lunedì 9 novembre 2020

Patriottismi "improvvisati" e Patriottismi solidi

 

Allegoria dell'Italia, di Philipp Veit.
(Fonte immagine: Wikipedia; Di Philipp Veit - The Yorck Project (2002) 10.000 Meisterwerke der Malerei (DVD-ROM), distributed by DIRECTMEDIA Publishing GmbH. ISBN: 3936122202., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=159912 )



La riflessione che segue non vuole essere né una "morale" né un "sermone", ma semplicemente un pensiero condiviso e autocritico.


Altra precisazione: con il termine "patriottismo" personalmente intendo l'"amare e rispettare" la terra in cui si vive, a prescindere dalle proprie origini. 

Dalla propria comunità locale alla grande comunità nazionale.


E, nel caso, conservare sempre l'orgoglio anche delle proprie origini: amare le terre da dove si ha origine allo stesso modo con cui si ama la terra in cui si vive.

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Nel 1847, il principe Klemens von Metternich scriveva che l'Italia era un "nome geografico"; una constatazione di fatto della situazione dell'epoca. Frase tutt'oggi discussa nella sua interpretazione e riproposta in differenti versioni.

Consideriamo l'espressione fuori dal contesto originario e riflettiamo sulla situazione attuale: si potrebbe forse aggiornare la frase constatando che l'Italia è un "nome geografico e amministrativo".

Così come si potrebbe riflettere sul fatto che "Popolo Italiano" è un'"espressione demografica". Personalmente non riesco a vedere - a percepire - un Popolo nel senso pieno della parola, "con l'iniziale maiuscola"; non riesco a vedere una collettività solida a partire dalla vita quotidiana, dai piccoli comportamenti di tutti i giorni.

Vedo invece un patriottismo improvvisato soltanto quando il nostro "popolo" è "con l'acqua alla gola". Un patriottismo che si limita a uno slancio "bruciante" nel solo momento della difficoltà immediata ma che non si vede nella vita quotidiana.

Parlo ovviamente in generale e non intendo assolutamente "fare di tutta l'erba un fascio".


Sempre nel 1847, il giovane patriota Goffredo Mameli scriveva il 《Canto degli Italiani》, musicato successivamente e oggi nostro Inno nazionale (l'Inno di Mameli, appunto).

Un passaggio del 《Canto》 di Mameli recita: 

Noi siamo da secoli 

Calpesti, derisi,

Perché non siam popolo 

Perché siam divisi》.

Il giovane Mameli, genovese caduto nella difesa della Repubblica Romana (1849), si riferiva alla situazione dell'Italia dell'epoca, frammentata politicamente e, credo, anche culturalmente. Ancora non si erano concretizzate l'unificazione politica d'Italia e la sua piena indipendenza.

Anche in questo caso, rileggere questi versi oggi fa riflettere come ancora non siamo "popolo", anche se uniti amministrativamente. Ancora chiusi nei nostri egoismi, nei nostri "orticelli", nelle nostre "furbizie", nel "si salvi chi può". Come ho scritto più sopra, forse non siamo ancora "Popolo" nella pienezza di questa parola.


A scuola, ricordo di aver letto su un libro di storia una frase citata che suonava più o meno così:

Si può servire la patria anche facendo la guardia a un distributore di benzina》.

Nel suo contesto originale, era una frase di propaganda formulata in una situazione di regime dittatoriale. Adesso, però, prendiamo questa stessa frase e portiamola ai giorni nostri, leggendola libera dal suo "propagandismo" originario.

È una frase che, come le precedenti, fa riflettere.


Penso che non si possa essere patrioti "a chiamata", solo all'occorrenza. Penso che il patriottismo vada coltivato innanzitutto nella vita quotidiana, nel rispetto del vivere civile.

E soprattutto non si può essere patrioti nazionali se non si è prima patrioti della propria comunità locale, città o paese che sia.

Non si può amare una patria grande se, appunto, non si amano prima la propria città o il proprio paese.


E si possono amare le proprie patrie, locale e nazionale, senza necessità di disprezzare le altre patrie.


Negli anni scorsi, in un testo di araldica civica, ho letto due frasi - una attribuita a Niccolò Tommaseo, l'altra a Giosuè (o Giosue) Carducci - che personalmente condivido in pieno:

《La storia municipale convenientemente narrata, destando la curiosità di ciascun cittadino, prepara l'intelligenza e l'amore della storia patria tutta quanta.》(N. Tommaseo)


Le piccole storie sono necessarie al corpo della storia nazionale, e, per farla vera e compiuta, bisogna fare e finir di rifare la storia locale.》(G. Carducci)


Quindi ben venga esporre il Tricolore alle finestre soprattutto in occasioni particolari, ma accanto al Tricolore facciamo sventolare (garrire) anche i nostri gonfaloni locali che tutti insieme raccontano la nostra storia nazionale.

Ben venga il Tricolore alle finestre, ma se comprendiamo anche il valore del vivere civile, ossia che la maggior parte delle nostre azioni personali e quotidiane ha conseguenze anche sugli altri, e quindi sulle comunità in cui viviamo. 

Una presa di coscienza che si riassume nel principio ben noto per cui "la libertà di ognuno finisce dove inizia quella degli altri". È su questo equilibrio che si fondano - o dovrebbero fondarsi - le democrazie contemporanee; e proprio a partire dal basso, dai cittadini (il Popolo appunto).


È uno sforzo che possiamo provare a fare ogni giorno: piccole azioni di civiltà "attive" ma anche "passive", che ci rendano piccoli patrioti quotidiani.

Evitare di sporcare le nostre vie, rispettare le regole stradali, rispettare il paesaggio (espressione culturale di un territorio), essere sempre orgogliosi delle nostre origini, e così via - gli esempi possibili sarebbero tantissimi -.


Quando conquistiamo il "piccolo" patriottismo quotidiano allora anche il "grande" patriottismo diventa sincero, solido e duraturo!



Mauro Rosati