sabato 11 novembre 2023

11 NOVEMBRE: RICORDANDO LA CHIESA DI SAN MARTINO...NEL GIORNO DI SAN MARTINO


《11 NOVEMBRE: 

RICORDANDO LA CHIESA DI SAN MARTINO...

...NEL GIORNO DI SAN MARTINO》


11 novembre: San Martino di Tours

Ricordando (in breve) la chiesa scomparsa di San Martino intra moenia.


Fino a circa novant'anni fa, nella nostra città di Aquila esisteva una chiesa intitolata a San Martino, più precisamente a San Giustino e San Martino (doppia intitolazione).

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Andiamo per ordine.


1 - Ai tempi della fondazione di Aquila la chiesa parrocchiale di San Martino fu edificata dai castellani del Chiarino nel loro locale dentro le mura (intra moenia). Il locale di Chiarino, e la sua parrocchiale, si trovavano nell'ampia area dove oggi sorge la Fortezza cinquecentesca.

Siamo quindi nel Quarto di Santa Maria.


2 - Con l'inizio dell'occupazione spagnola (terzo decennio del XVI secolo) e la costruzione del Forte, tutti i locali situati all'estremo nord-est della città furono demoliti per fare spazio alla cittadella fortificata e alla sua spianata circostante 《di rispetto》, com'era d'uso per le fortificazioni militari.

E così, tutte le chiese, le case, i monasteri situati in quel settore vennero demoliti, e la maggior parte di essi si ricollocò in altre zone della città.


3 - Fu così che anche la parrocchia di San Martino del Chiarino (intra moenia) dovette trovare nuova sistemazione. A meno di un chilometro in linea d'aria, i parrocchiani del Chiarino trovarono ospitalità presso l'antica chiesa di San Giustino, seconda chiesa dei paganichesi dopo la vicina Capoquarto di Santa Maria, e così denominata dall'omonima villa (e chiesa) di San Giustino in territorio di Paganica.

Con l'aggregazione della parrocchiale di San Martino, la chiesa assunse il doppio titolo di San Giustino e San Martino.


4 - Ma dove si trovava la chiesa di San Giustino e San Martino?

Ce lo suggerisce l'odonomastica (=onomastica stradale) cittadina:

la chiesa si trovava (《ovviamente》) sul lato nord dell'odierna Piazza (del) Chiarino, ad angolo con Via San Martino, con il fianco nord parallelo all'odierna Via Giuseppe Garibaldi.


5 - Arriviamo all'epilogo.

Negli anni '30 del Novecento, dopo il Piano Regolatore del 1931, la nostra città vede nuovi interventi di sventramento e demolizioni, già iniziati dopo l'Unità d'Italia e proseguiti, in varie riprese, fino agli anni '60 del Novecento.

Nel 1934, la chiesa di San Giustino e San Martino non era più officiata al culto e ospitava una falegnameria-segherìa; ma, a parte rifacimenti e spoliazioni degli interni, non aveva perso quasi nulla del suo valore storico-architettonico complessivo. Era una delle chiese più antiche della città con una splendida muratura in apparecchio aquilano (《opus aquilanum》) riconoscibile dai caratteristici filari di pietra a cubetti (tipo San Silvestro) ben visibili su Via Garibaldi, e poi un bel portale medievale che si apriva su Piazza (del) Chiarino, una facciata quadrata con un campanile a vela e altari laterali interni frutto probabilmente di ristrutturazioni avvenute dopo il sisma del 1703.

Ciò nonostante, con argomentazioni che si potrebbero definire 《pretestuose》, la commissione incaricata deliberò ad ampia maggioranza per la demolizione. Soltanto Ignazio Carlo Gavini, che ben ne conosceva il valore (del quale aveva dato ampia esposizione anche in pubblicazioni), si pronunciò contro la demolizione di quel gioiellino architettonico che racchiudeva intimamente Piazza (del) Chiarino, accessibile da Via Garibaldi attraverso il vicoletto compreso tra l'abside della chiesa e il Palazzo Lely-Cappelli.

