giovedì 17 settembre 2020

San Rocco a L'Aquila (e altre curiosità)

 (Articolo inviato alle redazioni di stampa locale in data 1° settembre 2020)


Fig. 1. L’Aquila - Chiesa di San Marco; facciata (Fonte immagine: Wikipedia - 2016;
Di Pietro - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48624904
)


Fig. 2. L’Aquila - Chiesa di San Marco; il campanile in alto a destra (Foto: Giuseppe D’Annunzio - 2017)


"San Rocco a L'Aquila": non mi riferisco al nome di una chiesa ma a San Rocco "in persona".

 

Nella figura di San Rocco storia e leggenda si intrecciano fra loro; non dimentichiamo però che anche la leggenda si basa sempre su una verità di fatti e quindi va tenuta in dovuta considerazione nella ricerca storica. “Snocciolando” leggende e racconti popolari si può estrarre il “succo” di indizi storici importanti.

Se in questo momento storico leggessimo la biografia (o “agiografia”) di San Rocco, a distanza di circa sette secoli - cambiando contesto e personaggi - sembrerebbe quasi di leggere le cronache dell'Italia di oggi, afflitta dalla piaga della pandemia insieme alla maggior parte del Mondo. All'epoca di San Rocco il morbo si chiamava "peste", oggi ha un altro nome e un'altra natura; la sostanza però è simile.

Ecco perché, quest'anno, la memoria di San Rocco - celebrata il 16 agosto - ha assunto un significato particolare e diverso rispetto al solito.

 

Di San Rocco sappiamo che apparteneva al Terz'Ordine Francescano (T.O.F.) ed era originario di Montpellier (Occitania; Francia). Sui suoi estremi biografici (date di nascita e di morte) ci sono due versioni differenti:

- 1295-1327, la prima versione, quella tradizionale;

- la seconda versione - quella oggi più sostenuta - indica la sua nascita tra il 1345 e il 1350, e la sua morte tra il 1376 e il 1379.

Esistono versioni diverse anche su dove sia morto (Montpellier, Angera, Voghera); è sepolto nella chiesa di Venezia a lui intitolata. Per i dettagli sulla vita del Santo rimando ai numerosi racconti facilmente reperibili, anche in rete.

Di famiglia benestante, San Rocco rinunciò ai suoi beni e si incamminò in pellegrinaggio verso Roma. Nel suo viaggio (di andata e di ritorno) attraversò l'Italia flagellata dalla peste, fermandosi in diverse località (Roma compresa) ad assistere e a curare i contagiati; ben presto gli vennero attribuite guarigioni miracolose, tra cui quella di un cardinale a Roma, e già da vivo acquisì la fama di santità. Tornando da Roma, quando era a Piacenza, anche San Rocco venne contagiato dalla peste riuscendo poi a guarire.

Per questi motivi, tra i tanti attributi iconografici (il cappello, il bastone, la borraccia, il mantello con i simboli del pellegrino, il cane con il pane ai suoi piedi) ce n'è uno “principale” che compare quasi sempre: San Rocco viene rappresentato mentre si scopre una gamba per mostrare una piaga della peste.

E sempre per queste ragioni, nella cultura cristiana popolare San Rocco divenne presto il Santo da celebrare e da invocare particolarmente per la difesa dalle malattie infettive.

Il culto di questo Santo è talmente diffuso e sentito che, ad esempio, dal 1856 San Rocco è uno dei Santi compatroni di Napoli, una delle grandi città di cultura europee e storica capitale.

C'è poi una curiosità “meteorologica”. Prima del disastro climatico in corso da alcuni decenni - ancora fino a 25-30 anni fa - la ricorrenza di San Rocco (16 agosto) rappresentava in genere una "svolta" stagionale, almeno nel nostro Appennino ma credo anche altrove: passata la "canicola" (o "solleone") i temporali si facevano più frequenti, le temperature andavano abbassandosi gradualmente, le giornate erano ancora estive ma diventavano più gradevoli; questo periodo di transizione conduceva pian piano verso l'autunno meteorologico, nell'arco di circa un mese, e senza troppi "sbalzi" di temperatura - né in un senso né nell'altro -.

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Veniamo adesso ai giorni nostri e avviciniamoci al nostro territorio.

Sappiamo più o meno tutti che San Rocco è il patrono del borgo di Piànola, appena fuori le mura della nostra città, sull'altra riva del fiume Aterno. Oltre a San Franco, San Rocco è celebrato anche nel borgo di Assergi (nella Delegazione-“Castello” di Camarda) dove si festeggia il 14 agosto. Sempre nel nostro Contado esistono cappelle intitolate a San Rocco nei borghi di Forcella di Preturo, Pagliare di Sassa, Pescomaggiore e - più lontano - nel borgo di Civitaretenga (L’Aquila; Altopiano di “Navelli-Civitaretenga”). Soltanto per citarne alcune.

Se poi dalla nostra città ci spostiamo verso sud, allontanandoci di alcuni chilometri - direzione Tornimparte - arriviamo a Monte San Rocco, confine naturale e valico autostradale tra il Contado aquilano e l'Alto Cicolano; in particolare, il nome della montagna è legato al vicino paese di Corvaro, di cui San Rocco è patrono insieme a San Francesco d'Assisi, e al quale è intitolata una piccola e storica chiesa-oratorio. Da racconti orali del luogo si apprende che la stessa galleria autostradale - intitolata a San Rocco - oltre che al nome della montagna, si legherebbe a una sorta di "ex voto" per cui gli operai e l'impresa che la realizzarono (1965-1968) vollero onorare San Rocco, poiché lo scavo del traforo non causò nessuna vittima tra i lavoratori; ne seguì una donazione a favore della parrocchia di Corvaro.

 

Ora torniamo a L'Aquila e "atterriamo" in Piazza del Duomo. C'è un San Rocco tra le vie della nostra città che ci "guarda" dall'alto, da una posizione ben visibile, ma di cui non ci accorgiamo quando gli passiamo davanti.

Raggiungiamolo con il percorso più semplice. Da Piazza del Duomo entriamo in Via dell'Indipendenza - la strada che inizia tra il Palazzo della Banca d'Italia e il bel palazzetto Nardis "neomedievale-toscaneggiante" (XX secolo) -.

Alla fine della via si apre uno spazio: siamo in Piazza San Marco; giriamo lo sguardo verso destra e abbiamo davanti a noi la facciata della chiesa di San Marco Evangelista, tra le chiese più antiche e più importanti della città (Fig. 1).

La facciata, così come la vediamo oggi, si presenta come una "fusione" architettonica fra la tradizione aquilana più antica e un elemento “di importazione”, ossia le due "torrette-campanile" che formano nell'insieme una "facciata-campanile".

Sulla torretta in alto a destra si legge «A.JUB. 175[0]» (non sembra visibile lo zero), ossia l'anno del completamento della ristrutturazione della facciata, coincidente con il Giubileo.

I campanili sono stati applicati ai due estremi della facciata, quindi era lì che forse si era concentrato l'intervento principale di ricostruzione; il terremoto del 1703 - è un’ipotesi - aveva probabilmente provocato "le orecchie" agli angoli della facciata che si erano piegati e poi, forse, crollati. Un po' quello che abbiamo visto anche dopo il sisma del 2009.

L'impostazione tradizionale aquilana è riconoscibile dalla lavorazione delle pietre e dalle fasce in pietra rossa che caratterizzano anche altre facciate aquilane delle origini (in particolare del Duecento e del Trecento); i campanili si innestano sulla facciata mediante uno “zoccolo” ciascuno e con delle fasce (lesene) che li legano architettonicamente e visivamente alla parte originale, come se "germogliassero" dalla muratura più antica. Nella parte più originale fa eccezione il finestrone centrale settecentesco, al posto del rosone tradizionale che molto probabilmente esisteva in origine. Sui fianchi della chiesa - soprattutto quello destro - è ben visibile una muratura medievale più antica “a cubetti”, realizzata in “apparecchio aquilano” duecentesco-trecentesco (“opus aquilanum”) mentre in facciata vediamo una lastra - apparentemente altomedievale (prima del 1000) - riutilizzata e murata nel rivestimento (cortina) della muratura.

Al centro della facciata di San Marco, in alto sopra il finestrone, c’era anche un’immagine in pietra della Madonna con il Bambino, datata alla seconda metà del XV secolo e coronata da un “baldacchino” in pietra. Questa immagine è caduta dalla facciata durante il terremoto del 2009 ed è stata recuperata dai Vigili del Fuoco che l’hanno trovata quasi intatta, con alcune piccole rotture riparabili.

[Proposta]. Nel caso fosse andato distrutto, sarebbe importante ricostruire il piccolo baldacchino “a corona” (documentato da foto in rete) che era posizionato sopra l’immagine della Madonna con il Bambino, un dettaglio che la valorizzava.

