sabato 20 marzo 2021

Veris Aequinoctium

Aequinoctium

 

Aequinoctium - Aequa Nox

12d - 12n / Iter: E>S>W


 

Oggi inizia la Primavera astronomica.


Nel suo movimento apparente (eclittica), la traiettoria del Sole interseca l’equatore celeste - ossia la proiezione immaginaria dell’Equatore terrestre nel cielo - . Questo punto di intersezione viene chiamato anche Punto di Ariete o Punto vernale (dall’aggettivo latino vernalis, che vuol dire «primaverile»).


La definizione Punto di Ariete deriva dal fatto che quando esso fu studiato (molti secoli fa), l’inizio della Primavera astronomica coincideva con l’«ingresso» del Sole nella costellazione dell’Ariete.

Oggi, l’inizio della Primavera corrisponde invece all’«ingresso» del Sole nella costellazione dei Pesci; questo spostamento è dovuto al fenomeno della Precessione degli Equinozi, un fenomeno lento ma costante a causa del quale – semplificando – la Primavera astronomica inizia ogni anno con circa 50,4 secondi di anticipo rispetto all’anno precedente (quindi l'Equinozio «precede» quello dell’anno prima).

Il passaggio nel Punto d’Ariete segna anche il passaggio del Sole dall’emisfero celeste australe all’emisfero celeste boreale - sempre nel suo movimento apparente -.

L’Equinozio di Primavera può essere considerato come l’inizio dell’«anno astronomico».



Sole allo "Zenith" sull'Equatore.

Il dì e la notte hanno la stessa durata mentre il Sole percorre un itinerario approssimativo da Est (dove sorge) ad Ovest (W; dove tramonta), passando ovviamente per il Sud (dove raggiunge il punto più alto della giornata).



 

Nella nostra città dell'Aquila, considerando come riferimento la latitudine approssimativa della Torre di Palazzo, il sole raggiunge oggi un'"altezza" massima di 47° 38' 46".


Nota 1. Sull'altezza del Sole agli Equinozi, nella nostra città, vedi anche:

https://pianetalaquila.blogspot.com/2018/09/bentornato-autunno.html?m=1 .

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Dal punto di vista climatico, invece, nella nostra zona la Primavera meteorologica inizia non prima della metà di aprile.

 

L’Inverno in corso è stato sicuramente più soddisfacente del disastroso inverno 2019-2020, che si era rivelato siccitoso, con temperature costantemente sopra il normale e fioriture troppo anticipate (già a febbraio) che sono state «bruciate» dalle gelate e dalla leggera neve di fine marzo.


Questo inverno 2020-2021 è stato finora più ricco di acqua e di neve, già da novembre e fino a tutto gennaio - anche se con molti alti e bassi termici -.

Febbraio invece si è rivelato più caldo del normale per il sesto Inverno consecutivo: ad eccezione di pochi giorni veramente invernali, la prima settimana e l’ultima decade di febbraio 2021 sono state caratterizzate da temperature massime fino a 11 gradi sopra il normale. I mandorli sono fioriti con un paio di settimane di anticipo: meglio comunque rispetto alla situazione di febbraio 2020 quando erano fiorite in largo anticipo anche altre piante da frutto.

Fortunatamente le precipitazioni di neve e di acqua di febbraio 2021 sono state lo stesso soddisfacenti e, insieme ai mesi precedenti, hanno contribuito a rimpinguare le falde acquifere che erano state «stressate» da 15 mesi di siccità – con precipitazioni scarse – da giugno 2019 ad agosto 2020 compresi.

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Per chi gradisse, concludo in musica con un breve estratto della “Primavera” di Antonio Vivaldi: https://www.youtube.com/watch?v=5Eaxcioiy2w

 


 

Mauro

giovedì 18 marzo 2021

Orologi! Che meraviglia!

Nell'immagine in alto: un orologio in materiale plastico a imitazione di cornice in legno e quadrante in vetro.
In questo caso, l'orologio riporta i numeri romani «moderni».