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Ed eccoci ad oggi!

E così, dopo quella improvvida demolizione di novant'anni fa, oggi soltanto le foto d'epoca e l'onomastica stradale di quella zona ci vengono in aiuto, a ricordarci di quella significativa presenza architettonica:

《Piazza del Chiarino》 e 《Via San Martino》, appunto.


E sempre oggi, magari, disegnare la pianta di quella chiesa sul selciato stradale ci potrebbe aiutare a meglio comprendere e a meglio immaginare questo importante edificio ecclesiale che, per oltre seicento anni, ha caratterizzato e definito quell'angolo della nostra città.


Mauro Rosati

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venerdì 3 novembre 2023

ARCHITETTURE 《(?)MINORI》...MA NON PER L'INGEGNO!

Fig. 1 - Porta con soluzione ad arco ligneo.


Fig. 2 - Cantonale del fabbricato.

Fig. 3 - Prospetto lungo del fabbricato: si osservano le linee dei 《conguagli》 regolari lungo i filari della muratura.


ARCHITETTURE 《(?)MINORI》 ... MA NON PER L'INGEGNO! 

Ottobre 2023

➡️ Penso da molti anni che la definizione di 《architetture minori》 per questo tipo di manufatti sia riduttiva, e non renda pieno merito alle soluzioni ingegnose che vi possiamo osservare. Forse saranno anche 《minori》 per la destinazione d'uso (e neanche troppo) ma certo non per le capacità costruttive di allevatori e contadini, spesso colòni, che ne erano gli autori, essendo molte volte (per necessità) anche 《mastri》 costruttori.

➡️ L'ingegno pratico di saper trovare le migliori soluzioni costruttive con i pochi materiali talora a disposizione.
Come in questo caso: un piccolo fabbricato rurale incastonato e basato sulle rocce calcaree delle contrade immediatamente a nord delle mura cittadine, oggi divenute quartieri residenziali nati nel corso del Novecento.

📍 Particolarmente meritevole di attenzione, è l'architettura composita della porta del fabbricato: 
- gli stìpiti sono realizzati utilizzando solidi blocchi squadrati, magari appena sbozzati dove necessario; nei blocchi osserviamo anche le diverse tipologie di roccia calcarea che troviamo nel nostro territorio;
- in capo ai due stipiti, ecco due 《zeppe》 per mettere a livello (《in bolla》) le imposte dell'arco; una pietra più piccola e piatta sulla destra, un paio di mattoni cotti piani (《pianelle》) sulla sinistra;
- l'arco-piattabanda (fig. 1) è il pezzo forte di questo piccolo portale, capolavoro di un'efficace arte dell'arrangiamento; un grande legno ricurvo, probabilmente un grosso ramo o un fusto d'albero, rifinito quanto basta e collocato in opera sfruttando la sua curvatura naturale.

➡️ Chi realizzava questi piccoli capolavori di architettura rurale non aveva ovviamente a disposizione conci in pietra lavorati da scalpellini, men che meno per l'arco, così come non disponeva di grosse quantità di mattoni per potervi realizzare una piattabanda o un arco tradizionali, e allora ecco che la mente dei costruttori si è affinata con queste soluzioni pratiche ed efficaci.

📍 La muratura del fabbricato è realizzata con semplice soluzione a pietre e calce ma, nei punti in cui è richiesta particolare resistenza, i costruttori non si sono risparmiati:
- e allora, ecco grosse pietre squadrate, pietre d'angolo, a realizzare un robusto cantonale tra il muro laterale corto e il prospetto lungo su strada; il cantonale, ossia lì dove gli sforzi della muratura sono maggiori (fig. 2).
📍I filari della muratura, invece, presentano ad altezze regolari i cosiddetti 《conguagli》(fig. 3):
man mano che si tirava su il muro, ogni tanto veniva realizzato un filare di 《zeppe》 fatto di mattoni, di pietre piatte e più piccole, coppi e altro, per ri-allineare l'andamento orizzontale del muro ed evitare pericolose pendenze che avrebbero destabilizzato l'equilibrio complessivo.

