Riflessioni personali sulla tempesta, e sul dopo la tempesta, di nove anni fa.
Umberto Boccioni, La città che sale (Fonte: arte.it) |
Quante volte ho sentito, e sento dire, che il latino non serve a niente, e la cosa non mi ha mai trovato e non mi trova d'accordo!
Prima di tutto, perché oggi parliamo una lingua nazionale e le nostre lingue locali (dialetti) che altro non sono, semplificando, se non il latino volgare (quello del popolo) evoluto e amalgamatosi con apporti linguistici di origine diverse! Quindi una lingua viva a tutti gli effetti!
Poi c'è il latino dei classici, apparentemente "cristallizzato" nella forma tramandataci dai grandi autori romani e poi ripreso dagli Umanisti, ma in realtà anch'esso attualissimo: il latino è nei motti di nazioni, città, squadre sportive e così via!
Ed è proprio a tre motti latini che mi sono ancorato, più o meno consapevolmente, per affrontare e poi ripartire dalla tempesta che in questi giorni di nove anni fa si era abbattuta sulla mia città e sul suo contado. Non una tempesta d'acqua e/o di vento, ma quella tempesta dal sottosuolo che per alcuni secondi o decine di secondi trasforma la terra in un mare infuriato e rende le opere umane come tante imbarcazioni in preda a quel mare con i loro passeggeri a bordo!
Passata la paura immediata dell'evento, subentrano sentimenti umani come lo shock, il dolore e lo sconforto: dolore e sconforto per coloro che sono rimasti vittime delle navi affondate durante la tempesta, dolore e sconforto nel vedere la propria città sfregiata e, a tratti, poco riconoscibile, e poi un sentimento di rabbia non si sa bene contro chi e contro cosa, e tante altre sensazioni!
Poi subentra un sentimento di rivalsa, la volontà di rimboccarsi le maniche e cominciare, prima con la mente e con i simboli, poi con i fatti, a riprendersi quello che la tempesta ha stravolto. Un assedio al contrario per rientrare tra le mura della città e riconquistarla, riconquistare quel legame materiale con i nostri antenati. Forza di volontà alternata a momenti di sconforto e poi di nuovo tanta volontà! Volontà di non darla vinta agli eventi: non una sfida alla natura ma semplicemente orgoglio di volersi rimettere in piedi, di risollevare il proprio territorio anche in memoria e nel rispetto di quelle vittime innocenti della tempesta, volontà di ridare dignità e splendore ai propri luoghi!
E qui torna il latino!
Come ho scritto sopra, a tre motti in particolare mi sono ancorato nell'affrontare il "dopo la tempesta"!
L'emblema civico aquilano. L'Aquila: chiesa del Cristo Re (1934), pavimento della navata centrale (particolare). |
IMMOTA MANET (rimane salda):
è il motto della mia città, quello che ci ricorda le sue traversie, soprattutto contro le forze della natura ma, nonostante queste, la sua capacità di risollevarsi e rigenerarsi dopo i rovesci subiti; l'orgoglio, anche inconsapevole di riannodare la propria vita a questi luoghi, a queste strade, a queste piazze.
Un motto che tante volte è stato ed è dissacrato, interpretato e utilizzato in maniera sarcastica per indicare immobilismo. Non ho mai condiviso e non condivido questa lettura: per me personalmente e per i tanti aquilani, di origine e di adozione, che lavorano tutti i giorni per la nostra città, era e rimane un motto dall'accezione positiva, la spinta e il dovere a essere protagonisti attivi della nostra ricostruzione, come in questi anni sta avvenendo; in primis per noi e poi anche per i nostri posteri!
NEC RECISA RECEDIT (neanche spezzata arretra, neanche colpita arretra): motto dannunziano, motto del corpo della Guardia di Finanza, ma anche parole che ben si prestavano a motivare gli animi in quei brutti giorni di nove anni fa! Tra l'altro proprio la Guardia di Finanza, con la sua scuola Allievi Sottoufficiali, rimasta pressoché integra dopo il sisma, fu l'epicentro del dramma nei giorni immediatamente seguenti e poi dei primi nuovi passi: luogo delle esequie solenni della maggior parte delle vittime del sisma, base operativa dell'emergenza e poi base per la primissima ripartenza delle funzioni fondamentali della città, ospitando tanti uffici strategici!
«Nec recisa recedit», neanche la mia città colpita voleva arretrare.
