sabato 12 dicembre 2020

Da un "Vaso di Rose" all'Universo della Mente

Vincent van Gogh, Natura morta: vaso con rose, olio su tela (71.0 x 90.0 cm. 
Saint-Rémy, Maggio 1890), National Gallery of Art, Washington.

(Fonte immagine: Pagina Facebook "Libriantichionline")

 


Un dipinto di Vincent van Gogh.


Un "semplice" vaso di rose, tra l’altro semi-appassite. Eppure quanta bellezza in quelle pennellate!

Un soggetto che in Storia dell'Arte si definisce tecnicamente "natura morta", ossia la rappresentazione di oggetti "inanimati": un vaso di fiori, un canestro di frutta, dei libri su un tavolo, e così via.
Eppure quanta vita in quella natura morta del vaso di rose del maestro olandese! Una vita che nasce sicuramente anche da quelle pennellate dinamiche e dalla verità dei colori, che ci fa quasi “toccare” quei fiori con lo sguardo.


Vincent van Gogh, un animo tormentato e sofferente, una personalità complessa. Così ce lo raccontano le sue biografie.

Eppure, anche se in quei suoi dipinti esprimesse degli stati d'animo personali che non possiamo capire, ci ha lasciato molte opere che spesso trasmettono serenità, intimità, "calore": una chiesa, la veduta di un campo, un cielo stellato, una strada di città illuminata dalle luci di un Caffè, degli ulivi, e tanti altri capolavori.

Ovviamente, tra i suoi capolavori ci sono anche opere più “crude”, a carattere più strettamente sociale.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------



L'eredità artistica del maestro olandese ci fa riflettere sulla complessità di quel grande Universo che è la mente umana: conoscenze, comportamenti, sentimenti, istinto, razionalità.

Un Universo che pare abbia ancora molto da essere esplorato.


Noi esseri umani, soprattutto contemporanei, abbiamo spesso la tendenza a "etichettare" e “catalogare” qualsiasi cosa, a dividere tutto in cassetti o compartimenti stagni.

 

Questo possiamo farlo forse con gli oggetti di casa o in un ufficio.

 

Ma è difficile poterlo fare con la varietà dei comportamenti umani: come definire, ad esempio, il carattere di una persona in modo esatto; possiamo forse individuare una "linea" di carattere, ma con tante sfumature, un po' proprio come quelle pennellate di van Gogh.

 

Così come è difficile - e personalmente penso sia anche sbagliato - dividere in compartimenti la vastità delle conoscenze umane, delle discipline, delle materie. Lo si può fare nello schema di un orario scolastico o accademico, però semplicemente per praticità organizzativa.

Ma, credo, non possiamo farlo nella vita di tutti i giorni: come stabilire un confine netto tra la Filosofia e la Matematica? Tra la Storia dell'Arte e la Chimica dei materiali (pietre, colori, ecc...)? Tra la Botanica e uno splendido acquerello con soggetto botanico? Tra le Scritture Sacre, la Mitologia e l'Astronomia? Tra la Musica e la Matematica? Un musicista è anche un matematico, come sembrano dimostrare numerose ricerche neuroscientifiche.

 

Quindi come stabilire un confine esatto tra i tanti Saperi dell'essere umano?

 

Personalmente non ne sarei capace!

 

Vedo la conoscenza umana proprio come quel dipinto di Van Gogh da cui siamo partiti: tante tonalità di colore differenti ma allo stesso tempo sfumate, non distinguibili nettamente l'una dall'altra, con i colori "freddi" resi "tiepidi" dalle tonalità più calde - e viceversa -.

E pensiamo che la conoscenza umana è a sua volta "piccola" rispetto a quanto c'è da studiare e da conoscere dell’Universo in generale.


Ecco perché mi dispiace quando ancora si parla di "Scienza" e "Umanesimo" come due mondi separati; quando si parla delle materie umanistiche come qualcosa di "vecchio", da archiviare, da togliere dai programmi scolastici per evitare “inutili perdite di tempo”.

 

Non è così! Almeno per come la vedo io!

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 


Concentriamoci innanzitutto proprio sulla parola "Scienza": al giorno d'oggi usiamo questo termine per indicare soltanto le Scienze Naturali e quelle affini.

 

Torniamo invece all'etimologia, all'origine latina di "Scienza".  