➡️ Le pietre impiegate in queste costruzioni erano generalmente le stesse che venivano estratte durante la lavorazione dei terreni che venivano 《spretati》(liberati dalle pietre) per essere meglio coltivati. Le pietre migliori, più regolari, venivano subito reimpiegate in modo utile mentre il pietrame irregolare veniva accumulato in monticelli detti 《macerine》(da cui il diffuso topònimo 《macerine》). 
E proprio da queste riserve di 《macerine》 si estraevano i materiali per i muretti a secco di contenimento, per i cosiddetti 《tholos》 dei pastori (le 《camere》 o 《locce》), e per la realizzazione di opere murarie come quella che si vede in queste immagini; opere murarie funzionali a usi molteplici, sempre attinenti alle attività agrarie.

➡️ Sul lato posteriore, la costruzione in queste immagini poggia probabilmente sulla roccia naturale, trovandosi a mezza costa lungo un leggero pendìo. Altro espediente efficace: utilizzare il più possibile ciò che già esiste per ridurre al minimo il tempo e la quantità di materiali necessari alla costruzione.
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➡️ In diversi quartieri della nostra città si trovano spesso queste preziose testimonianze delle origini rurali di quelle contrade e dell'ingegno pratico dei nostri nonni, bisnonni e trisavoli.
Veri e propri manuali di architettura rurale, di soluzioni pratiche e valide, gioiellini grezzi che - purtroppo - ancora oggi non vengono apprezzati a pieno e rivalutati.

📍 Costruzioni come queste meriterebbero un bel censimento generale e piani complessivi per il loro recupero strutturale e funzionale, e per la loro valorizzazione.


Mauro Rosati
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sabato 21 ottobre 2023

《LE VERE INNOVAZIONI》 - BUSTA DEL LATTE

Una busta del latte in cartone leggero e ridotta quantità di plastica.



♻️ - Le vere innovazioni, quelle utili e migliorative.


🥛 Ecco cosa rimane di una busta di latte in cartone leggero, dopo l'uso (v. immagine in alto).

È una tipologia di contenitore che personalmente scelgo e utilizzo già da qualche tempo, e mi trovo bene.


📍 Il cartone è impermeabilizzato all'interno da una sottilissima pellicola in bioplastica, e quindi smaltibile nella raccolta della Carta.


📍 Le parti in plastica sono ridotte al minimo e vanno anch'esse nella differenziata (raccolta Plastica):

si tratta esclusivamente del tappo e del colletto a imbuto, quest'ultimo realizzato in plastica (polietilene) a bassa densità (LDPE - Low Density PolyEthylene) e quindi con una minor quantità di materiale plastico, meno impattante e più facilmente riciclabile.


👁 Anche a colpo d'occhio, si nota facilmente la proporzione tra le parti in plastica e la prevalente componente in cartoncino.


💪 Unica 《fatica》 (si fa per dire ovviamente):

- separare il colletto in plastica dal cartone, mediante lo strappo di una linguetta punzonata già predisposta;

- risciacquare con un po' d'acqua tiepida il residuo interno del latte (residuo quasi trascurabile poiché la bioplastica di rivestimento riduce l'aderenza della parte grassa).


Infine, si lascia asciugare il cartone che è pronto per essere smaltito con la carta. ♻️ 


Mauro

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giovedì 19 ottobre 2023

CARO, GENEROSO ALBICOCCO!

 

(Foto: Mauro Rosati)


CARO, GENEROSO ALBICOCCO!

Breve omaggio all'albicocco


🌳 Che bello l'albicocco!

È uno spettacolo della Natura dall'inizio alla fine del suo ciclo annuale.


🌳 L'albicocco: piccola-grande meraviglia, nella sua semplicità!