NotaNumeri romani «antichi» e numeri romani «moderni».

- Semplificando molto il discorso - per «moderni» si intendono quei numeri romani che ci sono giunti in eredità dagli umanisti del tardo Medioevo e del primo Rinascimento: sono simili ai numeri romani «antichi» ma con qualche differenza.

Per esempio: il numero 4 viene rappresentato come «IIII» per i Romani antichi (quattro volte uno), mentre diventa «IV» nella forma moderna (cinque meno uno). Entrambe le versioni sono corrette.

Lo stesso vale per il 9, che possiamo trovare come «VIIII» (cinque più quattro) per i Romani antichi, oppure come «IX» (dieci meno uno) nella forma «moderna».

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Paese che vai...orologio che trovi!

Un velocissimo tour riassuntivo - e non esaustivo - tra alcuni degli orologi pubblici della nostra città e dintorni.

E allo stesso tempo uno spunto per tornare ad apprezzarli e a guardarli con più attenzione.

Infine, per i lettori più curiosi, anche un invito a segnalare il loro orologio pubblico: quello preferito; quello che conoscono meglio.



Orologi! Li ho sempre amati, fin da bambino.

Dalla semplice e affascinante meridiana agli orologi digitali, passando per i «classici» meccanici a lancette!
Ricordo sempre con piacere una meridiana artigianale che realizzai a 15 anni su una tavoletta di masonite
«povera» (ritagliata dal fondo di una cassetta della frutta), applicando al centro un lungo chiodo che funzionava come gnomone.

Ce l'ho ancora.

I numeri delle ore sono rigorosamente romani! E anche l’anno di realizzazione è scritto in numeri romani.


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Gli orologi, dicevamo!

Mi piacciono tutti, anche se - appunto - ho una particolare predilezione per quelli con i numeri romani.


E non mi piacciono solo quelli da appartamento: amo vedere gli orologi pubblici funzionanti, nelle strade, sulle torri civiche, sui campanili delle chiese!

(Per «pubblici» intendo genericamente tutti quei grandi orologi visibili alla collettività.)

Per questo sono molto contento che con la ricostruzione della nostra città si stiano riattivando anche vecchi orologi pubblici che non funzionavano già prima del terremoto del 2009:

- che gioia veder funzionare l'orologio del Palazzo dell’Esposizione (Emiciclo) alla Villa Comunale, illuminato di notte;

- che gioia vedere il nuovo orologio sul campanile della chiesa Capoquarto di San Pietro a Coppito, ripristinato dall'impresa Marinelli di Agnone, che ha «colato» le nuove campane della torre ricostruita.

E poi, che bello veder funzionare di nuovo il famoso orologio
«Omega» sotto i Portici di Palazzo Federici, punto di riferimento per tanti Aquilani a partire dal periodo a cavallo tra gli anni '30 e i primi anni '40 del Novecento.

«Ci vediamo all'Omega!»: così si usava dire, come ricordava il prof. Alessandro Clementi in un incontro pubblico poco più di 10 anni fa, narrando un episodio della sua infanzia.

Oggi, già da molti anni, al posto della scritta «Omega» è riportato il nome della nostra città.

E dall'anno scorso l'orologio è tornato a scandire i ritmi di chi passa da lì.



E ancora, che belle le due meridiane di San Vito alla Rivera, ricomposte pietra su pietra negli anni scorsi, durante la ricostruzione di chiesa e facciata.



E infine - non dimentichiamo - ci sono «gli orologi» della Cattedrale (da riparare) e quello - celeberrimo - della Torre civica di Piazza del Palazzo: «l'orologio degli orologi», l’orologio pubblico per eccellenza!

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Probabilmente ce ne saranno anche altri che in questo momento mi sfuggono.

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Uscendo poi dalla città, incontriamo - per esempio - l'orologio sul campanile della Cappella Camerini 
(o «Chiesa di San Francesco in Cianfarano»), piccola chiesa e gioiellino architettonico in stile «eclettico», situata appunto in contrada Cianfarano, lungo via Colle Pretara.