Dal latino “Scientia”, un sostantivo che indica un mondo molto più vasto: tutta la conoscenza umana, quella naturalistica e quella umanistica, quella teorica e quella pratica; spesso le “Scienze”, le conoscenze, partono proprio dall’osservazione empirica, semplice, quotidiana che poi si cerca di spiegare e diventa teoria per essere contenuta nei libri.

 

Che bellezza in quella metafora che paragona la scrittura all’aratura dei campi e alla semina!

 

Proprio questa è la funzione della Scrittura: seminare qualcosa su un foglio bianco in modo che tutti la possano raccogliere una volta matura, cioè una volta che quel foglio è stato riempito. Il “raccolto” consiste nella lettura critica e nell’apprendimento, che a sua volta stimola nuove idee e nuove riflessioni; e quindi, nuove “semine” in nuovi campi.

Allora mi fa piacere sentire e leggere, da qualche anno, di “Scienze Umane”, “Scienze Matematiche”, “Scienze Naturali”, e così via.

Tutto il sapere umano è “Scienza”, e ogni Scienza ha bisogno dell’altra per completarsi! Sono, cioè, reciprocamente complementari.

 

Se le Scienze Naturali studiano e ci insegnano i meccanismi dell’Universo, le Scienze Umane ci insegnano l’Etica, la capacità di ragionare, arricchiscono il nostro linguaggio e facilitano la nostra “confidenza” con la parola scritta e con la parola “orale”.

La Filosofia (incluse le Scienze Religiose) ci "allena" al ragionamento, alla riflessione.

La Letteratura ci educa alla capacità di espressione scritta e orale, ci educa alla sensibilità, arricchisce il patrimonio del nostro vocabolario personale, a tutto vantaggio del nostro linguaggio. Letteratura italiana, Letteratura dialettale, Letteratura straniera. “Letteratura” nell’accezione più ampia del termine: ci metto anche il Teatro, il Cinema, l’Opera, la Musica, anch’essi espressioni letterarie (e anche matematiche; ad esempio la  Poesia con la sua metrica, e - come abbiamo già visto - la Musica).

E la Storia, “Maestra di Vita” con i suoi esempi e i suoi insegnamenti, fondamentali per comprendere il presente e per non commettere sempre gli stessi errori.

Il Greco e il Latino, anche oggi fondamenti del linguaggio delle Scienze tecnico-sperimentali oltre che di quelle umanistiche. Due lingue antiche che spesso, nella vita di tutti i giorni, ci aiutano per esempio a capire il significato di una parola, anche senza avere un vocabolario a portata di mano (cartaceo o digitale che sia).

E l’Archeologia, che va “a braccetto” sia con le Scienze Umane sia con quelle Tecniche, Naturali e affini. La ricerca archeologica: uno studio “materiale” del passato che ci dà risposte utili per capire il presente e per pianificare le cose con più chiarezza e consapevolezza.

E poi, un altro campo della conoscenza umana che personalmente ritengo degno di essere tutelato pienamente dalla Legge e considerato materia didattica: il Dialetto. Il Dialetto ci tramanda la cultura (materiale e immateriale) e la saggezza dei nostri antenati, quegli uomini di Scienza che magari non sapevano né leggere né scrivere ma che conoscevano molto delle leggi della Natura perché le imparavano dal lavoro di tutti i giorni: nei campi, in mare, tra i boschi, nei pascoli. Anche grazie a loro le Scienze accademiche sono progredite nel corso dei secoli. Donne e Uomini che non sapevano leggere o scrivere, o lo facevano a malapena, ma che erano capaci di prevedere il meteo, sapevano su quali terreni si poteva o non si poteva costruire, sapevano a che profondità interrare un nuovo albero messo a dimora. E tanti altri sarebbero gli esempi possibili. Conoscenze che provenivano dall’esperienza e dall’osservazione diretta delle cose, delle quali si faceva tesoro e diventavano patrimonio da tramandare di generazione in generazione, finché poi qualcuno finalmente non lo metteva per iscritto.



A titolo di esempio, mi vengono in mente due brevi testimonianze personali che ho raccolto negli anni.