Albicocco: Prunus armeniaca per la botanica.


🌸 A fine Inverno dà spettacolo con la sua fioritura che sfuma tra il bianco e il rosa: come il ciliegio, il mandorlo, il pesco, suoi 《parenti》 stretti, famiglia delle Rosacee, genere Prunus.

I suoi rami sottili, ricurvi, a tratti contorti, si vestono di un vello fiorito che anticipa le foglie e annuncia l'avvicinarsi della Primavera.


🌿 Poi giunge la fogliazione, la chioma si fa frondosa e ampia, simile a un ombrello, con le belle foglie larghe e cuoriformi, dai contorni a seghetto, come il suo 《parente》 ciliegio.


🥭 Con l'Estate arrivano quindi i desiderati frutti, le albicocche, anch'esse annuncio del cambio di stagione, il secondo dell'anno. Frutti invitanti, che con il loro colore giallo-arancio, talora rosso tenue, sembrano voler richiamare la nostra attenzione, e già pregustiamo la loro polpa: densa, vellutata, dolce e a tratti aspra, a seconda della maturazione e della varietà.


🍃🍂 Infine ecco l'Autunno, terzo cambio di stagione. 

🎨 Stagione dei colori!

Con le prime vere giornate fredde, il generoso albicocco ci offre il terzo spettacolo dell'anno: la sua chioma si colora come un allegro ombrellone, le ampie foglie cuoriformi s'illuminano di arancio, di giallo, con sfumature equilibrate tra l'uno e l'altro. Sfumature che - forse - soltanto i più abili pittori riuscirebbero a rendere sulla loro tela. 

🎨 Colori che ricordano i succulenti frutti estivi e nel frattempo illuminano allegramente i cieli autunnali, risplendendo ancor più nelle giornate nuvolose, risaltando sulle tonalità più grigie dell'atmosfera.


🌬 E infine, concluso lo spettacolo della chioma cangiante, spogliatosi degli abiti di stagione, il generoso albicocco si va a coricare per il meritato sonno invernale, così come gli altri suoi 《parenti》.

❄ Quarto e ultimo cambio di stagione: l'Inverno, stagione della quiete naturale, che, solo apparentemente priva di vitalità, già porta in sé i semi del nuovo anno e di un nuovo ciclo.

Ultima stagione dell'anno naturale che si conclude, prima stagione di quello nuovo. 

Inverno, il《Giano bifronte》 del ciclico calendario stagionale.


Ogni stagione è figlia della precedente, e la Primavera è figlia dell'Inverno. 

E l'Inverno è madre e padre allo stesso tempo: padre fecondo, madre in gestazione, prima del nuovo parto annuale. 🌱


Mauro Rosati

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lunedì 9 ottobre 2023

09/10/1963 - QUANDO IL «SASSO» CADDE NEL «BICCHIERE»

Fonte immagine:
Lorenzo Zoli,《L'onda della morte: mostra da brividi e lacrime; in 'La Voce di Rovigo', 21/09/2019

URL consultato in data 09/10/2023 )

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09/10/1963

QUANDO IL «SASSO» CADDE 

NEL «BICCHIERE» 

(articolo inviato alle redazioni locali aquilane in data 04/10/2023)



«Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua

e l’acqua è traboccata sulla tovaglia.

Tutto qui. 

Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri 

e il sasso era grande come una montagna 

e sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi

(Dino Buzzati Traverso, in: «Corriere della Sera», 11/10/1963)


Questa secca ed efficace metafora del giornalista e scrittore bellunese Dino Buzzati Traverso sintetizza ciò che accadde la sera del 09/10/1963, sessant'anni fa, a partire dalle ore 22.39, intorno alla diga del Vajont.

La frana colossale (il sasso) che si stacca dal Monte Toc e finisce nel lago artificiale formato dalla diga (il bicchiere colmo) provocando uno tsunami di fango e acqua che travolge paesi e vite umane, da Erto e Casso (Pordenone) fino a Longarone (Belluno), in fondo alla gola del torrente Vajont, affluente di sinistra del fiume Piave.