Tra l'altro, questo orologio ha una doppia corona di ore, una specie di formato «24h»:

- la prima corona, in numeri romani, segna le ore fino a mezzogiorno (ante-meridiane);

- la seconda corona, più esterna, segna le ore dalle 13 alle 24 (post-meridiane), in numeri arabi, quelli che usiamo comunemente oggi.


Spingendoci più a ovest, fino ai piedi del borgo di Coppito, possiamo ammirare l'orologio del campanile della chiesa parrocchiale di San Pietro, la chiesa fuori le mura della città (extra moenia) che ha donato il nome alla sua
«sorella» (intra moenia) dentro le mura dell'Aquila.




Mi fermo qui, perché l'elenco sarebbe plausibilmente più lungo: 
pensiamo soltanto, nel nostro Contado, allo stupendo orologio sulla torre che si innalza sopra uno degli ingressi al borgo medievale di Fontecchio.

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Una cosa è certa:

gli orologi pubblici sono utili oggi così come in passato!


- Oltre che suggestivi e spesso di grande bellezza -, gli orologi pubblici sono una parte attiva e funzionale dell’arredo urbano - sia nelle nostre città, sia nei nostri borghi -.

Insieme alle campane, scandiscono i ritmi della giornata tra le vie e le piazze pubbliche, e ci possono tornare utili se non abbiamo a portata di mano lo smartphone o un orologio da polso.



Mentre si cammina - infatti - è più semplice e istintivo alzare lo sguardo verso un grande orologio a vista, piuttosto che frugare tra le tasche di una giacca o di una borsa - o borsello - che siano.


Soprattutto se abbiamo le mani occupate da un buon panino o da un gustoso gelato!
😊

 

 

Mauro Rosati
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SEGNALA IL TUO OROLOGIO PUBBLICO!
Se la materia vi incuriosisce, segnalate pure gli orologi pubblici funzionanti nella nostra città, nei suoi dintorni e anche oltre - senza limiti di confine, né provinciali né regionali -.


Potete segnalare il vostro orologio pubblico qui: 
https://forms.gle/PWEpeN9iJoafpwnh9


Per «orologi» si intendono - nel senso più ampio - dalla meridiana più semplice, all’orologio meccanico a lancette, fino a quelli digitali.



lunedì 15 marzo 2021

I Caduti di Via Fani

Una pillola di storia nazionale nell'onomastica stradale della nostra città.


Il mese scorso, sfogliando e leggendo alcuni passaggi narrati nel calendario della Benemerita mi sono imbattuto in un grado e un cognome: maresciallo Leonardi.

Per una frazione di secondo ho pensato: questo cognome mi suona come già sentito e già letto! Poi, una frazione di secondo dopo, mi sono ricordato: il maresciallo Oreste Leonardi - carabiniere - capo della scorta del prof. Aldo Moro!


Uno dei Caduti di Via Fani, massacrato con i suoi colleghi in un'imboscata nel bel mezzo di un quartiere di Roma (Quartiere XIV 《Trionfale》, non lontano dal Foro Italico).

Era la mattina del 16/03/1978 quando il convoglio del prof. Aldo Moro si stava spostando con la sua scorta.

All'incrocio tra via Mario Fani e via Stresa il convoglio fu attaccato a colpi di arma da fuoco.

Insieme al maresciallo Oreste Leonardi furono uccisi:

Francesco Zizzi (Vicebrigadiere di Pubblica Sicurezza);

Domenico Ricci (Appuntato dei Carabinieri);

Raffaele Iozzino (Guardia di Pubblica Sicurezza);

Giulio Rivera (Guardia di Pubblica Sicurezza).


L'assalto armato di via Mario Fani si concluse con il sequestro di Aldo Moro.


Oggi, all'incrocio tra Via Mario Fani e Via Stresa a Roma, un sobrio e significativo memoriale - due epigrafi disposte quasi a ventaglio - ricorda quei cinque uomini caduti mentre svolgevano il proprio difficile lavoro.

