) e si lasciava qualche oretta nel camino, a poca distanza dal fuoco che ardeva. Al momento di andare a letto, si prendeva il mattone riscaldato, lo si avvolgeva in un panno di lana (fibra naturale a minor rischio di incendio) e si metteva sotto le coperte per scaldare i piedi durante la notte.

Il mattone, come tutti gli oggetti in cotto, ha la proprietà di rilasciare lentamente il calore; un calore che la lana (isolante termico) contribuiva a conservare nel corso della notte.

Questo metodo era ancora in uso fino a circa 55-60 anni fa, soprattutto nei paesi, lì dove i riscaldamenti - talora anche la corrente elettrica - non erano ancora arrivati nelle case.


Infine, al mattino, prima di indossare i robusti scarponi 《di vacchetta》 (in cuoio da pelle di vacca), si prendeva qualche carbone tra le braci 《stemperate》 e si metteva dentro le scarpe; poi si smuoveva velocemente lo scarpone con i carboni per riscaldarlo senza bruciarlo, quindi si buttavano fuori i carboni e lo si indossava ben caldo.

Ovviamente sconsiglio di farlo con le scarpe o scarponi che indossiamo oggi, realizzati con altri materiali e altre procedure: rischieremmo di trovarci la suola 《fusa》 e la tomaia bucata!


Mauro



martedì 4 gennaio 2022

L'AQUILA 《NELLA PENNA》 DI SUSANNA TAMARO


L'AQUILA 《NELLA PENNA》 DI SUSANNA TAMARO


In questi giorni mi è tornato alla mente un passo di uno dei romanzi più noti e di successo della letteratura italiana contemporanea: 《Va' dove ti porta il cuore》(1994), di Susanna Tamaro. Romanzo dal quale, fu tratto l'omonimo film del 1996 con Virna Lisi e Margherita Buy nel ruolo della protagonista Olga, rispettivamente da anziana e da giovane.
Molti di voi probabilmente già conosceranno il racconto ma vale la pena fare un breve cenno: si tratta di un romanzo dalla struttura particolare, una lettera vergata in forma di diario dall'anziana Olga, triestina, che dalla sua casa di Opicina (Trieste) decide di scrivere alla sua giovane nipote. Sono i giorni che vanno dal 16 novembre al 22 dicembre del 1992.
L'anziana Olga, in questa sorta di lettera-testamento ripercorre la sua vita travagliata, sia interiormente sia per gli eventi storici che segnano la sua gioventù, tra i quali la dittatura, la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e il dramma delle popolazioni giuliane del Carso.

E proprio quando racconta gli anni della guerra, nella pagina di diario del 4 dicembre 1992, Olga narra del periodo trascorso a L'Aquila dove, quasi trentenne, si era rifugiata insieme ad Augusto, il suo marito abruzzese sposato pochi giorni prima dell'inizio del conflitto.
Anche se quel periodo rappresenta una fase non felice della sua vita, per ragioni personali e familiari, Olga ci apre una breve finestra e delinea un veloce ritratto materiale e socio-culturale della nostra città e dei suoi dintorni in quei difficili anni del Novecento, anche se 《filtrato》 dal suo punto di vista e dal suo travagliato personale stato d'animo.
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E allora, con qualche estratto di quelle pagine, lascio la parola ad Olga, animata dalla penna di Susanna Tamaro:
Ci sposammo con una cerimonia sobria il primo giugno del '40. Dieci giorni dopo l'Italia entrò in guerra. Per ragioni di sicurezza, mia madre si rifugiò in un paesino di montagna, in Veneto, mentre io, con mio marito, raggiunsi L'Aquila [...]. A L'Aquila andammo ad abitare nella casa della famiglia di Augusto [nelle vicinanze del Duomo], un grande appartamento al primo piano di un palazzo nobiliare del centro. Era arredato con mobili cupi, pesanti, la luce era scarsa, l'aspetto sinistro. Appena entrata mi sentii stringere il cuore [...]. Mio marito capì subito lo stato di smarrimento in cui mi trovavo e per le prime due settimane fece tutto il possibile per distrarmi. Un giorno sì e un giorno no prendeva la macchina e andavamo a fare delle passeggiate sui monti dei dintorni. Avevamo entrambi una grande passione per le escursioni. Vedendo quelle montagne così belle, quei paesi arroccati sui cocuzzoli come nei presepi mi ero un po' rasserenata, in qualche modo mi sembrava di non aver lasciato il Nord, la mia casa. Continuavamo a parlare molto. Augusto amava la natura, gli insetti in particolare, e camminando mi spiegava un mucchio di cose. Gran parte del mio sapere sulle scienze naturali lo devo proprio a lui [...].
Con me [nella casa] c'era una vecchia domestica, era lei che si occupava delle principali faccende. Come tutte le mogli borghesi dovevo soltanto programmare il pranzo e la cena, per il resto non avevo niente da fare. Presi l'abitudine di uscire ogni giorno da sola a fare delle lunghe passeggiate. Percorrevo le strade avanti e indietro con passo furioso, avevo tanti pensieri in testa e tra tutti questi pensieri non riuscivo a fare chiarezza [...].
Dopo un mese arrivarono le prime chiacchiere alle orecchie di mio marito. - La "tedesca" -, avevano detto delle voci anonime, - "va in giro da sola per le strade a tutte le ore" -. Ero strabiliata. Cresciuta con delle abitudini diverse, non avrei mai potuto immaginare che delle innocenti passeggiate potessero dare scandalo. Augusto era dispiaciuto, capiva che per me la cosa era incomprensibile, tuttavia per la pace cittadina e il suo buon nome mi pregò di interrompere le mie uscite solitarie [...].
Intanto avevo conosciuto le mogli dei colleghi di Augusto e il giovedì mi incontravo con loro in un caffè del centro.
Benché fossimo pressappoco coetanee avevamo veramente poche cose da dirci. Parlavamo la stessa lingua ma questo era l'unico punto in comune [...]》.

Con il passar del tempo, intanto, il legame matrimoniale con Augusto si raffredda. Tuttavia, non esistendo il divorzio, secondo i criteri dell'epoca Olga non trovava motivi specifici per cui si potesse rompere il matrimonio; Augusto era divenuto emotivamente distaccato ma non la maltrattava materialmente.

E qui segue un'altra brevissima 《finestra》; una finestra domenicale:
Avevo la sensazione che, più di ogni altra cosa, Augusto volesse trovare qualcuno a casa alle ore dei pasti, qualcuno da esibire con orgoglio la domenica in Duomo [proprio lui! Il nostro Duomo dei Santi Massimo e Giorgio!].
[...] Augusto con me non ha mai alzato un dito, ma neanche la voce. Non mi ha mai fatto mancare niente. La domenica, tornando dalla messa, ci fermavamo alla pasticceria dei fratelli Nurzia e mi faceva comprare tutto ciò di cui avevo voglia [...]》.

La lettera-diario prosegue poi con la narrazione degli anni successivi alla fine della guerra.
A Voi, se vorrete, la curiosità di leggere l'intero romanzo!


Mauro
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P.S.: In occasione del Salone del Libro di Torino del 2011, nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia, 《Va' dove ti porta il cuore》 è stato inserito tra i 150 "Grandi Libri" che hanno caratterizzato la storia dell'Italia unita.
(Fonti:
Corriere della Sera, 27/04/2011

La Gazzetta del Mezzogiorno, 23/07/2012

URL consultati in data 04/01/2022)