Per completezza va precisato che Buzzati, così come la maggiore stampa dell’epoca (es. Giorgio Bocca su «Il Giorno»), era dell’opinione che la catastrofe fosse da imputare a cause naturali, ossia alla frana - sostanzialmente - come si desume dagli articoli dell’epoca. Un articolo particolarmente partecipe emozionalmente, quello di Dino Buzzati per «Il Corriere della Sera», in quanto tutto era accaduto a poca distanza dai suoi luoghi, nelle stesse terre della sua Belluno.


Uno dei più gravi disastri d'Italia nel secondo Novecento, quello del Vajont, con paesi devastati o addirittura cancellati, travolti insieme a quasi 2000 vittime.

Una tragedia di portata nazionale e internazionale che segnò emotivamente anche molti soccorritori giunti nei luoghi colpiti, tanti dei quali erano giovanissimi militari.

Una tragedia che si abbatteva su quelle valli e - psicologicamente - sull’Italia intera, dopo anni di dubbi sollevati ‘in primis’ dalle popolazioni locali, di polemiche e di battaglie come quella della giornalista e scrittrice Clementina (Tina) Merlin, querelata (poi processata e assolta) per diffamazione e turbamento dell’ordine pubblico alcuni anni prima del disastro. La Merlin, anch’ella originaria della Provincia bellunese, così scriveva in un passo del suo articolo su «L’Unità» dell’11/10/1963: «Sto scrivendo queste righe col cuore stretto dai rimorsi per non aver fatto di più per indurre il popolo di queste terre a ribellarsi alla minaccia mortale che ora è diventata una tragica realtà. Oggi tuttavia non si può soltanto piangere. È tempo di imparare qualcosa.» 

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Alla catastrofe fece seguito un altro dramma, quello del processo, a partire dal 1968, una vicenda giudiziaria lunga e discussa.

Come più volte accaduto nella storia dell'Italia contemporanea, il processo venne trasferito al di fuori del territorio di competenza giuridica. 

Nel caso del Vajont, il procedimento giudiziario si svolse presso il Tribunale dell'Aquila, in primo e in secondo grado di giudizio, dopo che - come riporta dettagliatamente sul suo sito la Pro Loco di Longarone - la Corte d'Appello di Venezia aveva riconosciuto motivi di pericolo per l'ordine processuale e per l'ordine pubblico invocati dalla difesa degli imputati; di conseguenza si pronunciò la Corte di Cassazione che deliberò il trasferimento del processo a L'Aquila. Si trattò di un caso di «rimessione» del processo.

Ciò significò nuove traversìe per le popolazioni del Vajont, già provate dalla gravissima tragedia di pochi anni prima, con lunghe trasferte a centinaia di chilometri di distanza per poter assistere e partecipare alle udienze.


Dagli anni drammatici del processo, tuttavia, scaturì nel tempo un legame tra la nostra Città dell'Aquila e le Comunità colpite, che si concretizzò successivamente in un patto di amicizia tra il Comune di Longarone e il Comune dell'Aquila, stipulato nel 2011 a Longarone, poi rinnovato e consolidato in occasione dell'88ª Adunata Nazionale degli Alpini "L'Aquila 2015" (maggio 2015).


Un legame che nei fatti si era già rafforzato negli anni precedenti.

Il 06/04/2009, a poche ore dal terremoto che interessò L'Aquila e il suo territorio, la comunità di Longarone si attivò mobilitando aiuti e le sue forze di volontariato da inviare in soccorso.

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La strage del Vajont, per le sue dimensioni e per le sue dinamiche, appartiene alla memoria collettiva di tutta Italia e, a 60 anni di distanza, insegna ancora tanto. Tra le molte cose: l'importanza di un'approfondita conoscenza multidisciplinare del contesto quando si pianifica e si interviene in un territorio; inclusa la Storia locale nelle sue molteplici espressioni materiali e culturali, che consentono una miglior lettura dei luoghi. Una conoscenza che si consegue innanzitutto coinvolgendo e ascoltando le comunità interessate, coloro che vivono quotidianamente i territori.