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Il prof. Aldo Moro è ricordato nelle vie di molte città italiane, così come è ricordata la sua scorta: i Caduti di Via Fani, appunto.

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Anche nella nostra L'Aquila l'onomastica stradale ricorda Aldo Moro e la sua scorta; e li ricorda secondo una logica ben precisa: 

- Via Caduti di Via Fani; la strada che da Via Beato Cesidio (di fronte alla caserma dei Carabinieri) arriva fino all'incrocio con Via San Sisto;

- il lungo Viale Aldo Moro, che dall'incrocio con Via Francesco Paolo Tosti al Torrione arriva fino all'incrocio con Via San Sisto. 

Due strade importanti sviluppatesi proprio in quegli anni, parallelamente alla nascita dei quartieri subito a nord del centro cittadino.


Lì - all'incrocio con Via San Sisto - le due strade si incontrano - alla pari - e ciascuna delle due vie è la prosecuzione dell'altra: un'unica lunga arteria stradale che collega il Torrione con San Sisto fino alle porte di Piazza d'Armi (o 《Piazza d'Arme》).


Oggi, anche sotto quel cartello stradale, sarebbe importante che comparisse un altro muro della memoria virtuale: anche lì, basterebbe un semplice codice QR che raccontasse chi erano i Caduti di Via Fani e perché sono caduti; per evitare che - con il passare degli anni - il nome di quella strada non venga più compreso nel suo significato della Memoria.

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Non dobbiamo mai dimenticare la funzione didattica e la logica che stanno alla base dell'onomastica stradale, e ancor di più della toponomastica storica locale - in generale -.


Mauro Rosati

sabato 6 marzo 2021

Le Cattedrali della Terra

05 gennaio 2019
Le propaggini nord-occidentali innevate del massiccio del Velino-Sirente.
Veduta dalle alture subito a nord delle mura cittadine.
Cime imbiancate e città imbiancata, in una vera giornata di gennaio: cielo cristallino, temperature basse e neve 《scrocchiarella》! (Foto: Mauro Rosati; 2019)

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Le montagne sono le grandi cattedrali della terra, con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle.


Con queste parole John Ruskin - critico d'arte, scrittore, filantropo, osservatore e studioso eclettico - definiva le montagne: 

ossia allo stesso modo di come avrebbe potuto descrivere un'opera d'arte, e in particolare - in questo caso - una maestosa architettura.

Un esempio di come discipline diverse - e solo apparentemente distanti - possano suscitare lo stesso interesse se motivate da una curiosità di conoscenza 《a 360 gradi》.


In questo caso conoscenza delle arti umane e osservazione naturalistica.


Mauro Rosati

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04 marzo 2016
Le propaggini nord-occidentali innevate del massiccio del Velino-Sirente.
Stessa posizione di veduta ma nell'anomalo inverno 2015-2016, in cui la neve si fece vedere molto di rado.
Quell'anno solo due volte in città: l'11 febbraio e il 25 aprile 2016.
(Foto: Mauro Rosati; 2016)


05 gennaio 2019
Qui torniamo alla veduta di inizio 2019, ma con un 《cristallo》di luce rosa che 《si stacca》dal sole.
Le propaggini nord-occidentali innevate del massiccio del Velino-Sirente.
Veduta dalle alture subito a nord delle mura cittadine.
Cime imbiancate e città imbiancata, in una vera giornata di gennaio: cielo cristallino, temperature basse e neve 《scrocchiarella》!
(Foto: Mauro Rosati; 2019)

mercoledì 3 marzo 2021

《La mia ascesa al Monte Vesevo》


La ricordo bene quell'escursione, 22-23 anni fa. Ero un adolescente.


Negli anni della prima infanzia il Vesuvio era stato lo spauracchio delle mie nottate napoletane.

Bastava un minimo rumore assimilabile a un boato - anche una macchina che passava su una vicina strada trafficata - per farmi balzare dal letto.

Poi di giorno me ne dimenticavo: i giochi, le passeggiate per Napoli, e la paura passava.