 

1 - Un mio zio paterno, tra i molti ricordi di quando era ragazzino, me ne ha raccontato uno particolarmente curioso, anche se normale per chi conosce l’intelligenza animale: nei mesi autunnali e invernali, quando si dovevano riportare i bovini al riparo della stalla (come altri animali), prima che scendesse la notte con il suo gelo, a volte accadeva qualcosa di apparentemente insolito. Questi animali si fermavano all’ingresso della stalla (quasi “si piantavano”) e iniziavano a scuotere la testa con un movimento ripetitivo verso l’alto, come se “annusassero” l’aria; e quasi certamente era proprio così, annusavano l’aria. Qualche ora dopo, puntualmente arrivava la neve.

Ecco, quindi, che nella cultura dell’esperienza, quel fenomeno apparentemente semplice, valeva come una previsione meteorologica.

 

Nota. Non serve elencare i tantissimi proverbi dialettali a tema meteorologico, dalle tante realtà locali italiane: tutti nascevano da una osservazione scientifica ripetuta che, con il tempo, acquisiva il valore della “regola”. Ancora oggi, se prestiamo attenzione, possiamo ad esempio capire se stia per arrivare un temporale estivo quando vediamo le nuvole in una certa direzione, diversa da luogo a luogo; anche noi umani, se annusiamo l’aria possiamo percepire l’“odore della neve”, probabilmente più in ritardo rispetto agli altri animali.

Come sicuramente molti tra voi lettori, anch’io, fin dall’infanzia ho imparato spontaneamente a riconoscere l’“odore della neve” in arrivo, portato dai venti di Tramontana, di Aquilone, di Bora (quest'ultima collegata al Buran della pianura sarmatica; ma anche il vento di Borea citato ad esempio nel libro V dell’Odissea, durante il naufragio della zattera di Ulisse che si conclude con l’arrivo sulle coste dell’isola dei Feaci:

«Ma Atena […] Destò solo il rapido Borea, e l’onde gli ruppe davanti, / sicché tra i Feaci amanti del remo arrivasse / il divino Odisseo, sfuggendo la morte e le Chere.»).

 

2 - Poi mi viene in mente un racconto personale del signor Giuseppe “Peppino”, aquilano: ricorda quando da bambino vedeva suo nonno piantare un nuovo albero da frutto, aiutato dai suoi figli (il padre e gli zii del signor Peppino). Il nonno non aveva manuali che gli indicassero la profondità “giusta” della buca o la qualità del terreno più adatto; “semplicemente” si sedeva al bordo della buca e con i piedi nudi sul fondo dello scavo “assaggiava” il terreno finché non diceva «adesso va bene!», ossia quando sentiva che il terreno aveva la giusta umidità. Quel concetto di “giusto” gli derivava dall’esperienza di una vita, e magari gli era stato a sua volta tramandato.

Un po’ come il “quanto basta” (q.b.) nell’arte del cucinare.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------



E così, tornando al discorso più generale, ci potremmo chiedere:

- si può essere veramente buoni Storici dell’Arte se non si conoscono almeno un po’ la natura dei materiali, il contesto storico di un’opera, la Filosofia e le Scritture Sacre?

- Si può essere veramente buoni Architetti e buoni Ingegneri se non si conoscono almeno un po’ la cultura di un territorio, il concetto di “paesaggio”, il concetto di “contesto”? Il Paesaggio, semplificando, non è altro che la “somma” di un Territorio con la Cultura di chi lo abita; ossia il Territorio più uno "Sguardo" (inteso come il modo di vedere un certo Territorio da parte di una certa Cultura). E chi, se non la Storia (Storia dell’Arte compresa), le Scienze Demo-Etno-Antropologiche - e affini - possono aiutare a comprendere un “contesto paesaggistico”?

-  Si può essere veramente buoni Medici se non si hanno anche princìpi etici ed empatìa?

E chi, meglio della Filosofia (nel senso più ampio), può aiutare a formare un’etica professionale?

 

Mi fermo qui con gli esempi che potrebbero essere davvero tanti.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------



Per concludere, allora: rifiutiamo la conoscenza concepita come “compartimenti isolati”, dove ogni disciplina sta per conto suo, come in un mobile di casa con tanti cassetti separati!

Certo, ognuno di noi avrà la sua predilezione e la sua specializzazione; non si può essere “tuttologi” (“omniscienti”, se preferite un sinonimo più raffinato).