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Un auspicio particolare, in questo 60° anniversario della tragedia del Vajont, è che nelle scuole e nei luoghi di cultura della nostra Città e Territorio si possa dedicare uno spazio, un momento didattico, al ricordo e al racconto di questa vicenda.


Mauro Rosati

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lunedì 4 settembre 2023

L'AQUILA - UNA STRACITTADINA DEL 1983

 


L'AQUILA - UNA STRACITTADINA DEL 1983



Domenica 11 settembre 1983

Un grazioso trofeo celebrativo, appartenuto al signor Spartaco - classe 1925 -, ricorda artisticamente una gara podistica del 1983.

VIVIAMO LA CITTÀ A VELOCITÀ D'UOMO》, recita il messaggio-finalità dell'evento. Un messaggio quanto mai attuale, oggi che si parla molto di mobilità lenta, a misura d'uomo.

Il messaggio in questione fa riferimento alla 《V STRACITTADINA AQUILA》, organizzata dalla "Polisportiva UISP L'Aquila", come si legge sull'etichetta alla base, e svoltasi domenica 11-9-1983.

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Nella sua semplice ed efficace bellezza, questo oggetto-ricordo sintetizza e celebra in modo valido lo spirito e i luoghi della gara podistica, unendo elementi di essenzialità - caratteristici dell'arte contemporanea - alla tradizione figurativa che cita per immagini alcuni monumenti-simbolo della nostra Città. Il bassorilievo e i tratti a incisione conferiscono profondità e vivacità grazie al risultato di delicato chiaroscuro.


Il rettangolo centrale. 

Donne e uomini tratteggiati di profilo, su due piani di profondità, marciano nella metà destra del rettangolo centrale "seguendo" quella che sembrerebbe una figura idealizzata di atleta, che li "precede" sulla sinistra.


Il nastro.

Intorno al rettangolo, un nastro si sviluppa da sinistra a destra, e viceversa, raffigurando tre luoghi storici e simbolici della Città dell'Aquila:

- a sinistra, le due donne con la conca che animano la Fontana di Nicola D'Antino (1934) in Piazza Battaglione Alpini L'Aquila, più comunemente a tutti noi nota come la "Fontana Luminosa"; la grande scultura bronzea è definita con tratti essenziali che evidenziano le due figure femminili e la grande conca di tradizione aquilana-abruzzese;

- al centro, il nastro ci conduce dinanzi alla Basilica di Santa Maria Assunta in Collemaggio, una delle fondamentali polarità religiose e civili della nostra Città; la soluzione figurativa ritrae il rosone centrale, il portale centrale e il sagrato, rappresentandoli per metà in figura reale (a sinistra) e per metà in modo stilizzato (a destra), ricordando un po' la soluzione astratta della bella e recente vetrata policroma nella sala di San Michele all'Emiciclo (salone d'ingresso, ex chiesa di San Michele) opera di Franco Summa;

- infine, e ricominciando al contrario, giungiamo idealmente davanti alla stupenda facciata rinascimentale della Basilica di San Bernardino da Siena, che intravediamo di scorcio sul lato destro del nastro, citata nei suoi inconfondibili elementi architettonici.


Insomma, un gradevole connubio equilibrato tra contemporaneità e tradizione figurativa, rispettoso.


Il nastro stesso, infine, è un probabile riferimento al tracciato di una strada; la strada lungo il percorso degli atleti, che si configura allo stesso tempo come percorso nella Storia e nei luoghi. Una strada che si apre e si svolge come un antico rotolo di pergamena rivisitato in chiave contemporanea.

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L'autore. 

Sul trofeo-ricordo non si legge un nome specifico ma, sotto la base di questa realizzazione un'etichetta riporta 《Creazioni MAR - (MC) Porto Recanati》.