Iniziate le Scuole Medie, il mio approccio con lo spauracchio Vesuvio era cambiato. Avevo iniziato a studiare i vulcani già da qualche anno, anche per curiosità personale: lo temevo lo stesso, ma in maniera razionale; non era più lo spauracchio della prima infanzia, pronto a lanciare il suo 《urlo》senza preavviso.

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Torniamo a quell'escursione fino al cratere. Mi sentivo pronto per guardare quel 《Godzilla》 fin dentro le sue fauci.

Era una mattina di inizio gennaio. Una giornata scozzese, anche se eravamo sul golfo di Napoli. Una veduta splendida, anche in una giornata dal tempo grigio.


Fino a un certo punto si sale in automobile, percorrendo una strada in salita nella valle che divide il cono del Vesuvio dal Monte Somma. Al lato della strada si vede la scia della colata di lava del 1944, l'eruzione più recente, documentata da molte immagini - anche video -.

Tra quella lava fredda e scura germogliavano il verde e il giallo delle ginestre e il verde degli alberi che erano rinati in quegli oltre 50 anni dalla colata.


Una volta lasciata la macchina si proseguiva a piedi fino ad arrivare al bordo del cratere.

Faceva freddo, eravamo oltre i 1200 metri, ma le giacche a vento da 《montanari》dell'Appennino proteggevano abbondantemente dai brividi.


Ero sul bordo del cratere: 

da un lato lo sguardo spaziava da Pozzuoli e Ischia - a nord - fino a Capri e Sorrento - a sud -, passando sullo spettacolo di Napoli città. 

Circa 80 km di golfo, in linea di terra.


Poi mi sono girato e mi sono diretto verso la staccionata di sicurezza per affacciarmi sulla bocca del vulcano.

È dagli anni '60 che il Vesuvio non 《fuma》più, dopo un ciclo di eruzioni regolari tra il 1631 e il 1944. Eruzioni intervallate da attività più bassa ma continua e costante: per questo usciva il pennacchio dal cratere, come lo vediamo in tanti dipinti e in tante foto; voleva dire che il condotto era aperto.


La mancanza del 《fumacchio》 induce falsa sicurezza in molte persone.


Fin da bambino ero invece consapevole della pericolosità di quel gigante.

E quel giorno l'ho guardato nelle sue fauci e l'ho sentito 《respirare》. Ricordo bene: sentivo degli sbuffi brevi, acuti, come quelli di una pentola a pressione; all'inizio non capivo da dove venissero.

Poi mi sono messo lì, fermo, a fissare il grande cratere: dalle pareti uscivano improvvisamente delle nuvolette, brevi, a intervalli di pochi minuti. 

Erano il respiro del gigante, i suoi gas: il Vesuvio parlava; sonnecchiava ma era vigile.

Guardando più attentamente mi accorsi che dai punti in cui uscivano i soffioni, le rocce erano di un colore giallo intenso - il colore dei gas a base di zolfo, tra i principali emessi dai vulcani -.


Dopo quella 《chiacchierata》 silenziosa - a tu per tu - con il Vesevo, avevo archiviato definitivamente lo spauracchio irrazionale della mia prima infanzia ma ero anche più consapevole di cosa fosse quel vulcano attivo: una stupenda veduta dal Golfo, ma anche una montagna da guardare con rispetto, da non sfidare da pari a pari.


Quell'escursione è stato un incontro voluto con il gigante Vesevo ma non sono salito con l'arroganza della sfida. Tutto il contrario: con il rispetto e il timore che si devono nei confronti delle forze della Natura.

Davanti a quel grande cratere percepivo e vedevo tutta la piccolezza di noi umani, 《formichine》quasi invisibili, mentre vedevo i turisti e gli escursionisti sulle altre sponde di quel cono dal diametro di quasi mezzo chilometro.


Prima di tornare ai parcheggi mi sono girato di nuovo a godermi l'incantevole panorama del golfo scozzese-napoletano.

Poi ho raccolto un paio di piccole pietre pomici: tanto quel cono ne produce in grandi quantità - ho pensato -.