Nessuno, però, ci può impedire di allargare la nostra mente verso altre “Scienze”, che molto spesso si sfiorano o si intrecciano l’una con l’altra. Nessuno ci impedisce di essere curiosi di conoscenza e di far viaggiare la nostra mente verso tanti campi del Sapere umano, di confrontarci con chi ha “specializzazioni” diverse dalle nostre per poi accorgerci di quante cose abbiamo in comune, di fare collegamenti.

Non dobbiamo porre limiti alla “coltivazione” della nostra Mente, del nostro Pensiero; è una “coltivazione” che deve proseguire sempre, possibilmente senza limiti di età.

 

D’altra parte, che cos’è la Cultura? Se prendiamo il termine alla lettera, è proprio “coltivazione”; dal latino “colere” (= coltivare). Poi, appunto, ognuno di noi avrà le sue coltivazioni predilette; chi coltiverà una cosa, chi un’altra. Ma non mettiamo recinti al nostro “campo” da coltivare e, se ci va, proviamo anche nuove coltivazioni, e magari allarghiamo il nostro “podere” intellettivo.

La Mente è un terreno di proprietà nostra - idealmente senza recinto - per cui coltiviamola come meglio crediamo ma sempre in direzione del “più” e non del “meno”. Proprio come farebbe un buon contadino, finché la coltiviamo manteniamo lontane le “erbacce” infestanti dell’Ignoranza; e l’Ignoranza con la “I” maiuscola non dipende dal titolo di studio ma da una mente poco coltivata, dove può attecchire l’erbaccia dell’ottusità.

Si può essere anche analfabeti ma si può avere tanto da insegnare oltre che da imparare - e viceversa -.

Si può essere anche analfabeti ma avere una mente aperta e predisposta a nuove coltivazioni - e viceversa -.

L’analfabetismo in senso classico non è una scelta e quindi nulla toglie al potenziale intellettivo di una persona.

 

Insomma, non mettiamo limiti all’Universo complesso della mente umana e non dimentichiamo che anche gli altri animali possono avere menti complesse e aperte, magari molto più di quanto potremmo immaginare!



 

Mauro Rosati

martedì 8 dicembre 2020

L'8 dicembre del signor Spartaco

(Anno 1935; fonte immagine: M.P. RENZETTI, L. MARRA, F. CAPALDI, Aquila in cartolina, One Group Edizioni, L'Aquila 2010)


In questo breve racconto che segue ho messo insieme frammenti di memorie orali, raccolte negli anni da testimoni diretti e indiretti, su uno degli eventi più tragici della nostra città nel Novecento.

Si tratta di testimonianze raccolte “a memoria” durante delle chiacchierate e quindi mi scuso con i lettori per eventuali passaggi che dovessero apparire più “vaghi”.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------



La mattina dell’08 dicembre 2006 mi stavo recando al Convento di San Giuliano per andare al lavoro; ero uno studente universitario e, oltre che per i miei studi, già da molto mi interessava la Storia: mi piaceva leggerla sui libri ma anche sentirla raccontare da chi l’ha vissuta direttamente.

Al tempo delle Scuole Medie la professoressa di Scienze Umane ci aveva indirizzato attivamente alla conoscenza del nostro territorio e alla ricerca storica, sia orale sia documentaria.


Quella mattina dell’08 dicembre 2006, a San Giuliano c’era anche il signor Spartaco - classe 1925 - mio vicino di pianerottolo, persona alla mano, semplice e spiritosa (nell’accezione positiva di questi termini). Lui e sua moglie Lisa erano stati tra le prime persone che conobbi appena trasferitomi a L’Aquila da adolescente con la mia famiglia. Fin dal primo giorno ci accolsero con tanta disponibilità, generosità e ospitalità, da vicini di casa “di una volta” (o “de 'na 'ote”, se preferiamo).

Forse, per questo, con il tempo li considerai un po’ come dei "terzi nonni", sempre nel senso positivo dell'espressione.

 

Torniamo di nuovo all’08 dicembre 2006. Era una mattinata limpida di sole, di quel sole invernale cristallino e gradevole che regala tepore e una luce particolare e suggestiva; le ultime nebbie della nottata si andavano diradando nelle zone più basse della città, in particolare verso il fiume Aterno.