 

[Riflessione]. Tornando alla facciata di San Marco in generale, esprimo un parere personale: dal mio punto di vista, la "fusione" complessiva sulla facciata è abbastanza ben riuscita; i campanili e lo zoccolo sinistro sono distinguibili per alcune differenze nella qualità della pietra (più “spugnosa”) - e in parte nel taglio - ma allo stesso tempo sono "rispettosi" della parte più antica, poiché utilizzano una tipologia di pietra differente ma che non "stacca" in maniera brusca dal punto di vista del colore. Una "fusione" quindi, un "innesto" distinguibile ma dialogante, e non quell'"appiccico" (o "copia e incolla" se preferite) che si crea quando si applica un elemento nuovo - “di importazione” - senza un raccordo e senza un "dialogo" con quello che già esiste.

 

Torniamo al racconto. Se guardiamo bene i campanili della facciata - magari con l'aiuto di un binocolo - ci accorgiamo che ci sono quattro statue di santi, due per ciascun campanile; ogni statua è “appoggiata” su una mensola ed è coperta da un "baldacchino".

Da sinistra a destra: San Marco Evangelista, titolare della chiesa; San Tussio eremita; San Raniero, vescovo di Forcona; e un Santo senza nome e con la parte della testa mancante. Questo santo senza nome sembra essere proprio San Rocco, riconoscibile dalla postura con cui mostra la gamba destra e dal cane ai suoi piedi con il pane (Fig. 2).

[Proposta]. Sarebbe bello se nel restauro della facciata venisse ricostruita la parte mancante della statua di San Rocco, ovviamente in maniera riconoscibile secondo i principi contemporanei del restauro.

 

A questo punto ci chiediamo: perché San Rocco? Che c'entra con la chiesa di San Marco?

Torniamo alla fondazione della nostra città, e rimaniamo sempre nella zona di San Marco. Siamo nel Quarto di San Giorgio, nel grande locale assegnato agli abitanti del comprensorio di Bagno, cui appartiene anche Piànola.

[Nota]. Storicamente, infatti, il borgo di Piànola fa parte del territorio del “Castello” di Bagno; per "castello" si intende "comprensorio", poiché Bagno è un “nome collettivo” che include tanti borghi. Ecco perché i "bagnesi" e i "pianolesi" condividono in città lo stesso locale, e oggi la chiesa di San Marco riunisce idealmente - in un unico luogo - tutti i borghi di questo “castello”.

[Riflessione]. A proposito di “castelli”, c'è una curiosità che potrebbe interessarci:

nell'ordinamento attuale della Repubblica di San Marino esistono i "Castelli", che corrispondono in sostanza ai “Comuni” della Repubblica Italiana.

Bisogna precisare che l'origine e la strutturazione dei Castelli di San Marino hanno una dinamica diversa dal rapporto Castelli-Città del nostro territorio. Tuttavia - se riflettiamo sulla questione in generale - le Delegazioni del nostro Comune sono "comprensori" che raggruppano più castelli di fondazione: a mio parere, sarebbe storicamente legittimo se le Delegazioni del nostro Comune venissero ufficialmente definite "Castelli"; la cosa avrebbe fondamento storico e valorizzerebbe questi distretti che formano il Comune dell'Aquila, nell'ottica della struttura "Città-Territorio" che caratterizza fin dalle origini la nostra città. Non dimentichiamo, tra le altre cose, che il nostro territorio comunale è molto più esteso della Repubblica di San Marino.

Penso che sarebbe anacronistico ripristinare i Comuni annessi nel 1927 mentre, invece, si potrebbe riconoscere e legittimare la loro specificità storica proprio elevando le Delegazioni alla denominazione di "Castelli".

 

Riprendiamo il racconto e, per un attimo, lasciamo la parola a una “Relazione” sulle chiese collegiate dell’Aquila (1824): « Per effetto del Diploma di FEDERICO II. S. Marco e S. Maria di Bagno traslocaron le loro sedi nell' Aquila, la prima dal Villaggio di Pianola, e l’altra dalla Terra di Bagno, e sue Ville. […].»

Ai tempi della fondazione di Aquila, gli abitanti di Piànola costruiscono in città la loro chiesa intitolata a San Marco Evangelista - detta anche San Marco di Piànola (o San Marco di Pianola di Bagno) -; a poca distanza, i "bagnesi" costruiscono la chiesa di San Tussio di Bagno dove trasferiscono le spoglie del Santo eremita che era sepolto nella zona di Bagno, in una chiesa di San Tussio “fuori le mura”.

[Nota]. Le origini di San Tussio, eremita e confessore, sono una questione dibattuta: una versione lo lega a Bagno fin dalla nascita, un'altra invece lo indica come nativo dell'area tra Tussio e Bominaco.

Secondo quest’ultima versione, San Tussio sarebbe nato nella località della “Masseria dei Monaci” (“Masseria di Tussio”), un centro abitato sorto nei pressi di una masseria dei monaci benedettini di Bominaco, e probabile nucleo di origine dell’odierno borgo di Tussio (L’Aquila; Altopiano di “Navelli-Civitaretenga”).

A seconda delle versioni, il nome di San Tussio si legherebbe “a doppio filo” con quello del paese: una versione racconta che il borgo avrebbe preso il nome da San Tussio, un’altra indicherebbe il contrario. Tenendo conto di alcuni dati, storici e toponomastici, sembrerebbe più probabile la seconda versione: San Tussio potrebbe forse essere un “nome parlante” - in particolare un “nome toponomastico” -, poiché deriverebbe dal luogo di nascita del Santo.

 

Chiusa questa parentesi, proseguiamo con la storia della fondazione delle chiese di Bagno dentro le mura. Poco più distante da San Marco e da San Tussio, nasce la chiesa di Santa Maria di Bagno (oggi scomparsa) che sorgeva nella piazza omonima, tra Via San Francesco di Paola e Via al Campo di Fossa; molti aquilani - soprattutto chi ha almeno 50 anni - conoscono questa piazzetta come l'autostazione degli autobus "Pacilli" (confinante appunto con la piazza), azienda privata di trasporti pubblici "scomparsa" con l'istituzione delle autolinee pubbliche regionali, poco più di 40 anni fa.

Per completezza storica ricordiamo - a parte - che, ancora più distante - nelle vicinanze delle Mura - sorse invece il monastero (anch'esso scomparso) di Sant'Andrea di Bagno (o Sant’Andrea delle mura) con il suo orto murato che arrivava fino alle mura civiche: oggi ce lo ricordano Via Sant'Andrea e Piazza Sant'Andrea (quest’ultima però, al momento non è elencata ufficialmente nei viari, come segnalato da alcuni residenti). Aggiungiamo anche che Via Vincenzo De Bartholomaeis in passato si chiamava “Vico (o Via) di Sant'Andrea” perché conduceva al sito del monastero (è la via che oggi collega Piazzale Pasquale Paoli con Via Sant’Andrea). Il tracciato di Vico Sant’Andrea (oggi Via De Bartholomaeis) è visibile anche nella pianta di Aquila del 1753 dove - come oggi - incrocia Via Campo di Fossa, che all’epoca però non proseguiva ancora fino alle mura.

Il monastero di Sant’Andrea venne fondato a partire dal 1368, dopo una donazione di alcuni aquilani di Bagno; fu destinato ad ospitare le Monache Agostiniane che erano sotto la guida dei vicini Padri Agostiniani, quindi potremmo dire che era una “versione femminile” del convento di Sant’Agostino. Sant’Andrea si trovava sempre nel locale di Bagno dentro la città e a poca distanza da Porta di Bagno.

 

Torniamo in Piazza San Marco. La chiesa di San Tussio ebbe una breve durata poiché intorno al 1282 arrivarono i Padri Agostiniani che successivamente acquisirono la chiesa (1295), inglobandola nel complesso del convento di Sant'Agostino; la parrocchia fu poi soppressa (1331) e le spoglie di San Tussio passarono quindi dentro la vicina chiesa di San Marco, dove venne realizzata un'apposita custodia (una nuova sistemazione delle spoglie di San Tussio fu effettuata per volontà di Girolamo Manieri, vescovo di Aquila dal 1818 al 1844, sempre all’interno di San Marco).

Nel 1703, il terremoto distrusse la chiesa di Santa Maria di Bagno; i suoi parrocchiani unirono la loro parrocchia alla chiesa di San Marco che venne invece ricostruita e ristrutturata.

Nel frattempo - da qualche secolo - "era arrivato" anche San Rocco, che all'epoca della fondazione della città non era ancora nato.