Tornavo più soddisfatto, più consapevole, e orgoglioso di aver avuto il 《coraggio》di toccare con mano quella grande bocca che avevo visto sempre in fotografia o in TV.

Orgoglioso, ma non nel senso di 《tronfio》.

Tornando da quell'escursione mi sentivo più 《istruito》.

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[Curiosità storico-artistica]. Nel Convento dei Frati Minori di San Giuliano a L'Aquila è presente un dipinto di pieno Settecento. Opera del pittore veneziano Vincenzo Damini, rappresenta San Gennaro (patrono di Napoli) che tende la sua mano verso il Vesuvio in eruzione, per placare la furia del vulcano. Nel Settecento si era nel pieno del ciclo di eruzioni 1631-1944.

Ma che c'entrano San Gennaro e il Vesuvio con il Convento di San Giuliano? L'ipotesi più verosimile e accreditata sarebbe quella di un dipinto commissionato dal padre guardiano di San Giuliano dell'epoca,  che sarebbe stato napoletano.

Non dimentichiamo poi l'influenza artistico-culturale della pittura napoletana sull'opera di Vincenzo Damini (in particolare Francesco Solimena).

Vedi anche: 

https://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-damini_(Dizionario-Biografico)/

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Come vi sarete sicuramente accorti, fin dal titolo ho citato indirettamente due grandi nomi della letteratura italiana:

- lo 《sterminator Vesevo》menzionato da Giacomo Leopardi nella sua 《Ginestra》;

- l'《Ascesa al Monte Ventoso》, celebre lettera di Francesco Petrarca. Un altro monte, un altro posto, ma sempre il racconto di un'escursione particolare: il Monte Ventoso del Petrarca è più noto come Mont Ventoux, in Provenza.

Particolarmente noto a chi, come me, ama seguire le grandi corse a tappe. Il Mont Ventoux è uno degli arrivi di tappa più difficili e più celebrati del Tour de France.

Un classico, insomma, proprio come l'opera letteraria del Leopardi e del Petrarca.


Mauro Rosati

(aquilo-cicolo-napoletano) 😊

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Per approfondire sulle eruzioni vesuviane dal 1631 al 1944, vedi anche:


https://www.ov.ingv.it/ov/it/eruzione-del-1631.html


https://www.ov.ingv.it/ov/it/vesuvio/storia-eruttiva-del-vesuvio/eruzione-del-1944.html


https://www.ov.ingv.it/ov/it/catalogo-1631-1944.html

martedì 2 marzo 2021

Febbraio: mese d'Inverno?

Queste giornate di primavera troppo in anticipo, per il clima sono come un prestito 《a strozzo》. Quando verrà restituito, gli interessi saranno alti.

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Dal 19-20 febbraio circa, si è creata una 《gobba di cammello》dell'anticiclone africano che non si 《schioda》. Una 《gobba di cammello》 che si è spinta fin quasi verso l'Europa centro-occidentale.

Questa espressione della gobba viene utilizzata per indicare una particolare forma dell'anticiclone africano quando, 《schiacciato》da perturbazioni sulla penisola iberica, risale a forma di gobba su Italia e Francia in particolare.

Il cielo da azzurro diventa velato bianco lattiginoso, a causa dell'umidità che risale dal Mediterraneo surriscaldato. L'aria diventa fosca, con l'orizzonte poco nitido.

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Riassunto di febbraio 2021, mese invernale (sulla carta):

- 25 giorni di Primavera e 3 di Inverno;

- temperatura media di circa 2 °C sopra la norma (come se avessimo la febbre a 38,5 °C);

- temperature massime diurne fino a 11 gradi sopra il normale.

- piante germogliate in anticipo e 《bruciate》 dagli sbalzi termici.


Unica nota positiva: precipitazioni (pioggia e neve) abbondanti, nella norma del mese.


Mauro


Vedi anche: 

https://pianetalaquila.blogspot.com/2021/02/italia-periferia-del-sahara.html?m=1

sabato 27 febbraio 2021

La città «below zero»

27 febbraio 2018

Godersi la Città «below zero», con contorno di neve! 😉

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A Capopiazza! 