Mauro Rosati

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giovedì 29 giugno 2023

CHI SALVERÀ IL MONDO? - DI CERTO NON LA PRESUNZIONE

CHI SALVERÀ IL MONDO? - DI CERTO NON LA PRESUNZIONE


Breve riflessione traendo spunto da un post del prof. Silvio Di Giulio , sul tema della nota affermazione 《La Bellezza salverà il Mondo》.

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Di Bellezza, sotto vari aspetti, ve n'è tanta effettivamente, dalla Natura alle Arti umane. 

Ciò che scarseggia è forse la capacità di saper apprezzare la Bellezza. 

Peggio ancora, l'attitudine a fare scempio della Bellezza; attitudine purtroppo ancora diffusa tra molti 《esemplari》 umani.

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E allora, forse, più specificamente verrebbe da dire 《cogliere la Bellezza salverà il Mondo》.

E anche, come lessi una volta in un post, l'interrogativo:

《La Bellezza salverà il Mondo. Ma chi salverà la Bellezza?》.

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Ho provato a rispondermi in merito con un altro interrogativo: 

forse, la Conoscenza, in tutte le sue forme, salverà la Bellezza?

La 《Conoscenza》 ossia la 《Scienza》 intesa  nell'accezione ampia di Sapere (Scientia), che non è soltanto l'atto di 《immagazzinare》- sic et simpliciter - ma una costante propensione a coltivare (coltura>cultura) attivamente il ragionamento e la curiosità.

Quella curiosità che arricchisce quotidianamente le nostre chiavi di lettura del Mondo in cui viviamo - Patria universale, mosaico di innumerevoli e preziose culture locali, scrigno di meraviglie naturali -.

Ogni nuova chiave ci schiude una nuova finestra sul Mondo e sulla sua Bellezza, ampliando il nostro ideale 《campo visivo》.

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E allora, forse, senza voler essere esaustivi, si potrebbe anche affermare che 《la Curiosità salverà il Mondo》, ossia quella fame e quella sete di conoscenza che non devono mai venir meno, mai sazi e mai dissetati, affinché da semplici 《bruti》 ci eleviamo a esseri senzienti e sensibili, costantemente tesi verso le altezze degli ideali, cultori di Bellezza e costruttori di nuova ulteriore Bellezza.

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Alla base di tutto, però, dovrà essere costante il pungolo della consapevolezza del nostro 《non sapere》 di principio.

Solo tale consapevolezza potrà essere la spinta quotidiana all'apprendimento costante e permanente.


Un atto di Umiltà costruttiva. 

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Quindi, in fondo, 《l'Umiltà salverà il Mondo?》.

Probabile. 

Di certo non lo può salvare quella Presunzione arrogante che lo minaccia costantemente.


Mauro

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Link al post del prof. Silvio Di Giulio:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0dhgVgQCU2y7U3um5zgg6jKGEk6QqdcVigZf5Ch9qtQn6CyBt7tyvG7JDrNWVkg1xl&id=100031223974393

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mercoledì 24 maggio 2023

UN VENTIQUATTRO MAGGIO DI CENTOQUARANT'ANNI FA

 UN VENTIQUATTRO MAGGIO DI CENTOQUARANT'ANNI FA


La mattina del 24 maggio 1883 mi alzai all'alba [...] la silhouette del ponte si stagliava contro un cielo quasi senza nuvole, che si andava rischiarando.

[...] La folla in festa era così fitta che i cavalli facevano fatica ad avanzare.

[...] Le campane delle chiese suonavano. Le sirene suonavano da ogni fabbrica, locomotiva e barca per chilometri. I cannoni sparavano su entrambe le sponde. Il fiume era talmente affollato di barche che sembrava di poterlo attraversare camminandoci sopra. Alcune spruzzavano enormi getti d'acqua.