Quindi, nell’anno 1750, la chiesa di San Marco "riuniva" idealmente i Santi legati al territorio di Bagno con Pianola: per questo i quattro Santi raffigurati sui campanili sarebbero la "fotografia" di una situazione storica che sostanzialmente è anche quella di oggi. San Marco come titolare principale della chiesa fondata dai "pianolesi", San Tussio e San Raniero legati a Bagno in generale, e San Rocco, divenuto patrono di Piànola.

Manca San Massimo, probabilmente per un motivo molto semplice: da un punto di vista ecclesiastico (e non solo), Civita di Bagno - anche se rientra geograficamente nel territorio di Bagno - rappresenta un centro “autonomo” (detto anche “Civita di San Massimo”) perché la sede della sua Diocesi fu trasferita (traslata) ad Aquila nel 1256, portando il nome di San Massimo alla Cattedrale aquilana; sempre la “Relazione” sulle chiese collegiate aquilane (1824) ci ricorda: « […] Filiani di questa Chiesa [San Marco; n.d.R.] sono tutti Naturali di Bagno, e Pianola, tranne quei di Civita di Bagno, i quali sono soggetti alla Cattedrale […]».

Al titolo di San Massimo è stato poi unito quello della chiesa di San Giorgio, per cui il nostro Duomo ha acquisito il titolo di San Massimo e San Giorgio. Quindi - al giorno d’oggi - San Massimo e San Giorgio meriterebbero di essere rappresentati nelle nicchie ai lati del portale della Cattedrale aquilana.

 

Anche l'onomastica stradale ha tenuto appropriatamente e saggiamente in conto il valore storico della chiesa di San Marco: oltre a “Piazza San Marco” che arriva fin davanti a Sant'Agostino, abbiamo “Via Forcona” (antico nome di Civita di Bagno) che corre sul lato sinistro della chiesa, e “Via dei Neri” (lato destro) che dovrebbe richiamare la Confraternita dei Neri ("Li Negri") con sede nella chiesa di San Marco dal 1582 (per completezza va detto che sul nome "Via dei Neri" esistono anche altre ipotesi; personalmente ho riportato quella che mi sembra più stringente). Il nome di questa Confraternita dovrebbe richiamare l'abito nero che la contraddistingueva: la versione arcaica “Li Negri” - infatti - richiama alla mente l’aggettivo latino maschile “niger” (“nigri”, al plurale) che significa appunto “nero”.

Claudio Crispomonti nella sua Historia (1630 circa) riporta un elenco delle Confraternite aquilane dei suoi tempi, tra cui: «La Pietà, Veste negre, con Cappuccio tondo, a San Marco»; nell’elenco del Crispomonti è l’unica confraternita con veste nera che ha sede in San Marco.

Quindi “La Pietà” di San Marco doveva corrispondere alla Confraternita dei Neri e assolveva diversi compiti, dei quali ci parla sempre Claudio Crispomonti: «La Compagnia della Pietà marita ogni anno tre Zitelle, et veste tredeci Orfanelli, et have cura di assistere, e seppellir quei, che moiono p[er] mano della giustitia».

 

Per concludere questa nostra passeggiata nel tempo e nello spazio, è doveroso ricordare che la chiesa di San Marco normalmente ospita un quadro molto caro alla maggior parte degli aquilani: la Madonna del Popolo Aquilano "Salus Populi Aquilani" (Salvezza del Popolo Aquilano). L'immagine è oggi esposta nella vicina chiesa di Santa Maria del Suffragio (le "Anime Sante"), all'interno della Cappella della Memoria dedicata alle Vittime del sisma del 2009.

Lì, la Madonna del Popolo Aquilano attende di tornare nella sua casa, a San Marco, chiesa dal grande valore storico e architettonico, il cui titolo completo è oggi "San Marco - Santuario della Madonna del Popolo Aquilano".

 

Per questo, chiudiamo “facendo il tifo" per la rinascita di San Marco così come per Santa Maria Paganica (chiesa Capoquarto) e per la nostra Cattedrale (chiesa-madre di tutta la Diocesi); e, naturalmente, per molte altre chiese.

 

 

 Mauro Rosati

giovedì 13 agosto 2020

Foto del giorno - San Flaviano della Torre

 


19 marzo 2016
Chiesa di San Flaviano della Torre (Quarto di San Giorgio). Veduta dell'abside lambita dalla luce della tarda mattinata (da Costa ed Arco di San Flaviano).
La chiesa di San Flaviano (seconda metà del XIII secolo) sorge nella zona delle 'coste' e degli 'sdruccioli', lì dove la città digrada dalla Piazza del Mercato verso la 'valle' di via Fortebraccio.

mercoledì 29 luglio 2020

Dalla dea Atena alla Vergine Maria - Flussi di pensiero

(Articolo inviato alle redazioni di stampa locale in data 21 luglio 2020)


Fig. 1. Il dipinto raffigurante la dea Atena.



Prima parte – La dea Atena
È un’affermazione forse scontata ma giova sempre ripeterlo: la Storia, dalla Religione alle Arti e alla Cultura in generale, non è una sequenza di “compartimenti stagni”, non è una serie di fatti scollegati fra loro. Esistono date ed eventi particolari che vengono indicati come riferimenti, “spartiacque” tra un “prima” e un “dopo”, a volte semplicemente per una necessità di classificare le cose, di chiudere un capitolo di un libro e aprirne un altro; ma anche un “prima” e un “dopo” conservano sempre un filo che continua a legarli, e il “dopo” non è mai di fatto un cambiamento istantaneo; è una svolta, un cambio di direzione, ma sempre basato sulla provenienza da un “prima” che ha innescato quel movimento. Così come non si passa istantaneamente dal giorno alla notte o dalla notte al giorno, ma attraverso delle fasi - il crepuscolo e l’alba – durante le quali giorno e notte convivono e sfumano fra loro, nonostante il tramontare o il sorgere del sole siano riferimenti “netti”.
Per semplificare, potremmo pensare alla Storia (in tutti i suoi aspetti) anche come a un reticolo di strade: tante strade che a volte si diramano in due o più direzioni diverse, altre volte si incrociano e si uniscono per poi magari separarsi di nuovo (e viceversa), altre volte ancora corrono parallele senza toccarsi oppure si sfiorano e si sovrappongono leggermente; ad ogni incrocio o sfioramento però, queste strade si scambiano o condividono qualcosa. Se si preferisce, possiamo pensare alla storia anche come a un sistema di corsi d’acqua, con diverse dimensioni e direzioni.

E così, ecco che la Storia ci fornisce spunti di confronto e riflessione; e anche una breve contemplazione di un’opera d’arte può innescare un flusso di pensieri che possono spaziare in tanti campi diversi.

In questo caso, il flusso che descriverò - strettamente personale - parte dall’ammirazione di un dipinto, qualche mese fa.

Tra le tante bellezze che la ricostruzione della nostra città-territorio sta rivelando o rivalutando, c’è un luminoso dipinto che campeggia sulla volta di una stanza, in un palazzo che affaccia su Via Garibaldi; una via che potremmo anche considerare come il “terzo Corso” dell’Aquila, “terzo” in ordine gerarchico dopo il “primo Corso” (Vittorio Emanuele + Federico II, “longitudinale”) e il “secondo Corso” (Corso Principe Umberto, il corso “trasversale”).