(Piazza del Duomo - Piazza del Mercato)

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In piazza della Repubblica (Quarto di San Giorgio)! 

Elegante palazzo d'angolo ristrutturato tra via dell'Arcivescovado (a destra) e via degli Alemanni (a sinistra)!

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Sotto i portici di San Bernardino (Quarto di San Giorgio)!
Palazzetto d'angolo (già Case Pica) tra via Fortebraccio (a sinistra) e via San Crisante (a destra)!

venerdì 26 febbraio 2021

I 《Moti aquilani》del 1971

 50 anni fa (26-28/02/1971)

I 《Moti aquilani》del 1971


Al di là delle opinioni:

una pagina di storia cittadina.


Al di là delle opinioni: 

un importante momento di mobilitazione civica collettiva.


https://www.facebook.com/media/set/?set=a.357486564304398&type=3

mercoledì 24 febbraio 2021

«Italia: periferia del Sahara»

(Fonte immagine: "Frate Indovino", calendario 2019)

 

Direi che possiamo revisionare la geografia climatica!


- Italia: periferia nord del Sahara.



- Italia: piccola India del Mediterraneo, con lunghe siccità alternate a violenti "monsoni" (siamo passati da 4 a 2 stagioni).

 


- Le Alpi: piccolo Himalaya d'Europa, sbarrano i “monsoni mediterranei” che "scaricano" sull'Italia.



- Fiume Po: piccolo Gange italiano.



- Mar Mediterraneo: piccolo Oceano Indiano, con il suo clima "tropicale".



Soltanto una "piccola" differenza:

il Sahara e le Indie sono alle latitudini tropicali; l'Italia invece è alle latitudini medie "temperate".



Causa (una delle cause):

l'Anticiclone delle Azzorre non si espande più regolarmente verso l'Italia.

Questo anticiclone era lo “scudo climatico” del Mediterraneo, un climatizzatore naturale: da un lato teneva a bada l'atroce Anticiclone africano - portandoci estati dal caldo moderato e gradevole -, dall'altro regolava l'afflusso delle correnti artiche e atlantiche. Così avevamo un giusto equilibrio tra sole, piogge e neve; tra caldo e freddo, mitigati fra loro.

Oggi questo scudo non copre quasi più l'Italia e al suo posto si alternano correnti roventi da Sud e correnti gelide da Nord, senza stagione: per cui - tanto in Estate quanto in Inverno - l'Italia è esposta a sbalzi termici violenti nel giro di poche ore.



Risultato.

L'Italia è diventata una linea di “trincea climatica” lungo la quale si scontrano violentemente - e si “coalizzano” - due opposti:

il rovente Anticiclone africano e le fredde - o gelide - correnti atlantiche e artiche.

 

Metaforicamente, immaginate di immergere un ferro rovente nell'acqua fredda.

 

Lo Scirocco e l'Anticiclone africano “spargono benzina” - surriscaldando la nostra atmosfera e i nostri mari -, mentre le correnti fredde Artiche e sub-artiche provocano la “scintilla” che innesca l'«esplosione climatica» - da ondate di calore a ondate di gelo, e viceversa -:

valanghe, piogge violente, trombe d'aria, fiumi che straripano, frane, allagamenti, mareggiate violente, mini-uragani mediterranei, “bombe di neve” e “bombe d'acqua”.

 

È l'energia termica accumulata dai nostri mari che, saturi di calore, la liberano violentemente in atmosfera.


E così, mentre il Texas - zona subtropicale - è stato colpito da neve e gelo estremo, l'Italia - zona "ex temperata" - registra temperature da mese di aprile inoltrato.

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Possiamo quindi riconoscere due stagioni prevalenti: 

- sei mesi di Estate, da aprile a settembre, rispettivamente con qualche intervallo di Primavera e di Autunno;

- sei mesi di Primavera, da ottobre a marzo, con qualche intervallo di Autunno e Inverno.



 

Mauro