[...] All'imbrunire il ponte fu sgomberato, e dalle torri, dal centro del ponte e dalle barche sul fiume partì un'incredibile salva di fuochi d'artificio, un'esplosione di colori visibile per chilometri nelle due città appena unite. 》

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🌉 Il 24/05/1883, centoquarant'anni fa, veniva inaugurato il ponte sull'East River che univa Brooklyn e Manhattan in un'unica grande città.

All'epoca il più grande e innovativo ponte sospeso al mondo, realizzato nell'arco di quattordici anni. 

L'opera divenne popolare come 《Ponte di Brooklyn》 e, nonostante in seguito ne siano stati costruiti altri due, rimane tutt'oggi uno dei maggiori simboli materiali della città di New York.


Mauro

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(📖 Il brano in apertura del post è estratto da:

T. E. WOOD, 《La donna di Brooklyn》, trad. di Anna Carena, PiEmme editore, Milano 2022; pp. 410-413.)

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mercoledì 17 maggio 2023

ITALIA, PAESE 《MONSONICO》

 ITALIA, PAESE 《MONSONICO》


Molti osservano le piogge di queste settimane, ma pochi ricordano:

- la siccità di febbraio-marzo; 

- il caldo anomalo di marzo;

- l'Inverno breve;

- le premature grandinate già a fine inverno;

- le premature trombe marine (sintomo di mari già caldi); 

- le continue risalite d'aria caldo-umida subtropicale, che alimentano le precipitazioni più intense.

Si aggiunga poi lo scioglimento rapido della neve a causa delle temperature anomale.


Proprio il caldo - che molti spesso invocano - è la causa primaria di quanto sta accadendo.

Complice l'abbondante cementificazione-asfaltizzazione dell'Italia, che prosegue senza tregua.


L'Italia è divenuta un Paese dal clima 《monsonico》: 

siccità lunghe e caldo anomalo, alternati a piogge intense e concentrate.

Torrenti e fiumi che sembrano 《uadi》 del deserto, alvei secchi per lungo tempo che poi straripano impetuosi in poche ore;

costoni e pendii che si sciolgono come burro sotto l'impeto violento di piogge concentratissime;

《uragani》 mediterranei e tornado sempre più frequenti.


E chi più ne ha, più ne metta.


Mauro

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Tra le varie riflessioni sull'argomento 《clima》 vedi anche, ad esempio:

https://pianetalaquila.blogspot.com/2022/10/bel-tempo-omal-tempo-questione-di.html?m=1

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sabato 29 aprile 2023

UNA CASA-MUSEO PER IL PROF. COLAPIETRA

UNA CASA-MUSEO PER IL PROF. COLAPIETRA


La casa del prof. Raffaele Colapietra come luogo di Cultura per la Comunità e aperto alla Comunità.

La possibilità per tutti i cittadini di poter vivere attivamente gli ambienti dove è vissuto, nei quali poter leggere, studiare, esporre eventuali suoi manoscritti, organizzare appuntamenti culturali.


Considerata la caratura dello studioso sarebbe un bell'omaggio alla Memoria di una personalità il cui lavoro ha fissato una nuova pietra miliare nella conoscenza della Storia aquilana, abruzzese, nazionale.


Una possibilità che potrebbe concretizzarsi grazie a uno sforzo comune.

Un impegno in consorzio tra più attori, pubblici e privati:

Comune dell'Aquila, Università dell'Aquila con il suo Polo Museale, Fondazioni che fanno Cultura sul territorio, istituzioni come la Biblioteca Tommasiana, la Deputazione Abruzzese di Storia Patria, l'Archivio di Stato.


La casa dello studioso che diventa casa civica, aperta - in modo rispettoso - a tutte le fasce di età, così da conservare e continuare quel rapporto che legava l'uomo e la personalità alla sua e nostra Città.

Un modo concreto e costruttivo per rendere viva l'eredità culturale del prof. Raffaele Colapietra, che tanto ha dato alla crescita intellettuale della nostra Comunità.


Mauro

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