Tra una parola e l’altra, si finì con il ricordare l’anniversario del bombardamento alleato del 1943, nella zona della Stazione ferroviaria. Non ricordo esattamente come si arrivò al discorso, ma ricordo sufficientemente il racconto del signor Spartaco.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------


- Era ’na bella jornata, propitu come oggi! - esordì, riferendosi all’08 dicembre 1943.

Il signor Spartaco aveva 18 anni e, insieme ad altri ragazzi, era stato obbligato dai militari nazisti a prestare lavoro quotidiano come una sorta di “garzone-prigioniero”. Eravamo nei mesi dell’occupazione nazista della nostra città e del nostro territorio, ossia quel periodo compreso tra l’08 settembre 1943 e il 13 giugno 1944, il giorno della liberazione dell’Aquila.

In quei mesi il signor Spartaco era stato fermato dai Nazisti insieme ad altri ragazzi, più o meno della sua fascia di età. I giovani e i giovanissimi uomini, infatti, erano particolarmente sospettati di essere “fiancheggiatori” dei partigiani, se non addirittura partigiani essi stessi.

Dopo il “fermo” era stato condotto presso il carcere allestito dagli occupanti nei locali dell’abbazia di Collemaggio, a destra della Basilica. Lì vennero perquisiti, chiusi in celle fredde, e poi rilasciati quando era stata accertata la loro “estraneità”.

Per cui vennero presi come manodopera per i lavori manuali di ordinaria amministrazione.

 

La mattina dell’08 dicembre 1943, il signor Spartaco si trovava presso la Caserma “Edmondo De Amicis” (il complesso, oggi abbandonato, che si vede a destra guardando la facciata della Basilica di San Bernardino).

Mentre era lì, con altra gente che passava lungo la strada antistante, iniziò a sentire il rumore di aerei che arrivavano dal lato nord. Il signor Spartaco ricordava di aver visto gli aerei provenire dalla direzione di San Giuliano, prima una formazione aerea e poi una seconda.

Gli aerei erano distanti e, al luccichìo del sole, lui e gli altri che si erano fermati a guardare, videro delle piccole cose che iniziavano a cadere dagli aerei. Molte persone esclamarono: - i fuglittini! I fuglittini! – (i “fogliettini”, con riferimento ai famosi volantini lanciati di tanto in tanto dagli Alleati per incitare la popolazione civile alla resistenza e alla ribellione contro l’esercito nazista occupante).

 

Neanche il tempo di pronunciare quelle parole - qualche secondo - e si sentirono dei boati prima dalla direzione di Piazza d’Armi (o Piazza d'Arme) e poi sempre più frequenti verso Villa Gioia, la Rivera e, in generale, dalla zona del fiume ai piedi di Monte Luco. A quel punto la gente aveva capito che non era il solito lancio di volantini ma un bombardamento vero e proprio condotto dagli Alleati. Tra gli obiettivi principali c’erano la Stazione ferroviaria e lo stabilimento della Zecca, ma - pare - anche l’area di Piazza d’Armi dove i Nazisti avevano allestito un piccolo “aeroporto” (una pista) per i velivoli leggeri (in ogni caso, Piazza d’Armi – o Piazza d’Arme – doveva essere probabilmente un obiettivo secondario).

Dai racconti della gente che erano iniziati a circolare in città, si veniva a sapere che le prime bombe erano cadute appunto su Piazza d’Armi, poi su Villa Gioia - dove all’epoca c’era la caserma “Vincenzo De Rosa” -, e poi sempre più numerose sulla zona della Stazione e della Zecca (i due principali obiettivi, come già scritto). Vennero coinvolte anche abitazioni civili tra la Rivera e il fiume Aterno, vicine alla zona interessata.

 

Nota. La caserma “Vincenzo De Rosa” (18° Reggimento di Artiglieria) si trovava principalmente nel sito dove oggi sorgono il Palazzo di Giustizia e gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate: come “testimone” di quella caserma è rimasta oggi la facciata di uno dei fabbricati adibito a scuderia, restaurato insieme alle Mura negli anni recenti; si tratta di quella grande facciata - che a prima vista si può scambiare per una chiesa - che vediamo all’altezza dell’incrocio tra Via Rocco Carabba e Viale XXV Aprile (il viale che scende alla Stazione).

