lunedì 9 ottobre 2023

09/10/1963 - QUANDO IL «SASSO» CADDE NEL «BICCHIERE»

Fonte immagine:
Lorenzo Zoli,《L'onda della morte: mostra da brividi e lacrime; in 'La Voce di Rovigo', 21/09/2019

URL consultato in data 09/10/2023 )

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09/10/1963

QUANDO IL «SASSO» CADDE 

NEL «BICCHIERE» 

(articolo inviato alle redazioni locali aquilane in data 04/10/2023)



«Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua

e l’acqua è traboccata sulla tovaglia.

Tutto qui. 

Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri 

e il sasso era grande come una montagna 

e sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi

(Dino Buzzati Traverso, in: «Corriere della Sera», 11/10/1963)


Questa secca ed efficace metafora del giornalista e scrittore bellunese Dino Buzzati Traverso sintetizza ciò che accadde la sera del 09/10/1963, sessant'anni fa, a partire dalle ore 22.39, intorno alla diga del Vajont.

La frana colossale (il sasso) che si stacca dal Monte Toc e finisce nel lago artificiale formato dalla diga (il bicchiere colmo) provocando uno tsunami di fango e acqua che travolge paesi e vite umane, da Erto e Casso (Pordenone) fino a Longarone (Belluno), in fondo alla gola del torrente Vajont, affluente di sinistra del fiume Piave.

Per completezza va precisato che Buzzati, così come la maggiore stampa dell’epoca (es. Giorgio Bocca su «Il Giorno»), era dell’opinione che la catastrofe fosse da imputare a cause naturali, ossia alla frana - sostanzialmente - come si desume dagli articoli dell’epoca. Un articolo particolarmente partecipe emozionalmente, quello di Dino Buzzati per «Il Corriere della Sera», in quanto tutto era accaduto a poca distanza dai suoi luoghi, nelle stesse terre della sua Belluno.


Uno dei più gravi disastri d'Italia nel secondo Novecento, quello del Vajont, con paesi devastati o addirittura cancellati, travolti insieme a quasi 2000 vittime.

Una tragedia di portata nazionale e internazionale che segnò emotivamente anche molti soccorritori giunti nei luoghi colpiti, tanti dei quali erano giovanissimi militari.

Una tragedia che si abbatteva su quelle valli e - psicologicamente - sull’Italia intera, dopo anni di dubbi sollevati ‘in primis’ dalle popolazioni locali, di polemiche e di battaglie come quella della giornalista e scrittrice Clementina (Tina) Merlin, querelata (poi processata e assolta) per diffamazione e turbamento dell’ordine pubblico alcuni anni prima del disastro. La Merlin, anch’ella originaria della Provincia bellunese, così scriveva in un passo del suo articolo su «L’Unità» dell’11/10/1963: «Sto scrivendo queste righe col cuore stretto dai rimorsi per non aver fatto di più per indurre il popolo di queste terre a ribellarsi alla minaccia mortale che ora è diventata una tragica realtà. Oggi tuttavia non si può soltanto piangere. È tempo di imparare qualcosa.» 

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Alla catastrofe fece seguito un altro dramma, quello del processo, a partire dal 1968, una vicenda giudiziaria lunga e discussa.

Come più volte accaduto nella storia dell'Italia contemporanea, il processo venne trasferito al di fuori del territorio di competenza giuridica. 

Nel caso del Vajont, il procedimento giudiziario si svolse presso il Tribunale dell'Aquila, in primo e in secondo grado di giudizio, dopo che - come riporta dettagliatamente sul suo sito la Pro Loco di Longarone - la Corte d'Appello di Venezia aveva riconosciuto motivi di pericolo per l'ordine processuale e per l'ordine pubblico invocati dalla difesa degli imputati; di conseguenza si pronunciò la Corte di Cassazione che deliberò il trasferimento del processo a L'Aquila. Si trattò di un caso di «rimessione» del processo.

Ciò significò nuove traversìe per le popolazioni del Vajont, già provate dalla gravissima tragedia di pochi anni prima, con lunghe trasferte a centinaia di chilometri di distanza per poter assistere e partecipare alle udienze.


Dagli anni drammatici del processo, tuttavia, scaturì nel tempo un legame tra la nostra Città dell'Aquila e le Comunità colpite, che si concretizzò successivamente in un patto di amicizia tra il Comune di Longarone e il Comune dell'Aquila, stipulato nel 2011 a Longarone, poi rinnovato e consolidato in occasione dell'88ª Adunata Nazionale degli Alpini "L'Aquila 2015" (maggio 2015).


Un legame che nei fatti si era già rafforzato negli anni precedenti.

Il 06/04/2009, a poche ore dal terremoto che interessò L'Aquila e il suo territorio, la comunità di Longarone si attivò mobilitando aiuti e le sue forze di volontariato da inviare in soccorso.

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La strage del Vajont, per le sue dimensioni e per le sue dinamiche, appartiene alla memoria collettiva di tutta Italia e, a 60 anni di distanza, insegna ancora tanto. Tra le molte cose: l'importanza di un'approfondita conoscenza multidisciplinare del contesto quando si pianifica e si interviene in un territorio; inclusa la Storia locale nelle sue molteplici espressioni materiali e culturali, che consentono una miglior lettura dei luoghi. Una conoscenza che si consegue innanzitutto coinvolgendo e ascoltando le comunità interessate, coloro che vivono quotidianamente i territori.

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Un auspicio particolare, in questo 60° anniversario della tragedia del Vajont, è che nelle scuole e nei luoghi di cultura della nostra Città e Territorio si possa dedicare uno spazio, un momento didattico, al ricordo e al racconto di questa vicenda.


Mauro Rosati

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