La mia laurea, insieme a tanti altri ragazzi, cadeva proprio in quel mese di aprile; discutemmo la tesi in una tenda organizzata per l'occasione: «che tristezza» si potrebbe pensare su due piedi; invece no! Ricordo ancora con orgoglio quel momento, l'orgoglio di essere tra i primi studenti a laurearci nella città che, anche se non ce ne accorgevamo, aveva già ricominciato a camminare, seppure a piccoli passi e con le ossa ancora rotte!
FLUCTUAT NEC MERGITUR (oscilla tra i flutti ma non affonda): è il motto della città di Parigi, nata su un'isola tra le acque di un fiume; me ne sono ricordato in questi giorni leggendo un saggio che parla proprio dell'attualità del latino! Ho riflettuto su queste parole e anch'esse calzavano bene alla situazione; nel caso della mia città i flutti, le mareggiate, vengono dal sottosuolo e, ogni volta, superata la tempesta, dobbiamo riprendere la rotta! «O navis referent in mare te novi / fluctus (o nave, altre onde ti riporteranno in mare)»: i versi sono tratti dalle «Odi» di Orazio ma il concetto, in versioni diverse, lo ritroviamo dall'antica Grecia fino (leggevo in questo saggio) al vescovo Beato di Liébana: «tempestat mare et fluctuat, sed navicula non mergitur, quia fides non dubitatur (il mare è in preda alla tempesta e ai flutti, ma la navicella non affonda, perché la fede non viene messa in dubbio)» [Ivano Dionigi, Il presente non basta]!
Dopo le onde che hanno portato la nave alla deriva, nuove onde, quelle buone, riportano la nave sulla giusta rotta dopo la tempesta; queste onde buone sono le energie positive, l'orgoglio e la volontà! Ovviamente servono buoni comandanti, buoni timonieri ma anche buoni rematori! La fede di cui parla Beato di Liébana deve essere per noi la fiducia attiva nella rinascita della nostra città (e quando parlo di città intendo sia il Capoluogo sia i Borghi del Contado)!
Dopo le onde che hanno portato la nave alla deriva, nuove onde, quelle buone, riportano la nave sulla giusta rotta dopo la tempesta; queste onde buone sono le energie positive, l'orgoglio e la volontà! Ovviamente servono buoni comandanti, buoni timonieri ma anche buoni rematori! La fede di cui parla Beato di Liébana deve essere per noi la fiducia attiva nella rinascita della nostra città (e quando parlo di città intendo sia il Capoluogo sia i Borghi del Contado)!
Queste onde buone le ho iniziate a vedere un paio d'anni dopo la tempesta e rafforzavano la mia fiducia; ogni gru in movimento, ogni ponteggio nuovo, ogni palazzo che torna alla mia comunità, ogni negozio che riapre lì dove prima c'erano silenzio, calcinacci e muffa, rafforzano questa corrente favorevole che ci sospinge verso la buona rotta.
Riportare la nave sulla rotta giusta è un dovere anche verso la memoria di coloro che sono caduti durante la tempesta di nove anni fa!
E quando la terra, come accaduto due anni fa e l'anno scorso, e poi anche pochi giorni fa, torna a far sentire le sue mareggiate, lo sconforto e la paura tornano a farsi largo nel nostro animo! Meno di due anni fa il centro del nuovo dramma era tra i 20 e i 70 km dalla nostra città e abbiamo vissuto quelle nuove tempeste come fossero anche nostre, sia per la paura che tornava a svegliarsi sia per la compassione umana e fraterna verso dei nostri vicini che stavano vivendo, a pochi passi da noi, una tempesta del suolo i cui flutti giungevano fino a noi a risvegliare i sentimenti di nove anni fa!
In momenti come quelli, dopo la umana e normale paura, proviamo a fare nostri quei versi e, nel quotidiano, facciamo in modo che le nostre navicelle siano sempre più sicure e affidabili durante queste tempeste!
Scacciamo lo sconforto e come bravi rematori riprendiamo in mano la nostra nave comune!
Lo stiamo già facendo, continuiamo!
Lo stiamo già facendo, continuiamo!
Mauro Rosati
L'Aquila: Piazza del Mercato; sullo sfondo la rinata chiesa di Santa Maria del Suffragio, detta "delle Anime Sante" (Foto: Mauro Rosati, 2018). |