Il dipinto in questione (Fig. 1) ne ricorda altri che arricchiscono le stanze di molti palazzi aquilani. A prima vista sembrerebbe risalire a un periodo compreso fra l’Ottocento e il Novecento, non sembra un affresco ma più probabilmente (considerata anche l’epoca) un dipinto realizzato con tecnica “a secco”, forse a tempera sull’intonaco già asciutto del soffitto. Il tema è mitologico.
Dentro un grande “disco” centrale - incorniciato da una composizione di rombi, triangoli e rettangoli finemente decorati - riconosciamo una figura femminile, robusta, sospesa su una nuvola fuori dallo spazio e dal tempo, con il volto di profilo e lo sguardo che mira lontano. È la dea Atena (associata a Minerva dai Romani antichi), riconoscibile da alcuni dei suoi attributi più classici: la lancia nella mano destra, lo scudo con la testa di Medusa (“gorgone”) nella mano sinistra, la civetta dallo sguardo vispo accanto a lei, un elmo piumato sulla testa. Concentriamoci su alcuni dettagli:
- la lancia e lo scudo. Tra gli attributi di Atena vi è quello della dea guerriera, una guerriera che non combatte però con la furia irrazionale e con la forza delle armi convenzionali ma con le armi della mente, l’intelligenza e quindi anche l’astuzia, la strategia. Non a caso, come ci insegnano i grandi poemi omerici - l’Iliade e l’Odissea - Atena è la dea protettrice di Ulisse, la sua guida (un tutor si direbbe oggi), una sorta di angelo custode che gli si manifesta sotto varie forme e gli illumina la mente nei momenti decisivi. Non a caso Ulisse, nonostante si faccia valere anche con le armi, risolve la guerra di Troia con l’uso dell’astuzia, dopo dieci anni di stragi e una situazione di stallo che sembrava non vedere soluzione a favore di nessuna delle due parti in guerra. Un “semplice” cavallo di legno risolve quello che le armi convenzionali e la furia non avevano risolto per lungo tempo; Troia viene espugnata e distrutta. Sempre l’astuzia e l’aiuto di Atena, che si “assenta” apparentemente solo per una parte del racconto, permetteranno a Ulisse di sopravvivere alle disavventure e alle trappole in cui si imbatterà nel viaggio di ritorno a Itaca, che sarebbe durato altri dieci anni con varie “soste” lungo il percorso.
“Astuzia”, certo si potrebbe definire anche “inganno” o, come si direbbe oggi, “furbizia”, termine dalle sfumature ambigue; ad esempio, Dante Alighieri, nella sua Commedia, ritiene che Ulisse sia colpevole di inganno e per questo lo “condanna” all’Inferno nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, cioè degli “imbroglioni e truffatori”. Proprio lo stesso personaggio che nei poemi omerici era lodato per la sua costanza e per la sua prontezza di pensiero? Sì! Sulla materia ognuno ha i suoi punti di vista!
L’elmo con la testa di Medusa (più genericamente la “gorgone”) ci ricorda un'altra battaglia vinta con l’astuzia e grazie all’aiuto della dea Atena. Secondo la mitologia classica, Medusa era un personaggio mostruoso con i serpenti al posto dei capelli e chiunque la guardasse negli occhi rimaneva pietrificato. Quando Perseo fu inviato ad ucciderla doveva vederla ma allo stesso tempo non guardarla direttamente. Soluzione! Perseo uccise Medusa guardando la sua immagine riflessa nello scudo, quindi senza fissarla direttamente.
- La civetta. Atena era anche la dea della saggezza, come in parte abbiamo già visto, della sapienza (nell’accezione più ampia del termine, una sapienza “a tutto tondo” fatta di conoscenza e di esperienza), e quindi anche delle arti. Nella cultura greca antica la civetta simboleggiava proprio la saggezza, intesa come capacità di guardare le cose in profondità oltre lo sguardo superficiale della maggior parte. La civetta, infatti, come altri animali notturni, è dotata di occhi capaci di vedere in condizioni di scarsissima luminosità, praticamente al buio; se per “buio” intendiamo la metafora di “ignoranza” e “superficialità” ecco che si spiega facilmente questa associazione della civetta con la saggezza e quindi con la dea Atena.
La civetta, inoltre, non a caso, compare fin dall’antichità come simbolo della città di Atene, il cui nome è associato proprio alla dea Atena; la civetta di Atena veniva raffigurata sulle antiche monete ateniesi. Ai nostri tempi ritroviamo la civetta della Grecia antica sulla moneta da 1 euro coniata nella Grecia contemporanea; un filo che si riallaccia al passato.
È soltanto nei secoli successivi all’età greca e poi romana, che la civetta diventa, per varie ragioni, un animale associato a caratteristiche negative: come molti altri animali che si muovono di notte, come il gatto e il gufo, viene considerata una creatura demoniaca e portatrice di sventure. Questa associazione è arrivata fino ai nostri giorni anche attraverso la letteratura e poi il cinema; si usa spesso l’espressione “gufare”, spesso in tono scherzoso, riferita a qualcuno che augura cattiva sorte anche per un semplice evento sportivo. Però dobbiamo anche dire che da un po’ di anni la civetta (e i suoi simili) sta conoscendo una rivalutazione dopo secoli di diffidenza! Già il “gufo Anacleto”, personaggio di un famoso film animato (1963-1964), saggio e istruito, richiamava in qualche modo la tradizione antica che vedeva questo animale sotto un’ottica positiva.

La nascita di Atena avviene in modo particolare: in sostanza viene “partorita” direttamente dalla testa di Zeus e nasce già adulta.
Atena è identificata con molti appellativi che le sono stati attribuiti nel tempo e per ragioni differenti, che a volte hanno origine nella mitologia più antica anche con spiegazioni diverse.
Senza dilungarci in troppi dettagli, ricordiamo alcuni di questi appellativi: Atena è Vergine (Parthenos; da cui il nome del Partenone di Atene a lei dedicato), Atena è protettrice delle città (Polias).
Ad Atena come protettrice delle città è legato il mito del Palladio, una statua (di legno in origine) che ritraeva la dea Atena corazzata ed armata, e alla quale veniva attribuito il potere di difendere una città; una difesa dalle aggressioni militari ma anche, probabilmente, una difesa da eventi naturali avversi. L’importanza del Palladio nella cultura greca antica, si comprende già dai racconti omerici: la città di Troia ospitava il Palladio in un tempio dedicato; quando Troia fu espugnata, durante il saccheggio, Aiace di Oileo - uno dei principali guerrieri achei - abusò della sacerdotessa Cassandra, figlia di Priamo, proprio nel tempio sacro ad Atena. Per la gravità di questa profanazione, Atena - nonostante fosse “schierata” a favore degli Achei - punì il sacrilegio commesso da Aiace di Oileo facendo in modo che le sue navi naufragassero durante il viaggio di ritorno, come ci racconta l’Odissea.
Nell’antichità greca e romana abbiamo notizie della presenza di un Palladio in diverse città dalle origini antiche: Atene, Roma, Napoli, Firenze; anche se va precisato che il Palladio non coincise sempre con la figura di Atena ma per estensione indicò anche altre rappresentazioni di valore sacro, alle quali si attribuiva il potere di proteggere la città (come ad esempio nei casi di Napoli e Firenze).
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Seconda parte – La Vergine Maria
Adesso facciamo un salto in avanti lungo i secoli e arriviamo alla cultura cristiana, più precisamente alla figura della Vergine Maria.
Non intendo effettuare paragoni troppo semplicistici né addentrarmi in complessi argomenti teologici che non si possono certo approfondire nello spazio di un articolo.
Limitiamoci soltanto ad osservare alcuni elementi, e uno in particolare, che ritroviamo sia nella figura della Madonna sia in quella di Atena: l’appellativo di Vergine; la Madonna come Sedes Sapientiae (Sede della Sapienza) e il ruolo di protezione delle città (città intese come comunità, a prescindere dalle dimensioni).
Per quanto riguarda il discorso della Sedes Sapientiae, nel caso di Maria dobbiamo intenderla come colei che porta in grembo la Somma Sapienza (ricordiamo Dante Alighieri), ossia la Sapienza di Dio; la Madonna è infatti Madre di Gesù, figlio di Dio, e quindi porta in grembo e poi genera il Figlio di Dio. Il Figlio di Dio, però, è una delle tre forme in cui si manifesta Dio stesso (la Trinità) e quindi Maria Vergine è figlia e madre di Dio allo stesso tempo, e quindi della Sapienza per eccellenza; Gesù, il Figlio di Dio è la manifestazione di questa Sapienza in carne ed ossa, è la Parola che prende forma. Più in generale, poi - secondo alcuni pareri - non si tratta di una sapienza esclusivamente intellettuale ma di una sapienza “a tutto tondo” (come avevamo già osservato a proposito di Atena) che comprende anche una conoscenza (un’intelligenza) della vita e del mondo, oltre appunto alla Sapienza Divina.

Ora, però, concentriamoci sul ruolo di protettrice delle città. Nella cultura cristiana alla Vergine Maria viene affidata la protezione dell’intera comunità, e non è un caso se molte “chiese madri” (o “chiese matrici”), dalle Cattedrali alle sedi delle Parrocchie, sono state intitolate a Maria con titoli diversi, e nonostante la presenza di altri Santi patroni. La Vergine Maria non è una dea, poiché la religione cristiana riconosce un solo Dio; Maria è una donna, un essere umano, prescelta però per dare alla luce la manifestazione di Dio nella figura del Figlio. Inoltre, Maria, pur essendo un essere umano, lascia questo mondo con anima e corpo che ascendono al Cielo dopo la Dormizione, per essere quindi Assunta in Cielo e Incoronata dal suo stesso Figlio. In questo senso la Madonna ci appare come una figura “semidivina”, che diventa Avvocata, Mediatrice, degli uomini presso Dio mediante suo Figlio (“Santa Maria Mediatrice” è un altro dei titoli che troviamo di frequente nelle chiese) e, non dimentichiamo, Madre dell’Umanità. Lo vediamo in tante rappresentazioni artistiche. Quindi, in un certo senso, Maria ha un “canale di comunicazione” più diretto verso Dio rispetto alle altre figure di Santi e quindi diventa “tramite” e “garante” tra i Santi Patroni e il Padre Eterno.
Rende forse bene l’idea di queste “gerarchie” un’opera d’arte molto nota al popolo aquilano: il gonfalone della Città di Aquila dipinto da Giovanni Paolo Cardone (1579). Nel gonfalone vediamo i quattro Santi patroni (Massimo, Celestino V, Bernardino, Equizio) che sorreggono la città rivolgendo lo sguardo verso l’alto, in direzione della figura di Cristo, in alto al centro; a sinistra si vede la Vergine Maria che guardando suo Figlio Gesù, rivolge la mano destra verso il basso, in direzione della città e dei suoi Santi patroni, in un atteggiamento premuroso e, appunto, mediatore.