Fino al sisma del 2009, esistevano altre due testimonianze della caserma "De Rosa": una gradevole palazzina subito all’inizio di Via Francesco Filomusi Guelfi, dietro il Tribunale, dove adesso c’è uno dei parcheggi per il Palazzo di Giustizia; la palazzina, costruita a uso residenza militare, è stata demolita nei primi anni successivi al terremoto del 2009. Un’altra testimonianza era invece una garitta un po' “neogotica” (tardo-ottocentesca) costruita sulla base di un bastione delle Mura medievali davanti al Tribunale, in prossimità dell’incrocio tra Viale XXV Aprile e Via XX Settembre; era ben distinguibile dal bastione sottostante perché costruita con una tecnica muraria diversa. Questa garitta, che somigliava un po’ alla parte alta (la cella campanaria) del campanile di San Silvestro, è crollata a causa del sisma del 2009 ma non è stata ricostruita durante il restauro delle Mura.

Lo stabilimento della Zecca - invece - si trovava poco più a ovest della stazione, vicino alla confluenza del torrente Vetojo nel fiume Aterno, dove oggi c’è lo stabilimento ex sede dell’azienda Alenia, danneggiato dal sisma del 2009 e attualmente in stato di abbandono.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

Le ultime bombe caddero ai piedi di Monte Luco, sganciate dagli aerei per non riportare il “peso” fino alla base e per risparmiare quindi il carburante.

Dall’altura di San Bernardino, dove era il signor Spartaco, si vedeva bene la nuvola di fumo che saliva dalla zona più bombardata.


Il signor Spartaco, all'epoca, viveva in Via Giorgetto, una delle belle stradine che si trovano tra le gradinate e vicoli caratteristici, che salgono da Via Fontesecco verso il Colle dell'Addolorata ("Via Giorgetto" collega "Via Buccio di Ranallo" con "Vico dell'Ortica").

 

In quegli stessi istanti, altri due testimoni si salvarono casualmente.

La signora Lisa, futura moglie del signor Spartaco, era con altre ragazze a lavare il bucato nella zona delle Novantanove Cannelle; alcune “schegge” delle esplosioni schizzarono fin lì e anche più lontano, come si sa da tante altre testimonianze. La signora Lisa rimase fortunatamente illesa ma, come tanti altri, dovette andare a scavare tra le macerie di alcune abitazioni per cercare parenti, conoscenti, amici.

Anche la signora Maria, sorella della signora Lisa, si salvò per pochi minuti. Era in casa poco prima del bombardamento e le chiesero di andare a prendere l’acqua alla fonte con un recipiente di vetro, come si faceva ancora in tutte le case senza acqua corrente; e a svolgere queste mansioni si mandavano ovviamente bambini e ragazzini, i più giovani, i più agili - e sempre con la raccomandazione severa di fare attenzione a non rompere il preziosissimo vetro (tanti anziani narrano questo ricordo della paura di rompere il vetro; anziani di oggi, bambini di allora) -. Mentre la signora Maria, allora giovanissima, era a prendere l’acqua, caddero le bombe proprio vicino a dove abitava anche lei.

 

Inutile descrivere le scene successive.

 

La signora Maria mi raccontò questo frammento di storia personale poche settimane dopo il terremoto del 2009: alla fine del racconto esclamò - e so’ due! -; intendeva dire che si era salvata due volte, prima dal bombardamento e poi dal terremoto.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Tante furono le vittime di quel bombardamento, civili e militari, in particolare molte lavoratrici e diversi lavoratori presso lo stabilimento della Zecca, abitanti della zona della Rivera, ferrovieri, militari nazisti ma anche militari anglo-americani prigionieri, che erano chiusi nei vagoni fermi alla Stazione ferroviaria: uno dei paradossi delle guerre; bombardieri alleati che avevano ucciso i loro stessi soldati a terra.

La cronaca storica di quell’08 dicembre 1943 è ricca di articoli e di bibliografia (libri, ricerche) oltre a tante altre testimonianze dirette. Per cui non mi dilungo ulteriormente e mi avvio a concludere questo ricordo, riportando altri due frammenti di memoria orale.