Facciamo adesso qualche esempio di intitolazioni alla Madonna, iniziando da tre grandi e famose cattedrali europee:
- il Duomo di Milano attuale, costruito a partire dal Trecento, è intitolato a Santa Maria Nascente e sulla sua guglia più alta ospita la famosa statua settecentesca della “Madonnina”, uno dei principali simboli di Milano; il primo patrono di Milano è Sant’Ambrogio di Treviri.
- Il Duomo di Napoli è intitolato a Santa Maria Assunta; il primo patrono di Napoli è San Gennaro, la cui cappella è proprio all’interno della Cattedrale partenopea (Real Cappella del Tesoro di San Gennaro).
- La Cattedrale di Parigi è intitolata a Notre-Dame (Nostra Signora) cioè la Madonna (da Mea Domina, appunto “Mia Signora”), per l’esattezza Notre-Dame de Paris poiché nel mondo abbiamo molte Notre-Dame e molte Nuestra Señora; la prima patrona di Parigi è Sainte Geneviève (Santa Genoveffa).
Ci fermiamo qui con i grandi esempi ma, come abbiamo ricordato, anche nei paesi è frequente l’intitolazione della “chiesa madre” (o “chiesa matrice”) alla Madonna con appellativi diversi; tra i più frequenti, come per le Cattedrali, troviamo il titolo di Santa Maria Assunta. Ci bastano pochi esempi molto vicini, proprio nel contado della nostra città:
- la chiesa madre di Paganica è intitolata a Santa Maria Assunta, anche se oggi unisce i titoli di “Santa Maria Assunta e Santa Croce” dal nome di una chiesa vicina scomparsa nel XX secolo; per non parlare della chiesa madre di Santa Maria Assunta nel vicino borgo di Assergi che aveva in città la sua chiesa omonima, poi ridenominata Santa Maria del Carmine, come la conosciamo oggi.
- A Gignano abbiamo la chiesa parrocchiale intitolata a Santa Maria Assunta. Oggi tendiamo a concepire Gignano soltanto come un quartiere residenziale della città, ma questo è riduttivo: Gignano, infatti, è innanzitutto un borgo con una sua origine autonoma e un suo stemma storico, e fa parte dei castelli del Contado che contribuirono alla fondazione dell’Aquila; per questo possiamo considerarlo come un centro abitato autonomo, che fino a pochi decenni fa aveva la caratteristica tipica di una comunità rurale, con le case raccolte intorno alla sua chiesa parrocchiale. Purtroppo la parrocchiale che compare nelle foto d’epoca non è più esistente a seguito del sisma del 2009; la chiesa era rimasta in piedi dopo il terremoto ma è stata demolita completamente a poche settimane dal sisma e poi sostituita dalla nuova chiesa negli anni recenti. Si trattava di un bell’edificio rustico con i tratti della chiesa di campagna ma anche con una grande spazialità all’interno, abbastanza sviluppata in altezza, e con un altare edicola - come si vede da diverse foto -; inoltre, sopra il portale di questa chiesa demolita era dipinta un’immagine della Madonna, dal forte valore popolare, che ricordava l’intitolazione della parrocchiale.
Nota. Le origini agricole di Gignano sono ricordate anche dalla specificazione del nome di alcune strade: la prima che viene in mente è la Strada Vicinale dei Cappuccini, un nome da conservare come tutte le altre “strade vicinali” che troviamo nel nostro territorio comunale; la specificazione di “Strada Vicinale” infatti, ci ricorda che quella strada era nata in un contesto agricolo come via di servizio, generalmente privata, per l’accesso a terreni e ad abitazioni specifiche - e poi - con il passare del tempo è divenuta una strada di utilità pubblica. È ancora più importante conservare questi nomi caratteristici in quei contesti - come Gignano ma non solo - che hanno conosciuto un certo sviluppo residenziale. Significa mantenere la memoria del passato agro-pastorale dei nostri territori.
A questi esempi aggiungiamo, a titolo di ulteriore curiosità, che Santa Maria Assunta è patrona del borgo di Bagno Piccolo dove sorge la chiesa omonima.

In generale, il culto dell’Assunta è molto antico anche se è stato proclamato come dogma soltanto nel 1950 da papa Pio XII, e le intitolazioni a Maria Assunta sono molto frequenti.
Tornando alle Cattedrali, ovviamente ci sono anche città in cui il Duomo è intitolato al Santo patrono. Ne abbiamo un esempio proprio a L’Aquila: la nostra Cattedrale, infatti, è intitolata a San Massimo e San Giorgio. Anche da noi però, se andiamo a cercare, troviamo una chiesa molto importante della città nella quale è presente una dedica specifica alla Madonna ma che generalmente ci sfugge. Non mi riferisco a Santa Maria Paganica, grande e importante chiesa Capoquarto, costruita dagli abitanti di Paganica in città riportando - dentro le mura - la stessa intitolazione della chiesa madre di Paganica, di cui abbiamo già parlato. Non mi riferisco neanche alla grande Basilica di Santa Maria Assunta in Collemaggio la cui intitolazione si lega al racconto della Madonna che appare in sogno a Pietro Angelerio (o Angeleri; futuro papa Celestino V) mentre riposava in quel luogo. E non mi riferisco ad altre chiese che riportano il titolo di Santa Maria per ragioni diverse e con appellativi diversi (ad esempio Santa Maria del Suffragio, intitolata alla Madonna che intercede per le anime del Purgatorio).
La chiesa a cui mi riferisco è invece la Basilica di San Bernardino, fondata proprio per ospitare degnamente il sepolcro del famoso Santo dell’Osservanza francescana. Fermiamoci davanti alla facciata della Basilica e guardiamola attentamente: una grande iscrizione in alto ci ricorda che la chiesa è intitolata al patrono San Bernardino, il più “giovane” dei quattro Patroni dell’Aquila (lo precedono - in ordine cronologico - San Massimo d’Aveja, Sant’Equizio, San Celestino V).
Ora, avviciniamoci ancora fino ad arrivare davanti al portale centrale, realizzato diversi anni dopo il completamento della facciata; un’iscrizione nella lunetta del portale - in un latino non del tutto “classico” - ci dice che la chiesa è consacrata alla Vergine Madre del Dio Vivente e a San Bernardino (il Dio Vivente è Gesù, ossia Dio che si è fatto uomo e quindi vivente). Le figure scolpite a rilievo nella lunetta ci chiariscono ulteriormente i dubbi: al centro della composizione vediamo la Madonna seduta con il Bambino Gesù; a sinistra, San Francesco d’Assisi ci ricorda che entriamo in una chiesa francescana, mentre a destra è ritratto San Bernardino da Siena (lo riconosciamo perché indica il famoso trigramma del “Nome di Gesù”) che poggia la mano sulla spalla di un uomo in genuflessione. Sotto la figura di quest’uomo leggiamo un nome: “Hieronimus de Nurcia”, Geronimo (o Gerolamo) da Norcia, procuratore della fabbrica della Basilica tra il 1558 e il 1562.

La nostra camminata si conclude qui: siamo partiti da un dipinto della dea Atena sulla volta di una stanza in Via Garibaldi, abbiamo percorso un breve tragitto di alcune centinaia di metri tra le vie della nostra città, e siamo arrivati davanti al portale centrale della Basilica di San Bernardino. Durante questa passeggiata, però, un flusso di pensieri ci ha portato a conoscere un po’ meglio la dea Atena, accennando anche ad Ulisse e a Perseo; poi ci siamo spostati nei secoli e siamo arrivati alla cultura cristiana e quindi alla figura della Vergine Maria. Nel discorso ci siamo spostati a Milano, Napoli e Parigi, per poi avvicinarci al nostro Contado citando Paganica, Assergi, Gignano e Bagno Piccolo. Quindi siamo rientrati a L’Aquila e, davanti all’ingresso della Basilica di San Bernardino, il nostro pensiero si è riunito al nostro tragitto.
L’articolo ha voluto fornire alcuni spunti di approfondimento su argomenti molto dibattuti e complessi.

Ringrazio la dott.ssa Maura Iannucci, il prof. Giulio Pacifico e il sig. Fernando Rossi per gli utili suggerimenti e informazioni necessari alla stesura di questo articolo.


Mauro Rosati

martedì 2 giugno 2020

"BONE NOVELLE! BONE NOVELLE!" - 2 giugno aquilano

"BONE NOVELLE! BONE NOVELLE!"

La targa riprodotta e collocata sul Palazzetto ristrutturato, all'angolo tra via Bone Novelle e via dell'Arcivescovado.
(Foto: Mauro Rosati, 2018)


2 giugno aquilano - 596 anni dalla vittoriosa battaglia di Bazzano!

"DOPO CINQUE SECOLI
RIEVOCANDO 
LE MILIZIE AQUILANE 
CONDOTTE ALLA VITTORIA
DA 
ANTONUCCIO CAMPONESCHI
CONTRO
BRACCIO DA MONTONE 
RIPASSA ED AMMONISCE
LA STORIA


Così recita un'epigrafe realizzata nel 1924 in occasione dei 500 anni dalla Battaglia dell'Aquila (o Battaglia di Bazzano).
L'epigrafe, danneggiata dal sisma del 2009, è stata riprodotta negli scorsi anni per iniziativa del Gruppo Aquilano di Azione Civica «Jemo 'nnanzi» e il 02 giugno 2018 è stata collocata al suo posto, dopo la ristrutturazione del bel palazzetto che la ospitava.


La storia
Il 2 giugno 1424, dopo un anno di duro assedio, le milizie aquilane, accanto agli alleati provenienti da altri Stati italiani, sconfissero le truppe di Braccio da Montone nella decisiva battaglia svoltasi nella piana tra Bazzano e Bagno, ad est della città di Aquila.
La battaglia di Bazzano poneva fine a un anno di scontri, assalti alle mura, saccheggi dei castelli del Contado, sortite difensive causate dalla volontà del condottiero Braccio da Montone di conquistare Aquila che, insieme a Perugia, gli avrebbe permesso di creare una Signoria nell'Italia centrale e di muovere contro gli altri Stati confinanti. Per questo la battaglia del 2 giugno 1424 non fu soltanto un evento di rilevanza locale ma anche nazionale perché nel caso in cui Aquila fosse stata conquistata, la storia italiana di quel periodo avrebbe seguito probabilmente altre strade.

Molti gli uomini d'arme protagonisti di quell'epopea durata un anno, alcuni dei quali ricordati nei nomi delle nostre strade cittadine: gli aquilani Antonuccio Camponeschi e Minicuccio d'Ugolino; il molisano Jacopo (Giacomo) Caldora; il romagnolo Muzio Attendolo Sforza, capostipite della nota dinastia che avrebbe signoreggiato su Milano, annegato a Pescara durante il guado dell'omonimo fiume nella spedizione verso Aquila; e ovviamente, 'dalla parte opposta della barricata', Braccio da Montone.

Secondo la tradizione, durante le ore trepidanti della battaglia, alcuni Aquilani si erano riuniti in preghiera presso la chiesa di Sant'Apollonia su invito dell'Arte della Lana, che in quel periodo lì aveva sede. Quando giunse la notizia della vittoria delle milizie aquilane e alleate, i cittadini riuniti in preghiera risalirono un'antica strada cittadina correndo esultanti verso la piazza Maggiore (Piazza del Duomo, o Piazza del Mercato) per annunciare 'Bbone novelle' agli altri concittadini. 
Quell'antica via medievale ancora oggi collega Sant'Apollonia con la Piazza; il suo nome, Via delle Bone Novelle, ci ricorda ancor oggi quei momenti. 
La denominazione di «Bone Novelle» risale all'Unità d'Italia ma si riallaccia a questa tradizione; precedentemente quella via era nota come «Valle di Rojo» perché conduce a Porta Rojana e quindi al vallone di Sant'Apollonia, da cui si usciva dalla città per raggiungere la zona di Rojo.

Secondo altre ipotesi storiche, il messaggero ufficiale annunciante la vittoria sarebbe arrivato in Piazza del Mercato  (Piazza del Duomo) risalendo dalla Porta di Bazzano; ciò tuttavia non esclude che anche dalla zona di Porta Rojana, nei pressi di Sant'Apollonia, potesse essere arrivata la notizia per via 'ufficiosa'.
Un'ipotesi non esclude l'altra. Anche le tradizioni 'leggendarie' si basano sempre su una realtà storica di partenza.

Quel che è certo è che quel giorno la nostra città riconquistò la sua libertà e la sua autonomia dopo oltre un anno di duro assedio e di resistenza!

Pertanto, come ogni anno, accanto al '2 giugno' nazionale, celebriamo anche il nostro 2 giugno, il '2 giugno aquilano'!

Mauro Rosati

lunedì 20 aprile 2020

Via dei Merletti e altre curiosità



Lavori in 《punto antico aquilano》(Paola Cinque)

Il racconto che segue si basa sui ricordi d’infanzia, diretti e indiretti, del signor Piero Boschetti, classe 1948, noto artista presepista aquilano. Ringrazio quindi il signor Boschetti per la disponibilità nel voler condividere episodi e notizie che aiutano a ricostruire alcune storie del quotidiano della nostra città.
Ringrazio la signora Paola Cinque che ha messo a disposizione le foto di alcuni suoi lavori in "punto antico aquilano".
Il racconto è integrato da mie note di “intervallo” che ho inserito sulla base di notizie storiche che ho estratto da altre precedenti ricerche.


L’Aquila – “Via dei Merletti”, nel Quarto di San Pietro, è una strada della nostra città poco conosciuta dal “grande pubblico”, con la sua posizione “riservata” tra le vie e i vicoli che si incrociano nella zona alle spalle dell’Istituto Salesiano. Una zona che fino a un secolo fa rappresentava già una periferia rispetto al cuore della città: siamo dentro le Mura ma a due passi da Porta San Lorenzo (o Porta di Pizzoli) oggi murata e interrata all’interno, ben visibile invece dall’esterno dopo i recenti restauri; siamo anche a due passi dall’ex convento di Sant’Anna dei Riformati (poi ex Istituto Agrario) e a due passi dal monastero e chiesa della Lauretana. Nonostante la sua posizione defilata, è facile raggiungere via dei Merletti, preferibilmente a piedi: partiamo da viale Duca degli Abruzzi; percorrendo in discesa viale San Giovanni Bosco (già via Porcinari) e, appena superati i Salesiani (prima della curva della Lauretana), si apre a sinistra un piazzale delimitato da un lato da case popolari di metà Novecento e dall’altro da giardini; siamo in via San Nicola d’Anza; si prosegue fino alla fine del piazzale, dove la strada si restringe tra due palazzine, e si svolta a sinistra ricominciando a salire. Eccoci arrivati in via dei Merletti. Risalendo questa strada si giunge a incrociare via Rocca delle Vene e, girando ancora a sinistra, dopo pochi metri si entra in via dell’Ospizio che ci riporta diretta su viale Duca degli Abruzzi. Ci sono altri percorsi possibili per raggiungere via dei Merletti ma in questo caso ho scelto quello più semplice, partendo dalle vie più note.

In via dei Merletti si trova l’ingresso settecentesco alla chiesa di San Nicola d’Anza (San Niccolò di Sant’Anza), la chiesa dentro le mura degli abitanti di Sant’Anza, uno dei castelli fondatori di Aquila. La chiesa, oggi abbandonata da molti anni e priva in gran parte del tetto, risalirebbe al XIII secolo e rappresenta un importante esempio di architettura religiosa aquilana delle origini; vincolata dai Beni Culturali pochi anni fa, questa chiesa è meritevole di un intervento di recupero che le restituisca la giusta dignità e una nuova destinazione d’uso, considerando che non è più officiata al culto già dall’Ottocento.

In tempi storicamente più recenti (nella seconda metà del Novecento), racconta il signor Piero, la zona di via dei Merletti era localizzata anche con l’espressione “vicino alla DC”, dal nome dell’ex partito della Democrazia Cristiana che aveva la sua sede locale nelle vicinanze.

Torniamo adesso alla nostra via dei Merletti: perché questo nome? Il signor Piero, attingendo a memorie tramandate per tramite dei suoi genitori, racconta che, negli ultimi decenni dell’Ottocento, la signora Sofia De Sanctis (Sofia Boschetti da sposata), sua nonna paterna, nata nel 1862, aveva aperto un laboratorio-scuola di “merletto di tombolo”, con trentadue lavoratrici, dove si realizzavano lavori con il tombolo aquilano; si creavano corredi ma non solo, manufatti di fattura pregiata di cui però non tutti comprendevano il valore. La signora Sofia viveva nella casa di famiglia dei Boschetti in via Coppito, una via rettilinea che collega via Roma con via Porcinari (il tratto finale di via Garibaldi, quasi di fronte a Piazza San Silvestro), ad angolo con il “Casino Branconio”.