 

L’08 dicembre 1943, il signor Giacinto - oggi quasi novantenne - era poco più di un bambino. Pochi anni fa raccontava che nei giorni immediatamente successivi al bombardamento, passò per il Viale che scendeva alla Stazione (l’odierno Viale XXV Aprile) insieme a una donna adulta sua familiare (non ricordo se una zia). A distanza di tanti decenni, ricordava in modo indelebile che un po’ ovunque si vedeva ancora del fumo, e soprattutto ricorda un odore di carne bruciata; inutile scendere nel dettaglio e ipotizzare da dove probabilmente provenisse quell’odore.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Lo “strascico” di quel bombardamento rimase non solo nella memoria di chi l’aveva vissuto, ma per diversi anni anche alla vista di tutti i giorni.

Il signor Paolo, classe 1947, ricorda che nella sua prima infanzia, quando con una sua familiare adulta si recava a piedi da Via XX Settembre alla Rivera, percorreva una strada a curve in discesa; dovrebbe trattarsi dell’odierna Via di Poggio Santa Maria, che tutt’oggi conduce fino a Borgo Rivera.

Il signor Paolo ricorda chiaramente, al lato di questa strada, una croce collocata a terra: quella croce segnalava alla gente la posizione di una bomba aerea inesplosa non ancora “bonificata”; eravamo più o meno nel periodo tra la fine degli Anni ’40 e l’inizio degli Anni ’50 del Novecento.


Diverse furono le "bonifiche" successive alla Guerra.

 

È cronaca più “recente”, la grande operazione di “bonifica” dei binari della Stazione effettuata negli Anni ’80 e di cui esistono molte attestazioni storiche, sia grafiche sia fotografiche.

Ancora alla fine del Novecento, ogni tanto spuntava qualche bomba inesplosa, soprattutto durante gli scavi per la costruzione di palazzine nei dintorni della zona bombardata.

 

Nota. L’immagine storica (1935) che avete visto in alto è una veduta, da est verso ovest, dell’area della Stazione ferroviaria e dello stabilimento della Zecca, prima del bombardamento del 1943.

Non ho inserito la didascalia all’inizio per non “anticipare” visivamente il racconto, anche se molti di voi avranno sicuramente riconosciuto subito la veduta.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------


 

E così, cercando di legare fra loro questi spezzoni di memorie, ho pensato che fosse importante riportarli per iscritto - nella forma di un unico breve racconto -.

Sia nel ricordo di quella mattina di dicembre del 1943, sia nella volontà di “agganciare” questi racconti - raccolti in momenti diversi - a tante altre testimonianze dell’epoca.

 

Oggi il Piazzale della Stazione – così lo chiamiamo comunemente – è intitolato proprio alla memoria di quei Caduti: “Piazzale Caduti 8 dicembre 1943.

 

 

 

Mauro Rosati

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------



Sulla cronaca storica di quel bombardamento, suggerisco la lettura di questo articolo (2013) del prof. Walter Cavalieri: 

https://www.ilcentro.it/l-aquila/settanta-anni-fa-le-bombe-sulla-stazione-1.1263689


domenica 6 dicembre 2020

Il "Santo dei doni"

 

( Fonte immagine: 
https://www.santodelgiorno.it/san-nicola-di-mira/ )


San Nicola / San Nicolò (o San Niccolò) / Ághios Nikólaos / Sankt Nikolaus / Saint Nicholas / Sinter Claes


Dalle Province d'Italia ai Paesi Bassi!

Tante varianti linguistiche per indicare San Nicola vescovo di Myra (in Italia più noto come San Nicola di Bari). 

Il Santo "dei doni", un Santo tra i più popolari in tante aree geografiche. Il "Babbo Natale" più antico, potremmo dire. :-)

----------------------------------------------------------------------------------------------------


La chiesa di San Nicola d'Anza

Premesso che nel calendario esistono anche altri San Nicola, nella nostra città c'è la chiesa di San Nicola d'Anza (San Nicolò di Sant'Anza) che dovrebbe essere intitolata proprio al San Nicola più popolare: è la chiesa degli abitanti di Sant'Anza dentro le mura. Tra le chiese più antiche della città; oggi non è officiata ma è lo stesso di notevole interesse storico-architettonico, bisognosa e meritevole di recupero (ad esempio come spazio socio-culturale a beneficio del quartiere circostante).