Sulla stessa via Coppito aveva casa anche la famiglia Bernardi, cui apparteneva Quirino Bernardi, insegnante presso il Liceo Classico e autore, in età anziana, della Toponomastica storica della Città di Aquila, pubblicata nel 1961, di cui parleremo più avanti. La sorella maggiore di Quirino Bernardi, molto più anziana di lui, era in amicizia con la signora Sofia, e allo stesso tempo era la dama di compagnia delle signore Cipolloni (una delle due si chiamava Dolores), due nobildonne aquilane proprietarie, all’epoca, dell’odierno “palazzo Cipolloni-Cannella”.

Nota 1: palazzo Cipolloni-Cannella, oggi proprietà dei Padri Gesuiti, si trova lungo Corso Vittorio Emanuele, di fronte all’ultimo tratto dei Portici prima di arrivare a “Capopiazza”; è il palazzo dove al piano terra, dall’autunno del 2019, ha aperto una storica e famosa libreria aquilana.

Le nobili Cipolloni, avendone le possibilità economiche, viaggiavano per molte città ed erano entrate in contatto anche con la famiglia reale dei Savoia, conoscendo il Re d’Italia. Trattandosi di memorie indirette, acquisite nell’infanzia, il signor Piero non ricorda quale fosse il Re però racconta che le Cipolloni lo incontrarono mentre era di passaggio a Firenze. Il signor Piero ricorda che tramite questa catena di contatti, la nonna Sofia ricevette la commissione di realizzare il corredo per il figlio del Re d’Italia, più precisamente per la nascita del “principino Umberto”. La signora Sofia realizzò un corredino per il principe e, come omaggio, vi aggiunse un ombrellino di quelli utilizzati in passato per riparare i bambini in carrozzina. Il Re, soddisfatto del lavoro, scrisse al Sindaco dell’Aquila per complimentarsi e il Comune, per riconoscenza, denominò “Via dei Merletti” la strada lungo la quale si trovava il laboratorio-scuola della signora Sofia.

Nota 2. A questo punto ci chiediamo: chi erano il Re e il neonato “principino Umberto”? Scorrendo la dinastia dei Re d’Italia, e sapendo che il laboratorio della signora Sofia aveva aperto verso fine Ottocento, il primo principe che incontriamo è Umberto di Savoia, nato nel 1904, il futuro Re Umberto II, ultimo Re d’Italia (nel 1946). Pertanto il Re che aveva commissionato il corredo doveva essere il padre Vittorio Emanuele III.

Proseguiamo il nostro racconto. Questo laboratorio di “merletto di tombolo” aveva anche un negozio dove si effettuava la compravendita. Questa compravendita si trovava sul retro dell’allora Collegio dei Gesuiti (oggi noto come “Palazzo Camponeschi”), lungo l’odierna via dell’Annunziata, scendendo a sinistra della piazzetta (Piazza Vincenzo Rivera) che si trova davanti alla chiesa dell’Annunziata e a Palazzo Carli (indicato appunto come Palazzo Carli “all’Annunziata”, per distinguerlo da altri palazzi Carli che si trovano in città). Proprio per la presenza della compravendita di merletti, per un certo periodo pare che via dell’Annunziata venisse chiamata anch’essa "via dei Merletti" (in questo caso forse per consuetudine orale; questa però è un’ipotesi).

Negli anni della Prima Guerra Mondiale (1915-1918), la signora Sofia chiuse il suo laboratorio e con i risparmi della sua attività, insieme al marito, aprì due mescite, una in via Coppito (nella casa della famiglia Boschetti) e l’altra in Piazza della Genca, oggi una gradevole piazza-giardino nelle vicinanze della Fontana Luminosa.

Nota 3. Al tempo della mescita della signora Sofia De Sanctis, però, la zona era differente da come la vediamo oggi: non esisteva ancora la Fontana Luminosa né la sua piazza ma un’area di risulta che scendeva bruscamente verso le Mura in direzione dell’odierno circolo del tennis (“ji strafussi” di cui racconta il signor Giovanni Carosone). Non esistevano neanche Viale Nizza e Viale Duca degli Abruzzi e, al posto dell’hotel e del condominio che dà sulla piazzetta, c’erano rispettivamente un caseggiato più basso e, probabilmente, un orto. Verso nord, piazza della Genca era delimitata da un fabbricato sotto il quale si apriva un arco, chiamato appunto arco della Genca, testimoniato da foto d’epoca; passando sotto quell’arco si proseguiva verso la zona del monastero di San Basilio. Il caseggiato con l’arco, purtroppo demolito negli anni ’30 del Novecento, si trovava in corrispondenza dell’inizio di viale Duca degli Abruzzi; per questo motivo oggi la piazza è aperta verso il Viale.

La mescita di Piazza della Genca aveva a disposizione anche un cortile interno che era stato adibito a campo per il gioco delle bocce. Questa mescita rimase aperta per alcuni anni e fu poi chiusa dalla signora Sofia e dal marito in età anziana.
Rimase invece in attività la mescita di via Coppito che, gestita dal figlio della signora Sofia (e padre del signor Piero), divenne l’attività di famiglia dei genitori del signor Piero.

Tra i molti lavori del laboratorio-scuola della signora Sofia De Sanctis, diversi finirono nelle parrocchie, essendo il lavoro a tombolo molto apprezzato dagli ecclesiastici.
Un lavoro in particolare, un corredo realizzato dalla signora Sofia, fu tramandato per tre generazioni, lungo la discendenza femminile della famiglia, come era tradizione in passato; questo corredo della signora Sofia giunse alla nipote, sorella del signor Piero, che lo conservava nella sua casa nella zona di Santanza (non lontano dalla “Rotonda”). Il corredo è andato purtroppo perduto dopo il sisma del 2009 quando ignoti “sciacalli” si sono introdotti nella palazzina pericolante per derubare gli appartamenti.

Questo spiacevole episodio non cancella la memoria e l’eredità storica di una scuola che, tra Ottocento e Novecento, ha dato lustro alla città.

Oggi, il tombolo aquilano sta conoscendo una fase di graduale rivalutazione e vogliamo ricordare, in città, la scuola di tombolo diretta dalla nostra socia Maria Cristina Bravi.


Altre curiosità

Seguono alcune brevi e ulteriori curiosità storiche che mi sono state riferite sempre dal signor Piero Boschetti.


La casa della famiglia Boschetti in via Coppito.

La casa Boschetti in via Coppito, dove visse la signora Sofia De Sanctis dopo il matrimonio, era un’abitazione caratterizzata da un cortile interno con un ballatoio, come in molte altre case, e si sviluppava in altezza con piano interrato, piano terra e primo piano; al piano terra i genitori del signor Piero gestivano l’attività di famiglia che consisteva nella gestione della mescita, frequentata anche dal signor Quirino Bernardi al quale abbiamo accennato più sopra. Nel piano interrato erano collocate le botti nelle quali veniva conservato il vino di cui il padre del signor Piero provvedeva al regolare approvvigionamento; il “centro di rifornimento” era il paese di Vittorito, nel territorio di Sulmona. Il signor Piero ci racconta che il vino veniva acquistato “a mosto” e lasciato poi “maturare” nella cantina.
La mescita di via Coppito, dopo un ammodernamento negli anni ’60 del Novecento, rimase in attività fino al 1980, quando fu chiusa. La casa di via Coppito, invece, è appartenuta alla famiglia Boschetti fino agli anni 1990-1991 circa, quando fu venduta; caduta in abbandono dopo la vendita, la casa è stata pesantemente devastata dal terremoto del 2009.


Quirino Bernardi e la toponomastica storica aquilana.

Sempre dal racconto del signor Piero, sappiamo che “a cavallo” tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento il Comune dell’Aquila aveva avviato un iter per sostituire i nomi delle strade con dei numeri, su un modello simile a quello americano (ad esempio: strada 5, 25, 30 e così via); questa scelta avrebbe portato alla scomparsa dell’onomastica storica della città e quindi anche di una parte della memoria storica. Per questo vi furono molte proteste e, tra gli oppositori, vi era anche il signor Quirino Bernardi che pubblicò il suo Toponomastica storica della Città di Aquila proprio per comunicare il valore e il significato storico di ciascuna via della città; nel testo sono elencate tutte le vie aquilane così come erano denominate in quel periodo, per cui rappresenta un “viario narrato” molto utile anche oggi.
Nota 4: via San Gabriele dell’Addolorata, la strada che collega via Caduti di via Fani (zona San Sisto) con viale della Croce Rossa, era denominata in precedenza “strada 127”. Fino a qualche anno fa, in prossimità dello sbocco della strada su viale della Croce Rossa, si leggeva ancora “strada 127” scritto sul muro ad angolo di una casa; la scritta non è più presente dopo i lavori effettuati.


L’orto di casa Bernardi.

Abbiamo visto più sopra che la casa di famiglia di Quirino Bernardi è anch’essa su via Coppito, vicino alla casa Boschetti. Il signor Piero ricorda che la casa dei Bernardi aveva un orto adiacente, uno dei molti orti urbani, generalmente murati, che caratterizzavano la nostra città; in molti di questi orti sono state realizzate costruzioni negli anni dell’espansione edilizia del secondo Novecento, altri invece si sono conservati.
Sempre dal racconto del signor Piero sappiamo che l’orto della casa Bernardi fu espropriato dal Comune per la costruzione dell’asilo di piazza San Benedetto; l’edificio scolastico, conosciuto anche come “l’asilo di Viale Duca degli Abruzzi”, è rimasto in uso fino al terremoto del 2009.
Una parte dell’orto Bernardi era stata espropriata già negli anni ’30 del Novecento per i lavori di apertura di Viale Duca degli Abruzzi; nello stesso periodo, fu purtroppo demolita la chiesa di San Benedetto di Arischia dentro le mura, che sorgeva nelle vicinanze e dalla quale ha preso il nome la piazza davanti all’asilo.


Palazzo Cipolloni-Cannella

Abbiamo visto che le signore Cipolloni erano proprietarie del bel palazzo in Corso Vittorio Emanuele nelle vicinanze di “Capopiazza”. Poiché le due nobildonne non avevano eredi, con testamento donarono il palazzo ai Padri Gesuiti che tutt’oggi ne sono proprietari, come abbiamo detto in precedenza.


Mauro Rosati

domenica 19 aprile 2020

La Corsica tra le vie dell'Aquila



Ringrazio Eleonora Gallo, Giovanna Vespaziani, Marta Vittorini e Giovanni Carosone che mi hanno fornito spunti e informazioni utili per la stesura di questo trafiletto.


L'Aquila - Quella che segue è una breve riflessione sull'argomento "Corsica" nell'onomastica stradale della nostra città.

Lo spunto parte da una curiosità segnalata dalle signore Giovanna Vespaziani e Marta Vittorini citando i libri "L'Aquila in guerra" e "L'Aquila dall'armistizio alla Repubblica" del prof. Walter Cavalieri. Più precisamente si tratta dello storico "Bar del Corso" ai Quattro Cantoni, in passato "Bar Corsi" dal nome del titolare Quintino Corsi. La curiosità, almeno per me, è che nel periodo fascista il locale fu ribattezzato "Bar Corsica" per motivi patriottici, dal nome dell'isola che fino al Settecento era appartenuta a uno dei numerosi Stati che formavano l'Italia prima dell'Unità nazionale.

Partendo da questo spunto ho ripensato a una cosa molto interessante: al giorno d'oggi la Corsica ricorre in due luoghi nella nostra onomastica cittadina.

Abbiamo "Largo Corsica" e "Piazzale Pasquale Paoli".

"Largo Corsica" è quello spazio che si apre davanti alla chiesa di San Francesco di Paola, lungo via XX settembre, nelle vicinanze del ponte di Sant'Apollonia ("Sant'Appollonia" per i cittadini aquilani).

"Piazzale Pasquale Paoli", invece, si trova a poca distanza, al centro dei giardini che costeggiano via XX settembre prima di arrivare alla Villa Comunale. Nella memoria collettiva recente, piazzale Paoli è noto per la vicinanza a una delle zone della città più colpite dal terremoto del 2009.

Dalla testimonianza diretta del signor Giovanni Carosone sappiamo anche che in passato, nel parlare comune, piazzale Paoli era indicato come il "Campo degli Orfani" (un po' come quando si dice "il Vicolaccio" per indicare "via Sallustio"), luogo di ritrovo per i giochi di bambini e ragazzini; forse (è un'ipotesi) il riferimento agli orfani poteva dipendere dalla vicinanza dell'Istituto "Sacra Famiglia" delle Suore Francescane Alcantarine che dal 1930 al 1971 ospitò un orfanotrofio e, più in generale, una struttura "allo scopo di ricoverare e assistere bambini trovatelli, orfani o appartenenti a famiglie povere" (Filippo MURRI, Monasteri, Conventi, Case e Istituti religiosi dell'Arcidiocesi aquilana, 1996). Poiché l'Istituto si trova su via XX settembre ad angolo con il tratto inferiore di via Campo di Fossa, potrebbe darsi che il vicino piazzale Paoli fosse uno spazio all'aperto frequentato anche dai bambini dell'Istituto. Dal 1971 l'Istituto ha cambiato funzione ed è diventato Collegio Universitario "Sacra Famiglia"; in quegli anni è stato ristrutturato e ampliato in veste contemporanea, è rimasto in uso fino al terremoto del 2009 ed è stato quindi demolito nel 2018 per la ricostruzione.

Andiamo adesso al personaggio storico. Pasquale Paoli è stato un importante politico, patriota e indipendentista còrso vissuto tra Settecento e Ottocento ( per approfondimenti: http://www.treccani.it/enciclopedia/pasquale-paoli/ ).

La signora Eleonora Gallo ha fatto notare che a tutt'oggi il cognome Paoli è molto diffuso in Corsica.

Quindi "Largo Corsica" e "Piazzale Pasquale Paoli" sono due luoghi della città che ci ricordano un capitolo di storia "italiana"; proprio nel Settecento, all'epoca di Paoli, la Corsica passò dalla Repubblica di Genova al Regno di Francia.

"Largo Corsica" e "Piazzale Pasquale Paoli" sono un esempio di come i nomi delle strade siano un ricco libro di storia (e di storie), locale e nazionale.


Mauro Rosati


P.s.: per un pura coincidenza storica, Pasquale Paoli nacque proprio il 6 aprile (del 1725; 

sabato 18 aprile 2020

Scarabei, Malve, Ortica

Pianta della zona con l'indicazione delle strade.

Pubblico di seguito un articolo già inviato alle redazioni di stampa locale il 23 febbraio e il 26 febbraio scorsi.


L'Aquila - Se da via XX settembre entriamo in via Fontesecco, appena superato il cavalcavia di ponte Belvedere, troviamo sulla sinistra uno dei tanti particolari percorsi urbani che la nostra città ci può offrire. Una piccola rete di vicoli e gradinate che da via Fontesecco ci permette di risalire a piedi il pendio del colle, sia verso viale Giovanni XXIII sia verso piazza dell'Addolorata; il Colle in questione è quello detto «Colle dell'Addolorata» o «Colle di Sassa».

Apriamo una breve parentesi: la piazza dell'Addolorata (alle spalle dell'ex hotel conosciuto da molti come «il tetto»), prende il nome dalla chiesa della Madonna dei Sette Dolori «dentro» le mura, la chiesa “sorella” di quella «fuori» le mura, meglio nota come Madonna «fore» (detta così proprio per distinguerla da quella dentro la città).

Torniamo adesso al nostro percorso. Tra i nomi di questi vicoli e di queste gradinate che risalgono il Colle, ne troviamo tre particolarmente curiosi:

- la gradinata degli Scarabei (chiamata in passato «Chiusa degli Scarabei»), che da via Fontesecco risale il pendio in direzione di viale Giovanni XXIII a ridosso di Ponte Belvedere;

- il vico dell'Ortica, che risalendo da via Fontesecco si collega a via Giorgetto, da dove si può arrivare in piazza dell'Addolorata attraverso via del Calvario;

- il chiassetto delle Malve, che collega via del Calvario con la gradinata degli Scarabei.

Gli scarabei, l'ortica, le malve: tutti nomi intuitivi, probabilmente espressione della cultura popolare che chiamava così quelle vie per le loro caratteristiche particolari; quindi denominazioni che erano forse spontanee e che poi sono diventate ufficiali quando sono stati assegnati i nomi alle vie cittadine. Questi nomi oggi sono tutti riportati nel Viario ufficiale del Comune dell'Aquila.

La maggior parte dei tracciati di queste vie sono già riconoscibili nella pianta storica della città del 1753 (pianta del Vandi).

Insomma, una delle molte curiosità della nostra onomastica cittadina e uno dei tanti scorci che il centro della nostra città ci offre. Uno scorcio di città su quel pendio che si trova subito dopo Ponte Belvedere, uno scorcio di città che dobbiamo tutelare nel disegno delle sue strade insieme ai nomi stessi di quelle vie.

Così come dobbiamo tutelare tanti altri scorci e tante altre curiosità fra i nomi delle vie del nostro centro cittadino. Nomi che ci possono suggerire o raccontare piccole e grandi storie.


Mauro Rosati

sabato 11 aprile 2020

Buon Compleanno L'Aquila



«Addì undici d'Abrile fo el primo fonnamento» (Buccio di Ranallo, Cronaca Rimata, prima metà XIV secolo)!

Buon Compleanno L'Aquila! 😃