------------------------------------------------------------------------------------------------


Iconografia di base

Nelle forme più classiche, oltre alla veste da vescovo, i principali attributi iconografici di San Nicola sono: 

- tre sfere d'oro (o tre frutti) che regge con una mano e che richiamano la "leggenda della dote alle fanciulle"; 

- e poi, i tre fanciulli in basso, che compaiono in molte sue rappresentazioni.


Questi attributi, in particolare le tre sfere d'oro, aiutano a non confonderlo con altri Santi vescovi.

------‐---------------------------------------------------------------------------------------------


Qualche articolo di spunto, tra i tanti, per conoscere meglio la figura di San Nicola.


La leggenda di San Nicola

https://www.google.it/amp/s/www.focus.it/amp/cultura/storia/come-nata-la-leggenda-di-babbo-natale


San Nicola nella Pittura

http://www.basilicasannicola.it/page.php?id_cat=1&id_sottocat1=42&titolo=Beato%20angelico


Agiografia di San Nicola 

("Agiografia" è un vocabolo che indica la biografia di un Santo)

http://www.santiebeati.it/dettaglio/30300


Mauro Rosati

mercoledì 2 dicembre 2020

Anche il "PIL", ma non solo

(Fonte immagine: «Finanza Semplice»)

 


«Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.» (dal «Discorso sul PIL» di Robert “Bob” Kennedy, 18/03/1968)

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Un passo dal cosiddetto «Discorso sul PIL» di Robert Kennedy. Gli altri passaggi sono riportati in fondo alla pagina.

 

Ovviamente questo passaggio va interpretato e bisogna saperlo leggere nella sua essenza.

Non vuol dire che non dobbiamo produrre ricchezza né migliorare le nostre condizioni economiche, vuol dire invece una cosa più importante: la produzione della ricchezza va messa su una bilancia a due piatti insieme al benessere fisico e psichico della persona.

Finché le due cose sono in equilibrio un sistema economico è produttivo e sano.

Se invece l'equilibrio si sbilancia troppo e soltanto verso la ricerca “forsennata” della produttività e del denaro, compromettendo la felicità e la salute psico-fisica degli individui e della società, allora dobbiamo "rallentare" o "fermarci" un attimo.

A quel punto, meglio un pochino più "poveri" ma nel benessere personale: per “più poveri” non si intende diventare disoccupati e affamati; vuol dire invece un viaggio in meno, un'automobile in meno e magari più piccola, riparare le cose anziché buttarle, uno “sfizio” extra in meno (e tanti altri possibili esempi).
Insomma, piccole rinunce che però ci riportano alla giusta dimensione umana: lavorare meno ore ma lavorare tutti, qualche straordinario in meno e più tempo da dedicare alle proprie famiglie; tutto quello che ci fa stare meglio come esseri umani, liberandoci da sovraccarichi eccessivi che ci possono sfinire.


Allora ecco che il PIL è importante ma non può essere l'unica unità di misura del benessere di una nazione; la corsa sfrenata alla continua crescita del PIL non deve diventare "nevrosi collettiva".
Quando è necessario, meglio qualche punto in meno di PIL e salvaguardare la salute e il benessere dei cittadini.

Anche perché è fisiologico: il mercato non può crescere sempre, ce lo insegna la storia; ci sono momenti in cui la produzione arriva alla saturazione e l'offerta diventa troppa rispetto alla domanda. E quindi, ciclicamente, si arriva sempre a un punto di crisi; vale a dire: quando il PIL si ferma a “riprendere il fiato” o addirittura fa qualche passo indietro.


Un sistema economico in perenne crescita credo che non esista: ci sono rallentamenti, soste e poi ripartenze.

 

Tra l’altro, fin dagli anni Settanta del XX secolo si parla anche di FIL (Felicità Interna Lorda) e diversi economisti contemporanei sostengono questo approccio: la “Felicità”, intesa come benessere psico-fisico complessivo, è fondamentale per poter godere dei benefici di un buon PIL (Prodotto Interno Lordo).

 

 

Mauro

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------



P.S.. Di seguito tutti i passaggi del «Discorso sul PIL» di Robert Kennedy:

 

«Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.

 

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.

 

Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

 

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

 

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.

 

Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

 

Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani

 

(Fonte: https://www.comprensivo8vr.edu.it/attachments/article/369/Discorso%20sul%20PIL%20di%20Robert%20Kennedy%20del%2018%20Marzo%201968.pdf )